Il dottor Angelo Di Giorgio (Bergamo): “I dati preliminari sono promettenti: il farmaco si è rivelato efficace in diverse forme di malattia”
In occasione del recente evento “Together hand in hand”, il dottor Angelo Di Giorgio, pediatra epatologo presso il Centro epatologia e trapianti pediatrici dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ha illustrato i positivi risultati ottenuti nei primi venti pazienti italiani affetti da colestasi intraepatica familiare progressiva (PFIC) trattati con il nuovo farmaco odevixibat, potente inibitore del trasporto ileale degli acidi biliari (IBAT). La molecola, prodotta da Albireo Pharma, è stata recentemente approvata da AIFA e rappresenta un’efficace opzione terapeutica per la PFIC, capace di agire localmente sull’intestino tenue (con esposizione sistemica minima) e di fornire benefici clinici significativi ai pazienti.
LA PATOLOGIA
Nella colestasi intraepatica familiare progressiva (PFIC), a causa di un difetto genetico, il ciclo di formazione e trasporto della bile è compromesso. Il meccanismo di sintesi e riassorbimento degli acidi biliari (AB) nell’intestino tenue non funziona correttamente e questi finiscono col riversarsi nelle cellule epatiche e nel flusso sanguigno. I grassi e le vitamine liposolubili vengono assorbiti con difficoltà e i bambini affetti da PFIC possono presentare ritardi nella crescita, problemi nutrizionali e rachitismo. Inoltre, l’accumulo di acidi biliari all’interno delle cellule del fegato porta allo sviluppo di fibrosi epatica, che può evolvere in cirrosi. Molti pazienti presentano anche disturbi extraepatici: sordità neurosensoriale, diarrea acquosa, pancreatite, predisposizione a sviluppare polmoniti e altre malattie respiratorie. Gli acidi biliari in circolo provocano un prurito diffuso e severo, capace di diventare un sintomo talmente invalidante da compromettere le normali attività quotidiane (in particolare il sonno).
I PRIMI PAZIENTI ITALIANI TRATTATI CON ODEVIXIBAT
In Italia, grazie a un protocollo di accesso anticipato a odevixibat per uso compassionevole, supportato da Albireo Pharma, è stato possibile trattare con il farmaco, prima della sua effettiva immissione in commercio, ventun pazienti affetti da PFIC che non rientravano nei criteri di inclusione degli studi clinici registrativi. Odevixibat blocca il riassorbimento intestinale degli acidi biliari, ne inibisce selettivamente il trasporto verso l’ileo e ne aumenta lo smaltimento attraverso il colon.
“I primi risultati di questo studio multicentrico sono promettenti”, ha spiegato il dottor Angelo Di Giorgio. “Sono stati arruolati 21 pazienti in 8 centri distribuiti su tutto il territorio nazionale, ma i dati preliminari raccolti riguardano venti pazienti”.
Dei ventun pazienti entrati nel programma di uso compassionevole, 2 risultavano essere affetti da PFIC di tipo 1, 8 da PFIC di tipo 2, 2 da PFIC di tipo 3, 6 da PFIC di tipo 4, uno da PFIC di tipo 5 e uno da PFIC di tipo 6; inoltre, un uomo di 29 anni presentava una colestasi intraepatica ricorrente benigna (BRIC), ossia una forma episodica di PFIC. Di questi pazienti (età media di 7 anni), 17 riportavano un grave problema di prurito, mentre tutti mostravano livelli elevati di acidi biliari sierici (sBA) e una mancata risposta al trattamento con acido ursodesossicolico (UDCA), rifampicina e altre terapie utilizzate per la PFIC.
I pazienti, trattati con odevixibat per 6 mesi, hanno ricevuto il farmaco con un dosaggio di 40 microgrammi/kg/die o 120 microgrammi/kg/die. Periodicamente sono stati eseguiti esami ematochimici per verificare i livelli di acidi biliari sierici. Inoltre, per valutare il prurito sono state utilizzate due scale di punteggio: la Physician Global Impression of Symptoms (PGIS) e la Physician Global Impression of Change (PGIC).
