Liste d’attesa che costringono quasi uno su dieci a rinunciare a visite ed esami, disagio psicologico in aumento tra giovani e anziani, 2,9 milioni di persone con disabilità spesso lasciate sole e un figlio su 25 concepito con tecniche di procreazione assistita
È l’Italia descritta dal Rapporto Istat 2025, un Paese che invecchia, si ammala e fatica a prendersi cura di sé. Un’Italia che cambia, dove la salute, fisica, mentale e riproduttiva, si intreccia con squilibri demografici, fragilità economiche e disuguaglianze crescenti. Se da un lato la longevità resta alta (81,4 anni per gli uomini e 85,5 per le donne), dall’altro la speranza di vita in buona salute continua a diminuire, segnalando un peggioramento della qualità degli anni guadagnati. E mentre la natalità tocca nuovi minimi storici e oltre un terzo dei bambini nasce da madri over 40, cresce il numero di persone che rinunciano a curarsi per i costi o i tempi infiniti. Sono poi sempre più numerose le persone con disabilità e le famiglie che si ritrovano sole, spesso senza risorse né supporti adeguati. Uno scenario in cui il diritto alla salute rischia di diventare un privilegio e il futuro del Paese un’incognita.
CRESCE LA RINUNCIA ALLE PRESTAZIONI SANITARIE
Nel 2024, il 9,9% delle persone residenti in Italia (circa 6 milioni di persone ) ha rinunciato a visite o esami specialistici. Non si tratta di un dato marginale, ma di un indicatore preoccupante che riflette un sistema sotto pressione. A pesare di più sono le liste d’attesa troppo lunghe (6,8%) e i costi non sostenibili (5,3%), in molti casi motivazioni che si sovrappongono.
Rispetto al 2023, il fenomeno è in aumento di oltre due punti percentuali, ma soprattutto risulta in crescita rispetto al periodo pre-Covid, segno che la crisi sanitaria e sociale ha lasciato un’eredità pesante sulla capacità di accesso alle cure.
Sono le donne le più penalizzate: l’11,4% ha dichiarato di aver rinunciato a una prestazione sanitaria, contro l’8,3% degli uomini. L’età più critica è tra i 25 e i 34 anni, mentre tra i 45 e i 54 anni la quota supera il 13%, con motivazioni equamente divise tra problemi economici e tempi d’attesa eccessivi. Non si tratta solo di reddito o condizioni economiche: anche chi ha un alto livello di istruzione o vive nel Nord del Paese, aree da sempre considerate più virtuose in termini di offerta sanitaria, ha registrato un aumento della rinuncia alle cure. A livello territoriale, le differenze restano comunque significative: nel Centro Italia la quota raggiunge il 10,7%, nel Mezzogiorno il 10,3%, rispetto al 9,2% del Nord.
Il ricorso al privato è in aumento, ma resta una possibilità accessibile solo a chi può permetterselo.
PERSONE CON DISABILITÀ: ACCESSO ALLE CURE PIÙ DIFFICILE
Accanto al dato generale, il Rapporto Istat 2025 dedica attenzione specifica alla condizione sanitaria delle persone con disabilità, una parte della popolazione spesso invisibile nel dibattito pubblico. In Italia vivono circa 2,9 milioni di persone con disabilità, pari al 5% della popolazione residente, con un’incidenza che sale drasticamente tra le persone anziane: oltre il 19% tra chi ha più di 75 anni, con una marcata prevalenza tra le donne (21,9%) rispetto agli uomini (15,3%).
Il quadro soggettivo di salute è molto diverso rispetto al resto della popolazione: solo il 9,8% delle persone con disabilità riferisce di stare bene o molto bene, a fronte dell’83,1% di chi non ha limitazioni. Più della metà (57,3%) si percepisce in cattive condizioni di salute. Sebbene in leggera diminuzione rispetto agli anni precedenti, è un indicatore allarmante e segnala un’ampia fascia di cittadini in condizioni di vulnerabilità sanitaria, sociale ed economica.
L’88% delle persone con disabilità, inoltre, convive con almeno una patologia cronica. Il dato, che cresce con l’età, colpisce soprattutto le donne e contribuisce a rendere più complessa la gestione della salute quotidiana. A questo si aggiungono ostacoli oggettivi nell’accesso alle strutture sanitarie, nei trasporti, nelle informazioni disponibili e nell’adeguatezza delle cure offerte.
I divari si acuiscono quando la disabilità si somma a povertà, solitudine o bassa scolarizzazione.
COME CAMBIA LA MATERNITÀ IN ITALIA
Negli ultimi anni, il ricorso alla procreazione medicalmente assistita (PMA) in Italia ha registrato una crescita costante, accompagnando l’invecchiamento progressivo della popolazione femminile in età fertile. A fronte di una maternità sempre più posticipata, la PMA si è trasformata da opzione d’emergenza a scelta strutturale per un numero crescente di persone.
La legge che disciplina la materia (la n. 40 del 19 febbraio 2004) è stata profondamente modificata nel tempo da successive sentenze della Corte Costituzionale, fino a definire un quadro più flessibile rispetto all’impianto originario. Dal 2006, il Registro Nazionale PMA, istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità, monitora costantemente i trattamenti effettuati nei centri autorizzati.
I dati sono chiari: tra il 2005 e il 2022, il numero delle procedure di PMA è salito del 72,6%. L’unica flessione si è registrata nel 2020, anno della pandemia. A migliorare non è stato solo l’accesso, ma anche l’efficacia: nello stesso arco temporale, il tasso di successo dei trattamenti è raddoppiato, dal 16,3% al 32,9%.
Nel frattempo, è aumentata anche l’età media delle donne che si rivolgono a queste tecniche: da 34 anni nel 2005 a 37 nel 2022 (contro i 32 anni delle madri che hanno concepito naturalmente), al di sopra della media europea (35 anni nel 2019).
La percentuale di chi ha superato i 40 anni è passata dal 20,7% al 33,9% , un dato più alto rispetto al 21,9% europeo. A partire dai 40 anni, la PMA diventa la modalità prevalente di concepimento: il 76% delle nascite da donne di 50 anni e oltre avviene grazie alla fecondazione assistita.
Un altro elemento è la forte correlazione tra livello di istruzione e ricorso alla fecondazione assistita. Nel 2023, il 6,2% delle madri laureate ha avuto un figlio con PMA, contro il 2,2% tra le donne con basso livello di istruzione.
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