Tumore al seno: l'importanza dei test genetici

Il commento della Società Italiana di Genetica Umana (SIGU): “I nostri specialisti sono pronti. La sfida è aumentare il numero di test da eseguire”

È uno dei temi più importanti della medicina oggi: per le donne colpite da tumore al seno scoprire la presenza di un difetto genetico specifico (l’alterazione dei geni BRCA1 e BRCA2) può indicare la terapia più efficace da seguire. Per questo, sulla prestigiosa rivista Journal of Clinical Oncology pochi giorni fa sono stati pubblicate, dopo revisione sistematica della letteratura scientifica, le raccomandazioni della società scientifica ASCO (American Society of Clinical Oncology) insieme all’Associazione dei Chirurghi Senologi Americani.

“Dalla lettura dello studio emergono importanti novità sull’utilizzo dei test genetici”, spiega la Prof.ssa Emanuela Lucci Cordisco, genetista medico e ricercatore dell’Università Cattolica di Roma e dirigente Medico presso il Policlinico Gemelli IRCSS di Roma. “In primo luogo, gli oncologi americani hanno voluto rispondere a un quesito fondamentale: a chi proporre il test? Le raccomandazioni indicano che il test genetico sul sangue andrebbe offerto al numero più alto di persone con nuove diagnosi di cancro della mammella, in particolare alle donne fino ai 65 anni di età e non fino ai 40 anni come avviene oggi in Italia. È stata infatti sottolineata l’importanza di offrire una gestione clinica personalizzata ai/alle pazienti che presentano alterazioni dei geni BRCA1 e BRCA2, per i quali l’utilizzo di un farmaco è in grado di fornire un vantaggio terapeutico”. Per questo il test dovrebbe essere offerto al maggior numero di persone. Anche le persone in età superiore ai 65 anni o con vecchie diagnosi dovrebbero avere accesso al test genetico nel caso in cui questo fosse importante per la loro gestione clinica. Infine, in alcuni casi potrebbe essere utile proporre anche l’analisi di altri geni. “Si tratta di un numero di persone che si fa sempre più elevato: la nostra opinione è che se anche nel nostro Paese sarà offerto un numero così massiccio di test servirà trovare un giusto compromesso tra l’aumento della soglia di età e il carico di lavoro dei laboratori”, continua la prof.ssa Lucci Cordisco. “Questo aspetto indicato dall’ASCO pone la necessità di una riflessione a livello europeo e in ogni singolo Paese.”

L’utilizzo massiccio dei test in ambito oncologico pone diverse sfide ai genetisti, sia dal punto di vista del laboratorio che da parte del genetista medico. “La sfida per i genetisti che emerge da questo lavoro è, a nostro avviso, l’aumento del carico di lavoro dei laboratori e delle richieste di consulenza genetiche. Sarà perciò necessario aumentare il coordinamento tra il team multidisciplinare per fornire il test genetico in tempi utili, oggi di circa 4 settimane. Occorre poi considerare – aggiunge la prof.ssa Lucci Cordisco – che questo tipo di test è diverso dagli altri esami eseguiti durante il percorso di cura del/della paziente con tumore della mammella. Non ha solo importanza per la terapia del cancro della mammella, ma può identificare un rischio di poter sviluppare altri tumori non solo dei/delle pazienti ma anche per alcuni loro familiari. Inoltre, identificarlo può portare alla programmazione di una modalità di prevenzione adeguata all’aumentato rischio.”

Come proporre il test genetico germinale, cioè sul sangue, al paziente? Occorre far comprendere tutte le implicazioni. Il consenso informato richiesto prevede la firma del paziente che deve avere ben compreso la portata del test; per questo va previsto un counseling per il test genetico, sia pre- che post-test, come sottolineato dall’ASCO. Nel counseling pre-genetico vanno condivise le implicazioni del test, i possibili risultati, i suoi limiti e la utilità clinica con le implicazioni personali e familiari. Nel counseling post-test vanno discussi i risultati, i rischi ad essi associati, le modalità di prevenzione e le indicazioni per i familiari.

È importantissimo discutere il risultato del test genetico per la predisposizione ereditaria che definisce anche il rischio per i familiari”, conclude Lucci Cordisco. “Noi genetisti di SIGU siamo impegnati da anni per ottenere una corretta discussione con il paziente, al fine di arrivare ad un'adeguata comprensione. È importantissimo che i pazienti comprendano tutte queste implicazioni per poter trasmettere le indicazioni ai familiari. Una delle problematiche che emerge nel nostro Paese è il numero esiguo di questi specialisti. Con un utilizzo massiccio di test oncologici serviranno molti più genetisti formati in ambito oncologico, che approfondiscano anche la conoscenza delle terapie oggi a disposizione in un continuo percorso di aggiornamento. In Italia la storia del genetista medico in campo oncologico è più che ventennale, perciò è una sfida che ci sentiamo di accogliere”.

Leggi anche: "Tumore alla mammella: il test genetico è importante ma non può prescindere da una consulenza esperta".

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