Malattia di Castleman: l'IA per la ricerca di farmaci

Un esempio di “drug repurposing” applicato a un singolo caso clinico arriva dagli Stati Uniti: ecco la storia di Albert

Un esempio fra tanti di come l’intelligenza artificiale può davvero cambiare la vita di pazienti con malattie rare e di quanto sempre di più saranno determinanti le collaborazioni fra tutti gli stakeholder che si occupano di ricerca medica e biotecnologica – pubblica, profit e non - è la storia di Albert, 50 anni, affetto da una forma idiopatica multicentrica di malattia di Castleman (iMCD) refrattaria ai farmaci approvati per il suo trattamento.

Un team di ricercatori composto da clinici dell’Università della Pennsylvania, del Castleman Disease Collaborative Network, di Medidata e della no-profit Every Cure, ha utilizzato l’intelligenza artificiale per individuare un farmaco già esistente per trattare la malattia, che si è rivelato un salvavita per Albert.

La malattia di Castleman è una patologia rara e pericolosa per la vita che comporta l’iperattivazione del sistema immunitario, provocando una disfunzione di vari organi. Come raccontavamo a gennaio 2024, è una malattia di complessa diagnosi. “L’opzione chirurgica è il trattamento d’elezione della forma unicentrica della malattia di Castleman, con scomparsa delle manifestazioni sintomatologiche ad essa correlate”, ci spiegava Marco Paulli, Professore Ordinario di Anatomia Patologica presso il Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Pavia e Direttore della Struttura Complessa di Anatomia Patologica della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia. “Per la forma idiopatica della malattia, tipicamente multicentrica e spesso associata a sintomi anche gravi, il primo farmaco è stato approvato solo nel 2014, dieci anni fa. Si tratta di siltuximab, un anticorpo monoclonale diretto contro l’IL-6 umana che ha fornito ottimi risultati, soprattutto nei pazienti con marcate alterazioni dei diversi parametri dell’infiammazione”. Nelle forme più gravi è possibile un’associazione con farmaci steroidei e, nei casi che non rispondono al siltuximab, è stato proposto l’impiego del tocilizumab. “Vari studi hanno recentemente dimostrato nella malattia di Castleman una serie di alterazioni genetico-funzionali, tra cui l’attivazione della vie di segnalazione di m-TOR e di JAK/STAT, che potrebbero rappresentare dei possibili bersagli terapeutici, specie nei casi refrattari al siltuximab”, conclude Paulli. “Dati preliminari sembrano indicare risultati promettenti relativamente all’impiego rispettivamente del sirolimus (inibitore di m-TOR) e del ruxolitinib (inibitore di JAK).

Albert aveva esaurito tutte la opzioni terapeutiche note e disponibili. Il team di Luke Chen, dell'Università della British Columbia, dopo aver consultato David Fajgenbaum e il suo team di Every Cure, che avevano identificato il potenziale beneficio del farmaco adalimumab utilizzando un approccio proteomico guidato dall’intelligenza artificiale, ha provato a prescrivere il farmaco ad Albert come ultima possibilità conosciuta di trattamento, proprio quando il paziente iniziava a mostrare i sintomi peggiori nella sua battaglia di due anni contro l’iMCD (Il farmaco quindi è stato utilizzato come trattamento “off-label” per un singolo caso clinico). Nel giro di pochi giorni dall’assunzione di adalimumab gli organi di Albert hanno ripreso la funzione, i suoi sintomi si sono attenuati ed egli è entrato in remissione (qui il comunicato stampa rilasciato da Every Cure).

L’algoritmo in questione valuta il potenziale di ogni farmaco esistente nel trattamento di ogni malattia conosciuta sulla base della conoscenza mondiale proveniente da pubblicazioni e database. Every Cure LinkMap ha inizialmente classificato tutti i 3.000 farmaci approvati dalla FDA generando 36 milioni di valutazioni. Da questo, il sistema ha identificato un anticorpo monoclonale, adalimumab, come il trattamento più promettente per l’iMCD tra tutti i 3.000 farmaci approvati. E nel caso di Albert così è stato.

Adalimumab è un anticorpo monoclonale tipicamente utilizzato per trattare condizioni infiammatorie gravi e spesso debilitanti come l’artrite reumatoide, l’artrite idiopatica giovanile, l’artrite psoriasica e il morbo di Crohn e viene somministrato tramite un'iniezione sottocute. Il farmaco è stato autorizzato da dalla Food and Drug Administration (FDA) e dall’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) e, di conseguenza, approvato anche dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) per il trattamento di alcune specifiche patologie. Nessun ente regolatorio ha attualmente approvato il trattamento con adalimumab per l’iMCD ma, dopo il successo nel caso di Albert, Every Cure e i suoi partner di ricerca stanno iniziando a gettare le basi per condurre studi clinici per convalidare il suo utilizzo per questa malattia.

PEMBROLIZUMAB PER L’ ANGIOSARCOMA CELEBRALE

Every Cure sta attualmente lavorando per identificare i farmaci più promettenti per essere testati per il riutilizzo su altre malattie. È notizia di agosto 2023 che un paziente con angiosarcoma celebrale ha raggiunto i 7 anni di remissione della malattia grazie all'uso di pembrolizumab, un inibitore di PD-1 usato per trattare altri tumori e suggerito dal sistema Every Cure. Nel 2016 Michael si è trovato di fronte a una diagnosi di angiosarcoma metastatico con una prognosi di soli tre mesi. Il team di Fajgenbaum ha ripreso uno studio del 2013 che indicava alti livelli di PD-L1 in tre pazienti con la forma di cancro di Michael e poi ha confermato gli stessi risultati nel tumore del paziente. L'impatto positivo è stato immediato e da allora questo farmaco è stato utilizzato in altri casi di angiosarcoma.

Le storie di Albert e di Michael devono essere attualmente considerate singoli casi, spunti per direzionare la ricerca scientifica. Saranno necessari studi clinici strutturati che confermino questi effetti per poter ufficialmente approvare un nuovo utilizzo di un farmaco nella pratica clinica.

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