L’Agenzia Europea per i Medicinali ha recentemente raccomandato l’approvazione del farmaco lecanemab, indicato per pazienti con malattia in fase precoce
Negli Stati Uniti sono già due gli anticorpi monoclonali approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) contro la malattia di Alzheimer e ora i farmaci di questa categoria stanno finalmente sbarcando in Europa. Lo scorso mese di novembre, infatti, l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha espresso un parere positivo sull’immissione in commercio di lecanemab, un anticorpo monoclonale diretto contro la proteina amiloide e impiegato nel trattamento della malattia di Alzheimer nella fase precoce, caratterizzata da compromissione cognitiva lieve e demenza lieve. È una notizia che tutta la comunità dei pazienti attendeva e che, si spera, potrà aprire la strada ad ulteriori farmaci in grado di modificare il corso della malattia.
“L’Alzheimer è una patologia a carattere cronico-degenerativo che colpisce il paziente dal punto di vista clinico, la sua famiglia dalla prospettiva sociale e l’intero Servizio Sanitario Nazionale sotto l’aspetto della gestione sanitaria”, spiega il professor Massimo Filippi, direttore dell’Unità di Neurologia, del Servizio di Neurofisiologia e dell’Unità di Neuroriabilitazione presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele e ordinario di Neurologia all’Università Vita-Salute San Raffaele. “Questa malattia è provocata dalla deposizione di proteine anomale - la beta amiloide e la tau fosforilata - che danneggiano i neuroni conducendoli alla morte. Tuttavia, gli eventi biologici che sfociano nella malattia cominciano a realizzarsi diversi decenni prima delle manifestazioni cliniche”. Ciò ha indotto i ricercatori a studiare soluzioni per rimuovere i depositi di proteine aberranti e rallentare il più possibile la progressione dell’Alzheimer: gli studi condotti in questa direzione hanno portato all’avvento di anticorpi monoclonali come lecanemab e donanemab.
GLI ANTICORPI MONOCLONALI PER L’ALZHEIMER
Il percorso di approvazione degli anticorpi monoclonali contro l’Alzheimer non è stato lineare, ma ha presentato interruzioni e momenti di accesa discussione: ha avuto inizio nel giugno del 2021 quando la FDA ha approvato aducanumab, il primo di questi farmaci diretti contro la proteina beta amiloide, con una decisione che ha fatto molto discutere, dal momento che i dati clinici sull’efficacia non erano nettamente a favore del farmaco: la relazione tra la riduzione delle placche amiloidi e il miglioramento delle condizioni cliniche dei pazienti non era chiara e i dubbi sulla sicurezza erano consistenti. Tenendo conto di queste osservazioni, pochi mesi più tardi l’EMA ha rigettato la richiesta di approvazione di aducanumab, suscitando di fatto l’indignazione della comunità dei malati i quali, in assenza di farmaci mirati conto la patologia, avevano riposto le loro speranze nel meccanismo d’azione degli anticorpi monoclonali.
Mentre la discussone si infiammava, i dati preliminari su altre molecole - lecanemab e donanemab - sembravano però ribadire l’efficacia nell’eliminazione dell’amiloide, conferendo ai monoclonali un ruolo di primo piano contro l’Alzheimer: infatti, la possibilità di effettuare diagnosi sempre più precoci di malattia abbinata all’utilizzo di farmaci in grado di ridurre la progressione dei deficit cognitivi offre l’opportunità di migliorare nettamente la gestione della malattia, incrementando la qualità di vita dei malati.
