Professor Giovanni Pellacani

Professor Giovanni Pellacani: “La gravità dei sintomi varia non solo tra un paziente e l’altro, ma anche tra i diversi episodi di riacutizzazione sperimentati dal medesimo paziente”

Attualmente sono ancora pochi gli studi incentrati sul decorso clinico della psoriasi pustolosa generalizzata (GPP) e le cause di questa lacuna sono molteplici: la rarità e la natura eterogenea della patologia in primis, oltre alla mancanza di consenso internazionale sulla diagnosi, sulla gestione dei pazienti e sulla definizione di “riacutizzazione” della malattia. Il professor Giovanni Pellacani, ordinario di Dermatologia all’Università Sapienza di Roma e direttore della Clinica dermatologica del Policlinico Umberto I, ci ha fornito un quadro generale di questa rara forma di psoriasi, dei fattori genetici che ne sono alla base e delle terapie disponibili.

LA PATOLOGIA 

La psoriasi pustolosa generalizzata (GPP) è una grave malattia multisistemica caratterizzata da un’improvvisa, violenta e diffusa eruzione cutanea eritematosa associata alla formazione di pustole sottocutanee sterili in diverse parti del corpo”, spiega il professor Pellacani. “La sua caratteristica principale, oltre alla pustolazione, è la presenza frequente di sintomi infiammatori sistemici, come febbre, malessere generale, affaticamento, edema invalidante, congiuntivite, artrite, uveite e colangite neutrofila”. Anomalie di laboratorio comuni nei pazienti con GPP includono neutrofilia, livelli elevati di proteina C-reattiva, ipocalcemia, ipoalbuminemia e alterazioni nei test di funzionalità epatica.

“La GPP – continua Pellacani – colpisce principalmente i giovani adulti, intorno alla quarta decade di vita, con una preponderanza femminile, ma può presentarsi a qualunque età, anche nei bambini”. Si tratta di una patologia molto rara, con una prevalenza di 1-9 casi ogni 1.000.000 di nati. Escludendo le forme localizzate di psoriasi pustolosa - come quella palmo-plantare, circoscritta a mani e piedi - occorre fare una differenziazione tra la forma di GPP Von Zumbusch (la variante più grave di psoriasi pustolosa), la forma anulare di Milian-Katchoura (dalla prognosi più favorevole, caratterizzata dalla comparsa di piccole pustole isolate su chiazze psoriasiche), la psoriasi pustolosa della gravidanza (già chiamata impetigine erpetiforme e causata da ipocalcemia) e la forma infantile/giovanile.

FATTORI GENETICI

I meccanismi patologici alla base della GPP non sono ancora del tutto chiari, ma in molti casi (circa il 24% del totale) la malattia è determinata da mutazioni nel gene IL36RN, che coinvolge l’antagonista del recettore di una proteina nota come interleuchina 36 (IL-36), una citochina pro-infiammatoria secreta dalle cellule del sistema immunitario. Studi genotipo-fenotipo hanno dimostrato che le varianti di GPP con mutazioni nel gene IL36RN sono associate a un'età precoce di insorgenza e a un'infiammazione più diffusa e sistemica. “L’interleuchina 36 svolge un ruolo chiave nella cascata infiammatoria”, spiega il prof. Pellacani. “La mancata inibizione di questa citochina determina la migrazione dei neutrofili e la formazione delle pustole”. La situazione viene complicata ulteriormente dal fatto che, oltre a inglobare e digerire detriti, cellule senescenti, infettate o trasformate, i neutrofili rilasciano particolari sostanze, tra cui pirogeni (responsabili della febbre) e altri mediatori chimici, aumentando la risposta infiammatoria.

UNA MALATTIA RECIDIVANTE

Il decorso clinico della GPP è molto variabile: può presentarsi come una malattia recidivante con riacutizzazioni ricorrenti (in assenza di sintomi tra un attacco e l’altro) o come una malattia persistente, con pustole lievi ma perpetue, le cui lesioni si esacerbano di tanto in tanto. “L'estensione e la gravità dei sintomi non variano solo tra un paziente e l’altro, ma anche tra i diversi episodi di riacutizzazione sperimentati dal medesimo paziente”, sottolinea il professor Pellacani. “Non c’è proporzionalità tra l’estensione dell’eritema e della pustolosi e la gravità della malattia. Quello che fa veramente la differenza in termini di prognosi è la presenza e la relativa gravità della sintomatologia sistemica. Possiamo avere casi di pazienti con vaste zone del corpo interessate dall’eritema, ma privi di manifestazioni infiammatorie generali, che sono decisamente meno gravi di pazienti con eritemi più localizzati ma che presentano sintomi sistemici importanti”.

