Casa Hopen

Inaugurata a Roma alla fine del 2019, la struttura offre ai giovani pazienti tante attività affinché possano occupare il proprio tempo in modo costruttivo

“Non posso dimenticare la faccia di Cinzia quando è arrivata a Casa Hopen, era incredula. Diceva che suo figlio Fabrizio non era mai riuscito a trovare un posto dove stare, perché nei vari centri diurni che aveva provato a frequentare fino a quel momento non si era mai sentito accolto e ora, finalmente, si sentiva come a casa”.

Margherita Caselli è la direttrice di Casa Hopen, il centro inaugurato dalla Fondazione Hopen nell’ottobre 2019 nel quartiere romano della Bufalotta, per offrire una risposta a tutti i ragazzi con malattie genetiche senza diagnosi, e più in generale con disabilità psico-motorie, che si trovano nella fase di passaggio tra la fine del ciclo scolastico e l’inizio di una nuova e più incerta stagione della vita.

“Occupare il tempo dei loro figli in maniera sensata e costruttiva è una delle sfide più grandi che si trova a fronteggiare una famiglia”, spiega il presidente della Fondazione Hopen, Federico Maspes, che in questa iniziativa ci ha fortemente creduto. “Casa Hopen ci ha permesso di riunire in un unico luogo tutti i corsi, le attività e le iniziative che fino a quel momento avevamo portato avanti in giro per Roma. Devo ringraziare lo straordinario lavoro di progettazione e allestimento dei locali seguito personalmente da un altro consigliere Alessandro Alessandrini”.

Federico Maspes è il padre di Clementina, una ragazza con una malattia genetica rara non diagnosticata. È lui stesso un medico, un radiologo per la precisione, che dopo aver trascorso anni nello sfibrante tentativo di trovare un nome alla malattia di sua figlia, ha deciso di cambiare registro: il problema non era più chiedersi quale fosse la patologia di Clementina, ma capire cosa potesse fare per lei e per le migliaia di ragazze e ragazzi che, insieme alle loro famiglie, vivono in quel limbo determinato dalla mancanza di una diagnosi. Ragazze e ragazzi che, come tanti dei loro coetanei disabili, con l’arrivo della maggiore età si trovano dinanzi al rischio di rimanere tagliati fuori dalla vita sociale. Per questo, accanto al ruolo di assistenza e advocacy, fin dai suoi primi mesi di vita nel 2016 la Fondazione Hopen ha organizzato attività sportive e ludiche che creassero occasioni di socializzazione, rafforzando al tempo stesso le competenze dei ragazzi. Poi, tre anni dopo, la svolta. “Siamo riusciti a realizzare Casa Hopen attraverso un contributo della Fondazione OSO Vodafone, ma non è stato semplice”, racconta Maspes. “Ci sono voluti due anni per trovare una sede, che alla fine abbiamo identificato in una struttura messa a disposizione dalla parrocchia Santa Maria delle Grazie. E oggi i nostri ragazzi arrivano da tutta Roma grazie anche a un pulmino, che parte dalla stazione della metropolitana Lepanto”.

Oggi che le attività sono ripartite in presenza dopo l’interruzione causata dall’emergenza COVID-19, Casa Hopen è aperta ogni giorno, dal lunedì al venerdì. “Vengono circa una ventina di ragazzi”, precisa il presidente. “Chi ha già finito la scuola arriva al mattino, gli altri si aggiungono nel pomeriggio”. Tra i progetti, attualmente in corso, tutti completamente gratuiti, ci sono i laboratori di cucina e di musicoterapia, ma anche quelli di danzaterapia e teatroterapia. E poi c’è l’orto a chilometro zero e, naturalmente, l’attività sportiva, fiore all’occhiello della Fondazione. Grazie alla collaborazione con Asi Sport Equestri Ads, con il progetto “Attività Equestri Integrate” i ragazzi possono praticare l’equitazione, l’unica attività svolta al di fuori delle mura di Casa Hopen, presso l’ippodromo di Capannelle. Di grande impatto anche il karate, molto amato dagli ospiti e praticato fin dalla prima ora. “Noi stessi siamo rimasti molto colpiti dal potere aggregante di questa disciplina: i ragazzi non hanno alcuna difficoltà a seguire gli insegnamenti del maestro e sono sempre pronti ad aiutarsi e supportarsi tra loro”, sottolinea Margherita Caselli. “Lo sport è una medicina per tutti, ma sui giovani con difficoltà ha un effetto straordinario”, conferma Maspes. “Il karate, in particolare, rappresenta un momento di fortificazione dell’autostima, molto efficace per i ragazzi con disturbo dello spettro autistico o con deficit di attenzione, che rispondono sempre con la compostezza e il rigore che non ti aspetteresti”.

Tutto perfetto allora? Non proprio, perché esiste purtroppo una nota dolente: “Il problema è che ci sentiamo molto soli, non avvertiamo la vicinanza delle istituzioni”, conclude il presidente. “Abbiamo le carte in regola per offrire un sollievo a tutte quelle famiglie, costrette a portare un carico troppo forte sulle spalle. Il nostro è un progetto senza scopo di lucro, pensato esclusivamente per il bene della comunità. Eppure continuiamo a camminare da soli: a volte hai la sensazione di stare in un collo di bottiglia che, alla fine, ti può logorare”.

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