L’OK DELL’EMA SU LECANEMAB
All’inizio il Comitato per i Medicinali per Uso Umano (CHMP) dell’Agenzia Europea per i Medicinali aveva espresso una valutazione negativa anche riguardo all’immissione in commercio di lecanemab ma, in seguito alla rivalutazione dei dati dello studio Clarity-AD, il CHMP ha rivisto il proprio giudizio, ritenendo che i benefici del farmaco nel rallentare il declino cognitivo proprio della malattia superassero i rischi associati agli effetti collaterali. “Oggi l’approvazione è stata concessa ai pazienti con malattia allo stadio iniziale, portatori di una sola copia o di nessuna copia del gene ApoE4”, prosegue Filippi. “Coloro che hanno due copie di questo allele, infatti, sono a maggior rischio di incorrere nei cosiddetti fenomeni ARIA-E e ARIA-H, cioè nella comparsa di edema o emorragie. Questo accade perché la rimozione della proteina amiloide può comportare un’alterazione delle strutture vascolari”. Nel gruppo selezionato da EMA, invece, il rischio di sperimentare effetti collaterali dannosi è minore e, di conseguenza, l’indicazione per il lecanemab è stata ristretta, escludendo le persone con due copie dell’allele ApoE4. Inoltre, il CHMP ha imposto misure aggiuntive per ridurre i rischi, tra cui un programma di accesso controllato e la regolare esecuzione di esami di risonanza magnetica per monitorare la sicurezza del farmaco; tali misure migliorano il bilancio beneficio-rischio di lecanemab, proteggendo le persone da possibili effetti collaterali dannosi come quelli appena indicati.
“L’approvazione di lecanemab da parte dell’EMA segna un momento storico nel trattamento della malattia di Alzheimer”, afferma ancora Filippi. “Questo farmaco offre una nuova speranza per tutte le persone affette da Alzheimer in fase iniziale, permettendo un intervento che potrebbe modificare l’evoluzione della malattia. È un passo avanti che, come neurologi e ricercatori, accogliamo con profonda soddisfazione”. Non si può ancora parlare di una vera cura ma l’arrivo di trattamenti che modificano la progressione della malattia rappresenta una svolta nella gestione dei pazienti: l’accumularsi di dati ottenuti dagli studi clinici ne ha definito il profilo di sicurezza, confermandone l’efficacia e permettendo oggi di utilizzarli nelle fasi iniziali della malattia, tenendo conto dei fattori prognostici.
Presso il Centro per la malattia di Alzheimer e patologie correlate (CARD) dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, diretto dallo stesso professor Filippi, si è provveduto ad attuare un sistema altamente strutturato per garantire ai pazienti il massimo livello di sicurezza ed efficacia nella somministrazione di farmaci così delicati come lecanemab. “Il nostro centro possiede un’esperienza reale di utilizzo del farmaco”, conclude Filippi. “E questo perché siamo stati i primi in Italia a infondere lecanemab ad alcuni pazienti”. Perciò, è stato implementato un programma di diagnosi biologica precoce, di valutazione dei fattori di rischio e di monitoraggio dell’efficacia e degli effetti collaterali del trattamento.
IL PLAUSO DELLE ISTITUZIONI ITALIANE
Nel frattempo, anche l’Intergruppo Parlamentare Alzheimer e Neuroscienze ha espresso piena soddisfazione per l’approvazione di lecanemab da parte dell’Agenzia Europea per i Medicinali. “La decisione del CHMP rappresenta una luce in fondo al tunnel per oltre 600mila persone affette da Alzheimer in Italia”, ha affermato l’Onorevole Annarita Patriarca, Presidente dell’Intergruppo. “Per la prima volta una terapia che rallenta il declino cognitivo diventa una realtà accessibile in Europa. Adesso è cruciale che il nostro Paese si muova con rapidità per recepire queste innovazioni e garantirle ai pazienti”.
“La scienza ci ha consegnato una straordinaria opportunità ma sta a noi garantire che queste opportunità siano concretamente accessibili a tutti i cittadini”, ha aggiunto la Senatrice Beatrice Lorenzin, Presidente dell’Intergruppo. “L’Italia ha già un Piano Nazionale Demenze, approvato nel 2014, e un Fondo dedicato, recentemente rifinanziato con 4,9 milioni di euro per il 2024 e 15 milioni per gli anni 2025 e 2026. Tuttavia, è necessario uno sforzo maggiore per assicurare l’accesso tempestivo alle nuove terapie e ridurre le disuguaglianze regionali. Come Intergruppo, continueremo a lavorare con la comunità scientifica e le associazioni per superare ogni ostacolo”.
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