Gli esiti di nuovo studio, condotto anche in Italia, evidenziano questa possibilità.
Il prof. Alberto Burlina (Padova): “Il messaggio più importante è che questi pazienti vanno sempre seguiti”
Esistono alcune malattie metaboliche rare che, per nostra fortuna, possono essere diagnosticate precocemente e prevedono una terapia che le rende curabili ma che, tuttavia, non devono essere sottovalutate e vanno tenute sempre sotto strettissima sorveglianza. Un valido esempio è costituito dal deficit di glutaril-CoA deidrogenasi (GDD), o aciduria glutarica di tipo 1, una patologia neuro-metabolica, a trasmissione autosomica recessiva, clinicamente contrassegnata dalla ricorrenza di gravi crisi encefalopatiche. Questa malattia, già dai primi giorni di vita, può presentare un grave quadro neurologico ed esitare in una condizione di ipotonia e nella perdita delle capacità motorie.
La somministrazione precoce di una rigida dieta trasforma questa patologia potenzialmente letale in una malattia trattabile, anche se il persistere di livelli patologici di acido glutarico può essere causa di complicanze gravi, come ben dimostrato da un’equipe internazionale di specialisti che, sull’ultimo numero della rivista Molecular Genetics and Metabolism, hanno descritto tre pazienti di diverse età (da 6 a 23 anni), ognuno affetto da aciduria glutarica di tipo 1 e tutti colpiti da tumori del sistema nervoso centrale che potrebbero essere legati a un'elevata escrezione di acido glutarico.
“Siamo orgogliosi di aver potuto realizzare questo studio. Mettere insieme tre casi così lontani, sia per età che per distribuzione geografica, quando si ha a che fare con una patologia rara è tutt’altro che semplice, ma volevamo dare un messaggio importante e ci siamo riusciti, dimostrando di essere tra le eccellenze della Sanità mondiale in fatto di malattie rare”, spiega il prof. Alberto Burlina, direttore dell’U.O.C. di Malattie Metaboliche Ereditarie dell’Azienda Ospedaliera di Padova, che ha preso parte al lavoro. “Insieme ai colleghi statunitensi e australiani, e grazie alla collaborazione con il dott. Alessandro Burlina, neurologo presso l’ospedale di San Bassiano di Bassano, che ha seguito il nostro paziente fin dall’esordio del quadro neurologico, abbiamo visto che l’aciduria glutarica di tipo 1 può evolvere in condizioni pericolose come i tumori cerebrali. Il messaggio più importante che abbiamo voluto scrivere è che questi pazienti vanno sempre seguiti. Finché la ricerca non produrrà una cura risolutiva, anche se questi pazienti possono condurre una vita normale, andando a lavoro o svolgendo tutte le normali attività quotidiane, essi sono comunque considerati a rischio per patologie di questo genere”.
L’aver riunito tre casi clinici non può essere considerata una situazione fortuita, vista la rarità della malattia. L’aciduria glutarica di tipo 1 è provocata da mutazioni che interessano il gene GCDH, localizzato sul cromosoma 19. Ad oggi, sono state identificate oltre 200 mutazioni, a danno di questo gene, il cui risultato è una carenza di glutaril-CoA deidrogenasi e un conseguente accumulo di acido glutarico o acido 3-idrossiglutarico (3-OH-GA) nei fluidi corporei. “La nostra ricerca ha messo in luce un possibile nesso tra la presenza dell’acido glutarico e lo sviluppo di tumori cerebrali”, prosegue Burlina. “L’escrezione di acido glutarico può infatti compromettere la sintesi di neurotrasmettitori, predisponendo al danno le cellule neuronali e portando all’insorgenza di patologie tumorali. Tuttavia, va detto che non tutti i pazienti nei quali è aumentata l’escrezione di acido glutarico sviluppano tumori. Per tal motivo, il monitoraggio è prioritario, e gli studi clinici in atto sono una prova evidente che la ricerca su queste malattie è assolutamente fondamentale”.
La diagnosi di aciduria glutarica di tipo 1 può essere raggiunta attraverso protocolli di screening neonatale, confermata da test genetici e accompagnata da adeguata consulenza genetica. Nonostante ciò, l’aumento delle concentrazioni urinarie di acido glutarico e acido 3-idrossiglutarico, oltre ad una specifica serie di esami neuro-radiologici, possono essere di aiuto per supportare il processo diagnostico. “Le linee guida internazionali suggeriscono di iniziare, fin dai primi giorni di vita, una dieta restrittiva a basso contenuto di lisina, unita alla supplementazione di carnitina. Solo a partire dai 6-7 anni si consiglia di essere meno restrittivi”, aggiunge Burlina. “La nostra ricerca solleva un dubbio, e cioè che questa dieta, invece di essere liberalizzata intorno ai 6-7 anni, debba essere mantenuta per tutta la vita. Non si può essere certi che, con l’età, il rischio di crisi encefalopatiche scompaia. I pazienti studiati avevano una forma severa ma ciò non significa necessariamente che tutti i pazienti affetti da aciduria glutarica di tipo 1 sviluppino la patologia tumorale. Esiste il rischio che ciò possa accadere, ma potrebbe essere anche l’inverso, cioè che certi tumori cerebrali celino alla base una malattia metabolica, la quale potrebbe costituire il substrato ideale per favorisce l’insorgenza di situazioni cliniche ad alto rischio”.
Il terzo caso clinico, ad esempio, è sempre stato seguito nel tempo, a dimostrazione che la Sanità italiana, e in particolare quella veneta, è all’avanguardia in questo campo. Perciò bisogna andare oltre la terapia dietetica e concentrarsi su altri fronti terapeutici efficienti nel contrastare la malattia, come la terapia genica. “Malattie come l’aciduria glutarica di tipo 1 sono trasversali e, negli anni, perdono la connotazione pediatrica per andare a costituire un problema non circoscritto ad un unico periodo di vita”, conclude Burlina. “La ricerca scientifica e i protocolli di screening neonatale hanno fatto si che malattie considerate solo pediatriche possano attrarre la nostra attenzione anche in età adulta. Ciò, da una parte, è una conquista; dall’altra, rappresenta una sfida. Noi vogliamo dare ai nostri pazienti una vita normale, e questo significa che dobbiamo seguirli in ogni fase della loro vita”.