Il quadro più grave in assoluto – prosegue Pellacani – si ha quando il paziente è eritrodermico (ossia con compromissione dell’intera cute) e, al contempo, presenta manifestazioni infiammatorie sistemiche. In questi casi la cute appare di un colorito rosso acceso tendente al violaceo, edematosa, lucida per il continuo gemizio di siero, ricoperta da squame lamellari biancastre e croste sierose. Sottopelle appaiono pustole sterili lattescenti che tendono alla confluenza, formando inizialmente dei grappoli erpetiformi e successivamente dei ‘laghi’ pustolosi. Lo stato generale del paziente è gravemente compromesso, con febbre associata a linfoadenopatia, disidratazione e squilibri elettrolitici, crampi, spasmi muscolari, anemia secondaria ed epatopatia. In questo caso è necessario agire in urgenza per ‘spegnere’ l’infiammazione che, se non trattata, può dare luogo a complicanze potenzialmente letali, come sepsi o insufficienza renale, epatica, respiratoria e cardiaca”.

Secondo una recente revisione sistematica, nella GPP la maggior parte delle riacutizzazioni dura 2-5 settimane e circa il 50% di questi episodi richiede il ricovero in ospedale. Spesso gli attacchi di GPP sono scatenati da fattori interni o esterni, detti “trigger”, tra cui infezioni (streptococco, staphylococcus aureus, candida albicans, herpes virus), condizioni che inducono ipocalcemia (gravidanza, ciclo mestruale o tumori delle paratiroidi), stress, alcuni farmaci (sali di litio, antimalarici, interferone, beta-bloccanti, FANS, penicilline, tetracicline, ecc.) o la sospensione della terapia con corticosteroidi.

IL TRATTAMENTO

“Nelle fasi acute di GPP - spiega il prof. Pellacani parlando di terapia - è necessario prima di tutto controllare l’idratazione e la nutrizione, regolare la temperatura e stabilizzare il paziente. La terapia d’urgenza prevede l’uso dei corticosteroidi con l’obiettivo di ‘spegnere’ l’infiammazione che, nei casi più severi, può portare al collasso d’organo (specialmente fegato e reni). In contemporanea è necessario effettuare un’accurata anamnesi per cercare di capire se ci sono stati dei fattori scatenanti. Ad esempio, scoprire che l’elemento precipitante è stata la somministrazione di un determinato farmaco permette di sospenderlo immediatamente evitando ulteriori complicazioni”. L’utilizzo di corticosteroidi nei pazienti con GPP è tuttavia controverso. “Questi farmaci, infatti, se da un lato riducono notevolmente l’infiammazione, dall’altro possono determinare un aumento dei neutrofili nel sangue, scatenando o riacutizzando la pustolazione”, chiarisce Pellacani.

In generale, molte delle terapie tradizionalmente in uso per la GPP sono quelle previste per altre forme di psoriasi. “In pratica prendiamo in prestito i farmaci indicati, ad esempio, per la psoriasi cronica a placche”, conferma il professore. “Utilizziamo retinoidi orali (acitretina), immunosoppressori (come ciclosporina e metotrexato) e agenti biologici”. I risultati, però, non sono eccezionali, perché mentre nelle altre forme di psoriasi giocano un ruolo importante proteine come il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-alfa) e le interleuchine IL-17 e IL-23, nella psoriasi pustolosa generalizzata la cascata infiammatoria è legata all’interleuchina 36. “Per questo motivo, il trattamento con agenti immunomodulatori biologici come gli inibitori di TNF-alfa o gli anticorpi monoclonali anti-IL-17 e anti-IL-23 non è risolutivo”, spiega Giovanni Pellacani.

Per fortuna, però – sottolinea l’esperto – sta per essere registrato anche in Italia un nuovo farmaco per la psoriasi pustolosa generalizzata: spesolimab, un anticorpo monoclonale anti-interleuchina 36 già approvato dalla Commissione EuropeaLo abbiamo somministrato all’interno di un protocollo di utilizzo compassionevole a due nostri pazienti gravissimi, che non rispondevano a nessuna terapia. I risultati sono stati eccezionali: con un’unica somministrazione abbiamo ottenuto una riduzione drastica e duratura dell’infiammazione”.

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