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Malattie metaboliche ereditarie - il ruolo del dietista

Un'indagine nazionale evidenzia progressi, criticità e prospettive future per un'assistenza nutrizionale più strutturata e riconosciuta

Negli ultimi anni, il ruolo della nutrizione nella gestione delle malattie rare ha assunto un'importanza sempre maggiore. Sempre più evidenze scientifiche, infatti, confermano come un supporto nutrizionale adeguato possa fare la differenza nel trattamento di molte patologie, tra cui le malattie metaboliche ereditarie (MME). Il dietista rappresenta una figura chiave all'interno delle equipe multidisciplinari e l’assistenza nutrizionale in questo ambito necessita di essere sempre più uniforme e standardizzata su tutto il territorio nazionale.

Un’indagine approfondita sul ruolo e il coinvolgimento dei dietisti nella gestione delle malattie metaboliche ereditarie in Italia evidenzia aree di sviluppo e opportunità per migliorare l’assistenza ai pazienti. Lo studio, pubblicato recentemente sulla rivista JIM – Journal of Innate Metabolism, analizza la formazione, le competenze e le difficoltà affrontate dai professionisti in questo ambito, negli ultimi 10 anni. I risultati mettono in luce la necessità di un maggior coordinamento organizzativo e riconoscimento a livello nazionale, investimenti in formazione specialistica e un miglioramento delle risorse a disposizione per garantire un’assistenza nutrizionale ottimale, fondamentale per la gestione di queste patologie rare.

Per approfondire questo tema, abbiamo intervistato la dottoressa Giorgia Gugelmo, dietista presso l'Azienda Ospedale Università di Padova e segretaria del Gruppo di Lavoro (GdL) di Dietetica e Nutrizione della SIMMESN - Società Italiana per lo Studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie e Screening Neonatale. Il suo contributo si inserisce in un lavoro di ricerca condotto insieme a molti colleghi dietisti, in primis con la collaborazione della dr.ssa Alice Dianin, dietista presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona e membro del Consiglio Direttivo di SIMMESN, e con i Coordinatori del GdL dr. Juri Zuvadelli, dietista dell’Ospedale San Paolo di Milano, e dr.ssa Giulia Bruni, dietista dell’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze.

Dottoressa Gugelmo, qual era l'obiettivo principale della vostra ricerca?

Il nostro studio aveva l'obiettivo di fotografare la situazione attuale del dietista all'interno delle equipe che si occupano di malattie metaboliche ereditarie in Italia. Abbiamo condotto una survey tra i dietisti che operano in questo settore per raccogliere dati su formazione, competenze, carichi di lavoro e livelli di integrazione nei centri di riferimento. Un’indagine in gran parte sovrapponibile a quella che abbiamo svolto era stata già realizzata nel 2014, questo ci ha permesso di mettere a confronto gli esiti e analizzare anche come le cose siano cambiate nel tempo. I dati raccolti nel 2024 derivano da una survey volontaria rivolta ai dietisti del GdL SIMMESN, quindi i risultati non hanno pretesa di esaustività, ma rappresentano comunque una base per comprendere la situazione attuale nei centri di riferimento per le malattie metaboliche ereditarie e individuare le aree di sviluppo.

Quali sono stati i risultati più significativi emersi dalla ricerca?

