Intervista al dott. Corrado Girmenia, Responsabile UOSD Pronto Soccorso e Accettazione Ematologica, AOU Policlinico Umberto I di Roma
La gestione dell’emergenza nei pazienti con malattie ematologiche rare e complesse richiede competenze specifiche, continuità assistenziale e modelli organizzativi capaci di integrare ospedale e territorio. Il pronto soccorso ematologico del Policlinico Umberto I di Roma, unico nel suo genere in Italia, rappresenta un esempio virtuoso di questo approccio, orientato non solo alla risposta immediata, ma anche alla presa in carico globale del paziente fragile.
L’Associazione Italiana Emoglobinuria Parossistica Notturna (AIEPN) ha avviato un importante progetto di supporto a questo modello, con una donazione finalizzata a migliorare la gestione degli accessi in emergenza non solo dei pazienti affetti da EPN, ma di quelli con patologie ematologiche in generale. L’iniziativa è stata raccontata da Osservatorio Malattie Rare in un articolo dedicato, con intervista al presidente Sergio Ferini Strambi.
Il Policlinico Umberto I è stato scelto da AIEPN – insieme al Policlinico di Milano e al Gemelli – per le numeriche di pazienti che ha già in carico, tra le più alte nel nostro Paese. L’associazione realizza questo tipo di progetti anche grazie alle donazioni ricevute, per esempio attraverso il 5x1000, la cui campagna quest’anno è sostenuta anche dal campione mondiale di boxe Maurizio Stecca.
In questa intervista, il dott. Corrado Girmenia – ematologo presso il Policlinico Umberto I – racconta come l’esperienza del centro si sia intrecciata con le attività dell’Associazione, dando vita a un modello efficace e di networking, capace di coniugare innovazione, sostenibilità e cura.
Dott. Girmenia, in che modo ha contribuito a sviluppare, sposandola sin da subito, l’idea dell’Associazione AIEPN?
“L’Associazione è molto attiva: una vera associazione in cui i pazienti sono protagonisti, anche all’interno del Consiglio direttivo, con una conoscenza diretta delle realtà assistenziali legate alla patologia. L’EPN, pur essendo una malattia rara anche tra le malattie ematologiche, rappresenta bene le esigenze di molte persone con patologie del sangue, anche quelle più comuni. L’ematologia oggi è sempre più una disciplina di territorio. Molti progressi terapeutici non portano a una guarigione definitiva, ma consentono un buon controllo della malattia e delle complicanze, talvolta per tutta la vita. L’EPN è un esempio: le nuove cure sono in grado di controllare l’attivazione del complemento, migliorando significativamente la qualità di vita, ma senza arrivare alla guarigione. Questi pazienti, seppur stabili, hanno bisogno continuo dell’ematologo. In alcuni casi si possono verificare complicanze complesse, che non possono essere gestite da un medico di medicina generale o da un pronto soccorso generico. Serve una conoscenza approfondita della malattia e delle terapie. AIEPN ha individuato nel nostro servizio un punto di riferimento. Lavorano molto bene sul territorio, con aziende, soci e donatori, e ci hanno offerto un contributo economico importante per migliorare il nostro pronto soccorso. Non solo per i pazienti con EPN, ma per tutti. È stata un'iniziativa generosa, con un impatto concreto e collettivo”.
In che modo l’esperienza del pronto soccorso ematologico del Policlinico Umberto I ha contribuito allo sviluppo del progetto?
“Il nostro pronto soccorso ematologico è una realtà unica in Italia, e probabilmente in Europa. È stato concepito dal professor Mandelli oltre trent’anni fa, ed è ancora oggi una struttura moderna grazie alla sua intuizione. Il termine “pronto soccorso” può trarre in inganno, perché non gestiamo solo emergenze gravi, ci occupiamo anche dei piccoli problemi dei pazienti in cura. Una persona con EPN sa di avere una patologia importante, che richiede di sottoporsi a terapie complesse, ma sa anche che può rivolgersi a un centro competente per qualsiasi esigenza. Questa certezza è parte integrante della qualità della cura. Come diceva il professor Mandelli: “Curare e prendersi cura”. Noi cerchiamo di fare entrambe le cose. Il supporto che offriamo sul territorio è notevole, lo dicono i numeri: abbiamo oltre 2.500 accessi ufficiali l’anno, circa 400 dei quali esitano in un ricovero ordinario presso lo stesso reparto di degenza del pronto soccorso ematologico o presso altri reparti dell’Istituto di Ematologia. Siamo anche un centro di consulenza costante: riceviamo centinaia di telefonate al giorno da pazienti, familiari, medici di famiglia, colleghi di altri ospedali. In molti casi diamo indicazioni o gestiamo i trasferimenti. Siamo diventati il punto di riferimento anche per realtà fuori regione”.
Quali sono le esigenze specifiche che queste persone hanno, nel momento in cui accedono al pronto soccorso?
“Un paziente con EPN non deve vivere sotto una campana di vetro. Può vivere in comunità, condurre una vita normale. È importante, però, che in caso di sintomi come febbre o malessere venga valutato con attenzione, soprattutto per escludere infezioni la cui diagnosi è a volte difficile come la meningite meningococcica, che può essere favorita dalle terapie. Non si tratta di attivare percorsi di isolamento, ma di avere il giusto sospetto clinico. Serve conoscenza del rischio. Il vaccino è previsto già da scheda tecnica prima dell’inizio della terapia. È importante che il paziente stesso ricordi sempre ai medici la sua condizione, le terapie in corso e i rischi associati. Con l’Associazione abbiamo lavorato anche su questo: abbiamo pubblicato linee guida per la gestione delle infezioni nei pazienti con EPN, con l’endorsement scientifico dell’Associazione stessa. È un lavoro importante, nato dal desiderio di entrare anche negli aspetti logistici e organizzativi della gestione clinica”.
In che modo, oggi, state utilizzando i fondi ricevuti in donazione da AIEPN per sviluppare un più efficiente protocollo di presa in carico?
“L’associazione ha finanziato il potenziamento dell’impianto di distribuzione dell’ossigeno nella nostra struttura. In alcune stanze non era presente, e usavamo ancora bombole portatili. Ora stiamo installando sei nuove bocche d’ossigeno, migliorando l’efficienza complessiva del reparto. In secondo luogo, vogliamo migliorare anche l’aspetto estetico e funzionale dell’area triage e del pronto soccorso, per rendere l’accoglienza più adeguata e umana. Anche questo fa parte del “prendersi cura”. È stata un’iniziativa intelligente, generosa e inclusiva: l’associazione ha fatto qualcosa che porterà beneficio a tutta la comunità ematologica”.
Quanto, secondo la sua esperienza, la costruzione di un protocollo operativo comune a tutti i pronti soccorso potrebbe migliorare la gestione in emergenza di questi pazienti?
“L’idea di fare linee guida da distribuire a tutti i pronto soccorso, a mio avviso, potrebbe non essere del tutto efficace. Parliamo di una patologia rarissima, con complicanze ancora più rare. Molti pronto soccorso non vedranno mai un caso di EPN. Quello che, a mio parere, può tornare utile è costruire una rete di competenze. I centri che conoscono bene la patologia – e in Italia cominciano a essere diversi – devono rendersi disponibili a supportare le strutture periferiche. Noi ai pazienti diamo indicazioni chiare: se non sono vicini a Roma, devono sapere cosa comunicare al medico, fornire contatti, riferimenti, informazioni precise. Non servono linee guida da mettere in un cassetto, ma una rete attiva e funzionante, e una buona educazione del paziente e del caregiver. Solo così si può davvero migliorare l’assistenza”.
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