I RISULTATI DEL TRATTAMENTO
“In 14 pazienti su 20 abbiamo riscontrato una riduzione degli sBA”, ha affermato il dottor Di Giorgio. “Gli acidi biliari sierici hanno cominciato a scendere a partire dalla prima somministrazione di odevixibat fino terzo mese, sono leggermente risaliti il quarto mese e poi hanno ricominciato a diminuire dopo il quinto mese. Siamo passati da un valore medio di sBA di 291 micromoli/l a uno di 57 micromoli/l all’ultima visita di follow up”.
“Inoltre, 12 partecipanti su 17 hanno riportato un miglioramento del prurito”, ha dichiarato il dottor Di Giorgio. “Abbiamo apprezzato una riduzione del prurito anche nel caso di due fratellini (rispettivamente di 6 anni e 7 mesi) affetti da PFIC4 che presentavano lichenificazione (ispessimento) della pelle dovuta a grattamento. Un miglioramento del prurito è stato riscontrato anche nel caso di un bambino di 5 anni affetto da PFIC2 con lesioni cutanee psoriasiche (il cosiddetto fenomeno di Koebner), dovute sempre a grattamento, e una grave compromissione della qualità della vita. Non potendo essere arruolato negli studi registrativi a causa della psoriasi, il paziente è entrato nel programma di uso compassionevole. A 90 giorni dall’inizio del trattamento con odevixibat gli sBA erano scesi ma non in modo significativo (da 365 micromoli/l a 238 micromoli/l), e il bambino lamentava ancora prurito. Il farmaco è stato mantenuto e, alla visita successiva, gli sBA erano calati a 66 micromoli/l e il prurito migliorato. A 10 mesi dall’inizio del trattamento i livelli degli acidi biliari sierici si attestavano a 9 micromoli/l, tutti i parametri ematochimici erano migliorati e anche la terapia per la psoriasi cominciava a fare effetto, grazie alla diminuzione delle lesioni da grattamento”.
“Anche il nostro paziente più ‘anziano’ ha tratto beneficio dal nuovo farmaco”, ha raccontato il dottor Angelo Di Giorgio. “Ha 29 anni ed è affetto da BRIC dovuta a mutazione del gene ATP8B1. I primi sintomi sono insorti all’età di 17 anni con colestasi, bilirubina elevata e prurito severo. Da allora ha avuto uno o due episodi acuti di malattia all’anno, con prurito grave, della durata di due o tre mesi. Il paziente è entrato nel programma di uso compassionevole in seguito a una crisi e, con odevixibat, gli sBA si sono normalizzati in due settimane. L’episodio di crisi è durato 30 giorni, ossia meno a lungo dei precedenti. Malgrado gli effetti avversi di tipo gastrointestinale, il paziente ha voluto mantenere il farmaco. Nonostante la continua assunzione di odevixibat, l’anno successivo si è verificato un nuovo episodio acuto di BRIC. Il dosaggio del farmaco, che gradualmente era stato ridotto da 120 a 40 microgrammi/kg/die, è stato riportato a 120 microgrammi/kg/die e, in 38 giorni, i livelli degli acidi biliari sierici si sono normalizzati. Anche se non ha prevenuto la recidiva di malattia, odevixibat l’ha resa più breve e meno aggressiva, migliorando quindi la qualità di vita del paziente”.
“Nel complesso – ha riassunto il dottor Di Giorgio – il trattamento con odevixibat è stato ben tollerato, anche se sono stati riportati alcuni effetti avversi di tipo gastrointestinale (diarrea, dolore addominale). La risposta al farmaco può essere lenta: a volte i risultati si sono fatti attendere per cinque o sei mesi, ma non bisogna lasciarsi scoraggiare da questo aspetto. Odevixibat – ha concluso l’esperto – rappresenta la prima vera e promettente alternativa terapeutica non chirurgica per i pazienti affetti da colestasi intraepatica familiare progressiva”.
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