Abbiamo confermato che il dietista rappresenta una figura centrale nel team multidisciplinare per la gestione delle MME, sia in ambito pediatrico che per i pazienti adulti. Infatti, il numero dei dietisti che lavora in questo ambito è aumentato sensibilmente e positivamente, con contratti più stabili.  Tuttavia, i dati evidenziano anche una grande disparità nelle modalità di inserimento e nelle risorse a disposizione nei diversi centri. Non esiste ancora un riconoscimento univoco a livello istituzionale che standardizzi il ruolo e le responsabilità del dietista in questo contesto, né uno standard of care condiviso che consenta di mettere a confronto le diverse realtà con uno scenario ideale per la presa in carico del paziente. Dall'analisi dei dati raccolti emerge inoltre che il numero di pazienti seguiti dai dietisti varia in modo significativo tra i centri. I dati raccolti relativi all’incidenza della teleassistenza, che mostrano come una quota rilevante di dietisti dedichi tra il 25% e il 50% del proprio tempo a questa attività, sottolineano la necessità di regolamentare e quantificare l'uso della telemedicina per garantire una presa in carico efficace e un follow-up su misura del paziente. Inoltre, il miglioramento delle cure e la diagnosi precoce da screening neonatale hanno portato a una crescita sensibile del numero di pazienti seguiti, con conseguente incremento del carico di lavoro per ogni professionista, con necessità di risorse aggiuntive e di un'organizzazione più strutturata. Dallo studio emerge infatti che la percentuale di dietisti che ha in carico più di 100 pazienti è passata in questi ultimi dieci anni dal 35% al 60%.

Avete riscontrato criticità nell'integrazione dei dietisti nelle equipe multidisciplinari?

Sì, una delle principali difficoltà riguarda proprio il riconoscimento istituzionale del nostro ruolo. Se da un lato i clinici e gli specialisti delle malattie metaboliche ereditarie riconoscono l'importanza del dietista e ne supportano la presenza, dall'altro, come anticipato prima, manca una regolamentazione chiara che stabilisca standard di assistenza e risorse minime dedicate. Inoltre, non ancora tutti i dietisti sono assunti con contratti stabili, il che può rendere difficile garantire una continuità assistenziale adeguata.

Come si potrebbe migliorare l'attività dei dietisti nei team di cura delle MME?

Un elemento chiave è il lavoro cooperativo. La nostra ricerca non si limita a evidenziare le criticità, ma vuole offrire spunti per il miglioramento. L’obiettivo del Gruppo di Lavoro di Dietetica e Nutrizione della SIMMESN va proprio in questa direzione: riunire dietisti da diverse realtà italiane per confrontarsi, condividere buone pratiche e proporre soluzioni concrete. Parallelamente, la creazione di linee guida nazionali specifiche per l'ambito delle malattie metaboliche ereditarie potrebbe dare un contributo fondamentale. Le attività svolte dal GdL rappresentano proprio un’occasione di confronto, integrazione ed anche di formazione, con riunioni mensili del gruppo, partecipazione alle Giornate SIMMESN dedicate ai GdL della società e, in sede di congresso nazionale, organizzazione di workshop precongressuali e presenza di relazioni assembleari dedicate alla nutrizione nelle MME. Inoltre, sono cresciute anche le opportunità di formazione grazie a eventi internazionali come i corsi Academy organizzati da SSIEM-DG (SSIEM Dietitians Group).

Guardando al futuro, quali sono le prospettive per il ruolo del dietista nelle MME?

Siamo ottimisti, ma c'è ancora molto lavoro da fare. L'obiettivo è ottenere il pieno riconoscimento del ruolo del dietista all'interno delle equipe, non solo a livello operativo ma anche nelle strategie assistenziali aziendali e regionali. Sarà importante continuare a lavorare in rete, rafforzare il dialogo con le istituzioni, promuovere il coinvolgimento nella ricerca su terapie dietetiche e qualità nutrizionale e coinvolgere le associazioni dei pazienti, che possono svolgere un ruolo chiave nella sensibilizzazione sui bisogni dei malati rari.

C'è un messaggio che vorrebbe trasmettere ai colleghi dietisti e agli altri professionisti sanitari?

Credo sia fondamentale continuare a lavorare insieme. Solo attraverso la cooperazione tra dietisti, medici e tutte le figure coinvolte nella gestione delle malattie metaboliche ereditarie possiamo garantire ai pazienti un'assistenza efficace e di qualità, anche in considerazione della necessità di un follow-up continuativo, frequente ed altamente specializzato. Il nostro lavoro non si esaurisce nel fornire indicazioni dietetiche, ma ha un impatto reale sulla qualità della vita di chi affronta una patologia rara. Per questo, dobbiamo continuare a valorizzare la nostra professione e renderla sempre più integrata nei percorsi di cura.

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