Un sondaggio ha riscontrato che i gastroenterologi non vengono coinvolti a sufficienza nel team multidisciplinare: solo il 19% di loro si ritiene preparato nella gestione della patologia
La stragrande maggioranza dei gastroenterologi italiani è inesperta nella gestione dei pazienti affetti da amiloidosi: è ciò che emerge da un sondaggio, i cui risultati sono appena apparsi sulla rivista Digestive and Liver Disease. Le manifestazioni gastrointestinali sono comuni in tutti i genotipi di amiloidosi ereditaria da transtiretina (hATTR). Sono tuttavia scarsamente specifiche e il loro riconoscimento come parte della malattia è complicato: il risultato è un gran numero di diagnosi errate, perché la patologia viene confusa con altre condizioni più comuni.
Altri fattori che concorrono al ritardo diagnostico dell’hATTR sono la frammentazione delle conoscenze e la carenza sia di specialisti dedicati alla gestione della malattia, sia di centri di eccellenza. Non ultimo, lo scarso coinvolgimento dei gastroenterologi nei team multidisciplinari: come conseguenza, solo il 19% di questi specialisti si ritiene preparato nella gestione della patologia.
Sono i risultati di un progetto nato appunto per valutare la consapevolezza della malattia nella comunità gastroenterologica italiana attraverso un sondaggio online, e successivamente per fornire ai clinici una formazione sugli aspetti pratici della gestione dell'hATTR. Il gruppo di lavoro era composto da due coordinatori di comprovata esperienza nella gestione di questi pazienti (le dottoresse Maria Cappello e Laura Obici) e da sette gastroenterologi uniformemente distribuiti sul territorio italiano (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia).
La partecipazione all’indagine è stata bassa, così come è risultato molto limitato il numero di pazienti affetti da hATTR seguiti dai gastroenterologi. Ciò sottolinea la necessità di una maggiore attenzione alle malattie rare in gastroenterologia: dei 44 medici che hanno partecipato all'indagine, infatti, ben 35 (l'81%) non si ritenevano pronti ad affrontare le numerose sfide di questa condizione. I pochissimi che invece avevano avuto modo di assistere pazienti hATTR hanno dichiarato che nel 57% dei casi questi erano stati indirizzati a loro da un neurologo e nel 15% da un cardiologo o un reumatologo. Nel 15% dei casi, infine, la diagnosi era stata fatta direttamente nel reparto di gastroenterologia.
Per quanto riguarda lo scenario italiano, in un recente studio epidemiologico sono state registrate 31 diverse mutazioni responsabili di hATTR, e tra queste le più segnalate sono state Ile68Leu, Phe64Leu, Val30Met e Glu89Gln. In particolare, la variante Val30Met è risultata la più comune nel Nord e nel Centro Italia (quasi un quarto dei pazienti), mentre nel Sud le più riportate sono state Glu89Gln e Phe64Leu, che si manifestano con caratteristiche diverse a seconda dell'età di esordio, del fenotipo e della gravità della malattia.
Questa eterogeneità genotipica, associata ad una grande varietà di presentazioni, rende la diagnosi una vera sfida, in Italia come in altre aree non endemiche. In un contesto simile, le manifestazioni gastrointestinali sono molto comuni, aumentano con la durata della malattia e incidono negativamente sia sullo stato nutrizionale che sulla sopravvivenza dei pazienti. I gastroenterologi, pertanto, possono svolgere un ruolo prezioso nell’identificazione precoce dei pazienti a rischio e nella gestione tempestiva dei sintomi con le nuove terapie oggi approvate.
Gli autori dello studio sottolineano quindi la necessità di implementare dei programmi di formazione in questo campo da parte delle società scientifiche, per aumentare la consapevolezza sulla malattia e sul suo sospetto diagnostico. Allo stesso tempo ipotizzano una scarsa attenzione da parte degli specialisti tradizionalmente considerati di riferimento per questa patologia – neurologi e cardiologi – nei confronti dei problemi gastroenterologici.
Dato l’ampio spettro di sintomi gastrointestinali manifestati dai pazienti con hATTR, la raccomandazione più importante che gli esperti affidano ai colleghi è quella che riguarda le “red flag”, i campanelli d'allarme che dovrebbero spingere a sospettare la patologia, ossia:
1) la presenza di diarrea o stitichezza cronica, nausea, vomito, sazietà precoce in concomitanza con almeno un altro sintomo fra sindrome del tunnel carpale bilaterale, parestesie, disfunzione erettile, disturbi dell'andatura e dell'equilibrio, ipotensione ortostatica, sincope, dolore neuropatico;
2) sintomi gastrointestinali in concomitanza con perdita di peso involontaria, anche per distinguere una patologia funzionale da una organica;
3) disturbi gastrointestinali e sintomi di insufficienza cardiaca/sincope/bradiaritmia ed un ecocardiogramma o una risonanza magnetica cardiaca che suggeriscono la possibilità di amiloidosi;
4) sintomi gastrointestinali e storia familiare di hATTR (soprattutto se il paziente proviene da un'area endemica, come la Sicilia, la Calabria e l'Appennino tosco-emiliano). Inoltre, in presenza di sintomi gastrointestinali, i gastroenterologi devono prestare attenzione a debolezza muscolare, affaticamento, dispnea, disfunzione della vescica, infezioni urinarie ricorrenti e precedenti biopsie per il sospetto di amiloidosi.
In seguito, per arrivare a una diagnosi definitiva, gli esperti suggeriscono di richiedere tempestivamente un test genetico e di escludere la presenza di una proteina monoclonale sierica e urinaria, anche prima della rilevazione dell'amiloide nei campioni bioptici, in particolare nelle aree non endemiche. Questo approccio può essere utile per superare le difficoltà connesse alla biopsia e agli altri test diagnostici invasivi e rappresenta una nuova opportunità per migliorare la diagnosi della malattia.
Seguici sui Social