Prof.ssa Marta Serafini - Sindrome di Hurler

Prof.ssa Marta Serafini (Monza): “La comprensione del meccanismo con cui si genera il danno scheletrico è un obiettivo prioritario per arrestare o prevenire la progressione della malattia”

All’inizio del 1920 lo European Journal of Pediatrics riportò un articolo dedicato alle problematiche dell’apparato scheletrico in alcuni pazienti affetti da sindrome di Hurler, la più grave forma di mucopolisaccaridosi di tipo I (MPS I). A firmare l’articolo era una giovane pediatra tedesca, Gertrud Hurler, che nel corso del suo dottorato di ricerca per prima osservò e descrisse, in un gruppo di bambini ricoverati presso l’Hauner Children’s Hospital di Monaco, alcuni dei sintomi della malattia che in seguito avrebbe preso il suo nome. Più di cento anni sono trascorsi e le deformazioni dello scheletro continuano ad incidere in maniera pesante sulla qualità di vita dei malati di Hurler, nonostante nel tempo siano stati sviluppati diversi approcci terapeutici per la patologia. Pertanto, l’elaborazione di un modello avanzato di questa sindrome rappresenta una preziosa acquisizione nell’ottica di sviluppare valide soluzioni di cura.

Una ricerca congiunta della Fondazione Tettamanti di Monza e della Sapienza Università di Roma ha permesso di mettere a punto un organoide di osso, ossia un modello miniaturizzato dell’organo che, attraverso l’utilizzo di cellule staminali scheletriche di pazienti con sindrome di Hurler, è in grado di riprodurre con fedeltà l’architettura del tessuto cartilagineo e osseo umano compromesso dalla patologia. Si tratta di un grande traguardo nello studio dei meccanismi patogenetici di questa rara malattia genetica dell’infanzia.

LA PATOLOGIA

La sindrome di Hurler rientra nel gruppo delle malattie lisosomiali (patologie che interessano organelli cellulari chiamati lisosomi) e, in particolare, delle mucopolisaccaridosi (MPS). Le MPS rappresentano un ampio ed eterogeneo insieme di malattie in cui il quadro clinico è legato all’impossibilità di degradare alcune sostanze, dette glicosaminoglicani (GAG)”, spiega Marta Serafini, professore associato alla Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano-Bicocca e ricercatrice presso la Fondazione Tettamanti dell’IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza. “La sindrome di Hurler è dovuta alla mancanza dell’enzima alfa-L-iduronidasi che degrada i GAG, perciò essi si accumulano nelle cellule di tutto il corpo danneggiando molti organi, come il cuore, il cervello e, appunto, lo scheletro”.

L’esordio clinico della sindrome di Hurler avviene nella prima infanzia, generalmente nel periodo compreso tra i sei mesi e i due anni di vita del bambino, con sintomi caratteristici: innanzitutto una serie di deformazioni cranio-facciali comprendenti fronte grossolana, aumento delle dimensioni della lingua (macroglossia) e anomalie nella dentizione. “La deposizione dei GAG interessa tutti gli organi del corpo umano per cui non è infrequente osservare casi di epato-splenomegalia, interessamento delle valvole cardiache, disturbi respiratori, problemi oculari (opacità corneale) e anomalie dello scheletro”, continua Serafini. “In quest’ultimo caso si riscontrano ritardi nella crescita [i bambini con sindrome di Hurler sono di bassa statura, N.d.R.] e rigidità articolare, la quale può provocare deformità delle mani e scoliosi a livello della colonna vertebrale”. Infine, questa malattia determina un importante ritardo dello sviluppo psicomotorio, con progressivo deterioramento cognitivo.

UN BISOGNO TERAPEUTICO ANCORA INSODDISFATTO

La principale opzione terapeutica disponibile per la sindrome di Hurler è rappresentata dal trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche, provenienti dal midollo osseo o dal sangue del cordone ombelicale di un donatore sano”, puntualizza Serafini, che svolge la sua attività presso uno dei centri di riferimento per la cura di questa malattia. “Una volta che tali cellule attecchiscono nel midollo del malato cominciano a rilasciare l’enzima che all’organismo manca per degradare i GAG. Ma affinché il trapianto giunga alla massima efficacia clinica deve essere effettuato entro i primi due anni di vita del bambino”. La sindrome di Hurler, infatti, è una malattia multistemica progressiva e più tardi viene affrontata, minori sono le possibilità di prevenire o correggere i difetti ad essa correlati.

Purtroppo, il trapianto è solo parzialmente efficace contro le deformità ossee e il deficit cognitivo”, aggiunge l’esperta, spiegando come le deformità scheletriche continuino a costituire una delle complicanze più critiche di questa patologia. “Nei modelli animali è risultato evidente che le ossa lunghe degli individui affetti dalla sindrome di Hurler sono di dimensioni ridotte e appaiono allargate rispetto a quelle degli esemplari sani di controllo. I bambini hanno problemi alle vertebre, tra cui cifosi e gibbo marcati, ma il meccanismo d’azione che innesca tali difetti non è ancora del tutto chiaro”. Pertanto, grazie al modello tridimensionale ricavato da cellule umane e messo a punto in collaborazione con i colleghi dell’Università di Roma, i ricercatori della Fondazione Tettamanti stanno indagando meglio i processi patologici dell’osso per fare luce sugli aspetti più complessi della sindrome di Hurler e, in prospettiva, poter agevolare lo sviluppo di terapie sempre più efficaci.

“Attualmente, oltre al trapianto di cellule staminali da donatore, è disponibile anche la terapia enzimatica sostitutiva (ERT), che si basa sull’infusione settimanale dell’enzima di cui il paziente è deficitario e che è in grado di migliorare alcuni sintomi, tra cui l’organomegalia e la funzionalità cardiaca. L’ERT, tuttavia, non essendo in grado di attraversare la barriera emato-encefalica, non riesce ad agire sui sintomi neurologici della Hurler; inoltre, ha un effetto limitato anche sull’osso”, spiega ancora Serafini. “Per i pazienti affetti da questa condizione c’è anche la speranza della terapia genica, grazie a un trial clinico in corso all’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano che potrebbe produrre risultati promettenti, reintroducendo con una correzione genica la funzionalità dell’enzima alfa-L-iduronidasi”.

PROSPETTIVE DI RICERCA

Negli ultimi anni sta prendendo corpo la possibilità di disporre di un programma nazionale di screening neonatale che permetterebbe di individuare precocemente i bambini con sindrome di Hurler e di avviarli per tempo al trapianto, anticipando così l’instaurarsi dei danni neurologici e scheletrici associati alla patologia. “I pazienti affetti da questa condizione sono colpiti da disturbi neurologici, dolori e disabilità che spesso li obbligano a trascorrere la vita sulla sedia a rotelle e che limitano fortemente le loro attività quotidiane, riducendo la qualità e anche l’attesa di vita”, sottolinea la professoressa Serafini. “La comprensione del meccanismo con cui si genera il danno scheletrico è un obiettivo prioritario per arrestare o prevenire la progressione della malattia”, conclude l’esperta. “Purtroppo, però, sono pochi i ricercatori che nel mondo si occupano di questa malattia, e meno ancora quelli che stanno lavorando sull’ossificazione endocondrale, il processo che abbiamo approfondito con il nostro modello tridimensionale”.

Per conoscere i dettagli della ricerca condotta da Fondazione Tettamanti di Monza e Sapienza Università di Roma leggi l’approfondimento pubblicato su Osservatorio Terapie Avanzate.

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