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Pediatra

Letizia ha 15 anni e una vita ‘quasi normale’, ma i primi tempi sono stati pieni di incertezze, almeno fino all’arrivo della diagnosi

Incertezze, angoscia, impotenza. Della sua Letizia e della malattia ultra-rara che l’accompagna fin dalla nascita, a quasi 15 anni di distanza, il papà Sandro ricorda soprattutto lo sgomento dei primi anni. I segnali allarmanti durante le prime febbri, le corse pazze al pronto soccorso, i trasferimenti sull’elicottero che, per ben due volte, ha portato la piccola dall’ospedale di Chieti a quello di Ancona. E poi, a due anni di età, finalmente la diagnosi: deficit di fruttosio 1,6-difosfatasi, una malattia metabolica rara, anzi rarissima. “Viviamo in provincia di Chieti, dove Letizia è nata nel 2006”, racconta il papà. “A 17 mesi con la prima influenza ha cominciato a stare male e poi, ogni 5 o 6 mesi, stava male di nuovo. Nel frattempo, con l’introduzione delle prime verdure, cominciavano anche i problemi”. In realtà, già alla nascita Letizia era stata ricoverata in terapia intensiva neonatale per asfissia, acidosi metabolica e ipoglicemia. Ma sembrava un episodio isolato e solo alcuni mesi dopo la famiglia è stata costretta a prendere coscienza della presenza di qualcosa che non andava. Il problema principale, però, era la difficoltà nell’identificare quel qualcosa.

“Il deficit di fruttosio 1,6-difosfatasi (deficit di FBP) è un errore congenito del metabolismo della gluconeogenesi”, spiega Maria Alice Donati, direttore del SOC Malattie Metaboliche e Muscolari Ereditarie dell’Azienda Ospedaliero Universitaria “A. Meyer” di Firenze. “L’esordio è riportato in circa il 50% dei casi nel periodo neonatale, 1-4 giorni di vita, con ipoglicemia, grave acidosi lattica responsiva ad infusione endovenosa di glucosio e ad alimentazione lattea con pasti ad intervalli regolari. L’esordio può essere più tardivo in concomitanza con infezione febbrile, specie se gastroenterica, e conseguente scarsa alimentazione. Molti pazienti presentano più episodi acuti prima che sia effettuata una corretta diagnosi”, chiarisce Donati. “Cardine del trattamento è evitare digiuni prolungati; sono consigliati pasti regolari con alto contenuto in carboidrati a lento assorbimento, allo scopo di fornire adeguate riserve di glicogeno, prevenire gli episodi di ipoglicemia e ridurre la necessità di gluconeogenesi. Con una presa in carico tempestiva e adeguata, associata ad un trattamento appropriato, la prognosi è eccellente, anche se la malattia può essere estremamente pericolosa nel periodo neonatale e nella prima infanzia”.

Per Letizia, però, sono stati necessari ben due anni per ottenere, finalmente, una diagnosi. Nel frattempo, la famiglia navigava nel buio. “È andata più volte in coma”, ricorda Sandro. “Sudava freddo, aveva la bava alla bocca, non reagiva: era in crisi ipoglicemica. In ospedale la rimettevano in vita, ma non sapevano ancora quale fosse la causa scatenante. Durante uno dei primi ricoveri, i dottori parlavano anche di meningite”. La svolta arriva quando la famiglia consulta il professor Francesco Chiarelli, direttore della Clinica Pediatrica dell’Università di Chieti, con un passato all’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze. “Ha subito intuito la presenza di una malattia metabolica e, dopo aver contattato personalmente il Meyer, ha suggerito un ricovero. Al Meyer, Letizia è stata presa in cura dal Centro per le Malattie Metaboliche e Muscolari Ereditarie guidato dalla dottoressa Maria Alice Donati e, nel 2008, è stata fatta la diagnosi di deficit di FBP, confermata da analisi molecolare”, spiega il papà. “Oggi, arrivare a una diagnosi è molto più semplice rispetto a quando, oltre 20 anni fa, per dimostrare il difetto enzimatico era necessario effettuare una biopsia epatica, un tipo di analisi non disponibile in Italia, per cui il campione doveva essere inviato all’estero”, assicura Donati. “Attualmente, invece, è possibile fare l’analisi genetico-molecolare e, pertanto, in caso di sospetto, è facile inviare il campione di sangue nei laboratori italiani che effettuano tale analisi. L’importante è conoscere la malattia, riconoscerla e sospettarla precocemente”.

Dopo la diagnosi, la vita di Letizia e della sua famiglia è migliorata notevolmente. “Io e mia moglie Silvia ci trovavamo ancora a fronteggiare qualche episodio di ipoglicemia e qualche gastroenterite, ma almeno sapevamo contro quale nemico dovevamo combattere”, prosegue Sandro. “Ci è stata data una dieta senza fruttosio, saccarosio e sorbitolo, quest’ultimo presente essenzialmente in alcuni medicinali, che viene ricalibrata di volta in volta, e ci hanno spiegato come gestire la malattia: è necessario soprattutto assumere i pasti a orari regolari, integrando la dieta con la maizena, ed evitare i digiuni prolungati”. Oggi Letizia ha 15 anni e Sandro, se guarda indietro, vede quanta strada è stata fatta. Bisogna restare sempre vigili, perché un virus, una semplice febbre o un banale mal di stomaco possono scombussolare il delicato quadro clinico della ragazza. Ma i genitori, ormai, si muovono ormai a loro agio tra gli scaffali del supermercato e della farmacia e sanno come prevenire le crisi. Letizia, da parte sua, è cresciuta come una bambina attenta e responsabile: consapevole che, per lei, la qualità della vita ha un prezzo da pagare: ha accettato i ripetuti controlli ed esami che ha fatto in tutta Italia, le limitazioni sul piano alimentare e le assenze dalla scuola ogni volta che, in classe, si affacciava un’influenza. “Certo, ora che comincia l’adolescenza qualche problema in più ce l’abbiamo”, commenta Sandro. “Non può andare a mangiare la pizza o il gelato con le amiche e, qualche volta, fa un piccolo sgarro, ma qualcosa ogni tanto dobbiamo concedergliela. Per fortuna Letizia è una ragazza tranquilla, che sa come comportarsi e riesce a rispettare le regole”.

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