La video-intervista a Francesco Saccà, Professore di Neurologia presso l'Università degli Studi di Napoli, AOU “Federico II”
“L'atassia di Friedreich è una malattia neurologica autosomica recessiva: viene quindi ereditata dai genitori, che sono in genere portatori sani”, ha spiegato Francesco Saccà, Professore di Neurologia presso l'Università degli Studi di Napoli, AOU “Federico II”, nel corso dell’evento “Il percorso della rarità: dalle sfide alle soluzioni”, che si è svolto lo scorso 5 novembre a Roma, nella Sala del Camino di Palazzo Baldassini.
Il sospetto diagnostico, l’accesso alla diagnosi, l’importanza di una presa in carico olistica con la corretta transizione dal pediatrico all’adulto: sono solo alcuni dei temi che sono stati trattati e approfonditi durante l'incontro, strutturato in tre tavole rotonde, organizzato da Biogen Italia con la media partnership di OMaR – Osservatorio Malattie Rare.
“L’atassia di Friedreich comporta sintomi neurologici quali difficoltà nella coordinazione degli arti e nella deambulazione e difficoltà a parlare (disartria). Comporta purtroppo anche problemi cardiologici, diabetologici, alla vista e all'udito. Un'altra manifestazione molto frequente, soprattutto all'esordio, è la scoliosi. Ecco allora che la difficoltà diagnostica sta proprio in questo, in come esordisce la patologia: se ad esempio la scoliosi è il primo segno, allora dovrà essere l'ortopedico a sospettarla, oppure se inizia con una cardiopatia ipertrofica, dovrà essere il cardiologo a indirizzare il paziente verso un neurologo esperto in disordini del movimento e atassia di Fredreich. È quindi necessario che questi specialisti – ortopedici, cardiologi e neurologi, ma anche pediatri e medici di medicina generale – possano accedere a eventi e percorsi formativi”, prosegue Saccà (clicca qui o sull'immagine dell'articolo per guardare la video-intervista).
“Per quanto riguarda la presa in carico del paziente, secondo me oggi dobbiamo cambiare la nostra visione: mentre fino ad ora abbiamo seguito i pazienti in centri dove il più delle volte c'era solo il neurologo, oggi abbiamo bisogno di trasformare questi piccoli ambulatori in centri di riferimento. Per fare questo abbiamo bisogno di creare un team dove ci sia il neurologo ma anche l'internista, che può guidare il paziente nelle scelte terapeutiche: dall'inizio della malattia alla fase intermedia, fino a quella molto avanzata, infatti, il tipo di terapie cardiologiche varia tantissimo”, conclude il prof. Saccà. “È importante che ci sia un raccordo fra neurologo e internista o cardiologo proprio per identificare i primi segnali di un peggioramento cardiaco e indirizzare il paziente verso una terapia più idonea. Per fare questo servono PDTA regionali con centri di riferimento e all’avanguardia che possano attuare questa presa in carico completa e multidisciplinare”.
Leggi l'articolo di OMaR sull'incontro. Clicca qui per guardare la registrazione integrale dell'evento.