Dottor Livio Pagliani

Il Dott. Livio Pagliani: “La causa della condizione è una mutazione del gene VMD2, che è correlato anche ad altre patologie della retina”

Nell’ampio e variegato insieme dei disturbi della retina, accanto alla malattia di Stargardt e all’amaurosi congenita di Leber, si colloca una forma di distrofia contraddistinta da un’estrema variabilità fenotipica e da un’altrettanto eterogenea età di insorgenza: si tratta della distrofia maculare vitelliforme di Best, chiamata anche malattia di Best, che può manifestarsi sia nelle prime settimane di vita di un bambino sia dopo il compimento dei cinquant’anni, e in maniera così diversa da richiedere un’assoluta preparazione da parte dell’oculista chiamato a riconoscerla.

MACCHIE CARATTERISTICHE SULLA MACULA

La macula è la zona centrale della retina e costituisce la struttura dell’occhio sulla quale sono collocati i coni, particolari fotorecettori che, insieme ai bastoncelli, ricevono il segnale luminoso e sono incaricati di farlo arrivare al cervello. La disposizione dei coni è tale da favorire la creazione di un punto proprio al centro della macula, detto fovea centralis, dove si realizza il massimo della percezione visiva. “La malattia di Best è una condizione ereditaria che colpisce la macula, portando alla formazione di depositi di lipofuscina che determinano una sovversione della sua stessa morfologia”, spiega il dott. Livio Pagliani, specialista in Oftalmologia presso Polismedica di San Vito al Tagliamento (PN). “Questi depositi, che si sviluppano prevalentemente a livello della fovea, si definiscono ‘a tuorlo d’uovo’ per il caratteristico aspetto che mostrano esplorando la macula con la lampada a fessura”. I primi segnali della malattia di Best interessano, pertanto, la visione centrale.

DIFFERENTI STADI DELLA MALATTIA, PROBLEMATICHE DIVERSE

L’estrema variabilità clinica della malattia di Best ha portato ad una sua classificazione in cinque stadi, da 0 a IV. “Lo stadio 0 include le forme più lievi, nelle quali non si osservano difetti della visione”, precisa Pagliani. “Al primo stadio, detto vitelliforme, si forma una vescica simile a un tuorlo d’uovo sull’area della macula. In questo caso i difetti della visione possono essere lievi. Al secondo stadio, parte del materiale di cui è formata la vescica penetra in uno strato sottostante la retina. Ciò porta alla formazione di una cisti. La rottura della cisti vitelliforme, che si verifica al terzo stadio, può danneggiare alcune cellule degli strati della retina: in questo caso i pazienti percepiscono le linee rette come ondulate o possono avere problemi a leggere i caratteri più piccoli. Infine, all’ultimo stadio della malattia (IV), il materiale giallastro che ha causato le lesioni inizia a ritirarsi e a scomparire, lasciando sulla retina cicatrici e residui di cellule danneggiate. L’occhio tenta di riparare la lesione creando, in certi casi, nuovi vasi sanguigni, i quali, però, risultano difettosi e perdono sangue, portando alla formazione di tessuto cicatriziale e a un ulteriore deterioramento della vista. Pertanto, in questa fase la vista è gravemente compromessa e la lettura può risultare difficile”. Nei primi stadi, tipici dell’infanzia e dell’adolescenza, non si riscontrano particolari problematiche, mentre la compromissione della vista si concretizza negli stadi finali, che tendono a manifestarsi a partire dalla quarta decade di vita. Tuttavia, non è possibile sapere con esattezza quando o quanto la vista sarà compromessa, poiché l’espressione della malattia varia da persona a persona.

UNA CAUSA GENETICA

La malattia di Best è ereditaria, si trasmette con modalità autosomica dominante ed è provocata da mutazioni legate al gene VMD2, localizzato sul cromosoma 11q13, che regola il trasporto degli acidi grassi polinsaturi; se mutato, questo gene determina l’accumulo di lipofuscina nell’epitelio pigmentato retinico. “Sono state identificate numerose mutazioni in VMD2, in grado di provocare diverse distrofie maculari note collettivamente come bestrofinopatie”, prosegue Pagliani. “Oltre alla malattia di Best, queste includono la distrofia maculare vitelliforme ad insorgenza adulta, la bestrofinopatia autosomica recessiva, la vitreoretino-coroidopatia autosomica dominante e la retinite pigmentosa”. Più di recente, i ricercatori hanno scoperto che alcuni difetti del gene VMD2 possono essere ereditati in modo recessivo, distinguendo un tipo più raro di distrofia maculare, noto come bestrofinopatia autosomica recessiva. “L’oculista deve conoscere nel dettaglio questi aspetti per poter raccomandare l’esecuzione dei test genetici utili ad identificare la mutazione responsabile della malattia”, aggiunge Pagliani. “Tuttavia, la diagnosi della malattia di Best comincia con un attento esame del fondo oculare, grazie a cui si possono evidenziare le alterazioni della macula. La conferma diagnostica, invece, giunge dall’elettro-oculogramma (EOG), che si presenta alterato in associazione ad un elettro-retinogramma (ERG) normale, e dall’esecuzione di un angio-OCT maculare”.

ESISTE UNA TERAPIA EFFICACE?

Che si presenti presto o tardi, colpisca un occhio o entrambi, o che possa o meno compromettere la visione, la malattia di Best manca ancora di un trattamento specifico. “Non disponiamo di farmaci con cui bloccare la progressione della malattia”, afferma Pagliani. “La terapia con laser o la somministrazione di farmaci anti-angiogenetici, che hanno come bersaglio il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF), possono essere d’aiuto nei casi in cui si osservi la formazione di vasi sanguigni non funzionali. Questo può rallentare la fuoriuscita di sangue e la perdita della vista, prevenendo ulteriori danni alla macula”. La terapia genica rappresenta un possibile fronte di ricerca da cui, si spera, potranno giungere in futuro nuove soluzioni. Attualmente, gli studi in questo campo sono alle fasi iniziali e sarà necessario attendere ancora del tempo prima che possano dare frutti.

“In mancanza di trattamenti mirati è fondamentale che le persone con malattia di Best si sottopongano a controlli regolari presso un oculista esperto, così da individuare con tempestività l’eventuale formazione di vasi sanguigni non funzionali”, conclude Pagliani. “Molti giovani affetti dalla malattia possono conservare una buona vista per molto tempo e potrebbero avere bisogno di aiuto solo quando (e se) la malattia progredisce verso gli stadi più avanzati. Perciò la priorità rimane quella di eseguire regolarmente le visite di controllo”.

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