Malattia di Castelman e AI

L’intelligenza artificiale è stata dirimente per testare un farmaco già approvato per altre indicazioni

Negli Stati Uniti un uomo che stava per essere ricoverato in hospice per ricevere cure palliative per la malattia di Castleman multicentrica idiopatica (iMCD) in fase terminale, è stato trattato con una terapia individuata grazie all’Intelligenza Artificiale, e da due anni non solo è ancora vivo ma la malattia è in remissione.

La sua condizione era refrattaria ai trattamenti disponibili per la patologia, ma i ricercatori della Perelman School of Medicine dell’Università della Pennsylvania hanno utilizzato un sistema basato sull’IA per analizzare 4.000 farmaci, identificando adalimumab come la terapia più promettente. Questo anticorpo monoclonale, approvato per patologie come l’artrite e la malattia di Crohn, ha portato il paziente in completa remissione, tanto che il suo caso unico è stato raccontato in uno studio pubblicato a inizio febbraio 2025 sul New England Journal of Medicine

La malattia di Castleman è una rara patologia caratterizzata da una risposta immunitaria anomala che porta a infiammazione sistemica, linfoadenopatia e insufficienza multiorgano. Con una prognosi severa, il 25-35% dei pazienti muore entro cinque anni. Attualmente, l’unico trattamento approvato dalla FDA per l’iMCD è il siltuximab, che inibisce l’interleuchina-6. Tuttavia, funziona solo nel 40-50% dei pazienti, lasciando pochi trattamenti efficaci per chi non risponde a questa terapia. Gli esperti hanno sottolineato la necessità urgente di una migliore comprensione della patogenesi della malattia per sviluppare opzioni terapeutiche più efficaci.

I ricercatori hanno intrapreso due approcci paralleli: uno basato su tecniche proteomiche, trascrittomiche e in vitro per individuare nuovi pathway terapeutici e l'altro utilizzando modelli di apprendimento automatico per predire quale farmaco potesse trattare l’iMCD. Dall’analisi è emerso che il segnale del fattore di necrosi tumorale (TNF) era più pronunciato nei pazienti con iMCD, suggerendo che potesse essere un target terapeutico. L’adalimumab, che inibisce il TNF e già utilizzato per diverse malattie autoimmuni, si è rivelato un’opzione promettente.

Su questa base, David Fajgenbaum, autore senior dello studio e professore associato di Medicina Traslazionale e Genetica Umana, ha deciso di testare l’inibizione del TNF su questo paziente con iMCD. Fajgenbaum, che è anche cofondatore di Every Cure, ha dichiarato che questo risultato non solo offre speranza per i pazienti con iMCD, ma dimostra anche il potenziale dell’intelligenza artificiale nel trovare trattamenti per altre patologie rare. Fajgenbaum stesso è affetto da iMCD e, oltre dieci anni fa, grazie alla sua ricerca, ha trovato un farmaco che gli ha salvato la vita. Questa esperienza lo ha spinto a entrare nel corpo docente dell’Università della Pennsylvania e a fondare Every Cure, per cercare trattamenti riposizionati per malattie rare attraverso l'uso dell'intelligenza artificiale.

Notevole la lista dei finanziatori del progetto, fra realtà pubbliche e private: il National Heart, Lung, and Blood Institute, la FDA, il National Center for Advancing Translational Sciences, l’Advanced Research Projects Agency for Health, il Castleman Disease Collaborative Network, Every Cure la start-up di Fajgenbaum, BioAegis, dall’NCATS Biomedical Data Translator Initiative, la Chan Zuckerberg Initiative, la Lyda Hill Philanthropies, Arnold Ventures, la Elevate Prize Foundation e la Carolyn Smith Foundation.

Il caso rappresenta un possibile punto di partenza per applicare l’intelligenza artificiale nella ricerca di trattamenti per altre malattie rare.

La malattia di Castleman è una patologia rara e di difficile diagnosi. "Nella forma unicentrica, l'opzione chirurgica è il trattamento principale, con la scomparsa delle manifestazioni sintomatiche ad essa associate", spiega Marco Paulli, Ordinario di Anatomia Patologica presso il Dipartimento di Medicina Molecolare dell'Università di Pavia e Direttore della Struttura Complessa di Anatomia Patologica della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, in una recente intervista realizzata da OMaR

Per la forma idiopatica invece, che è solitamente multicentrica e spesso associata a sintomi gravi, il primo trattamento farmacologico approvato è stato il siltuximab, oltre dieci anni fa. Questo anticorpo monoclonale, che agisce contro l'IL-6 umana, ha mostrato risultati molto positivi, soprattutto nei pazienti con significative alterazioni nei parametri infiammatori. Nelle forme più gravi, si ricorre a una combinazione con farmaci steroidei, e nei pazienti che non rispondono al siltuximab è stato proposto l’uso del tocilizumab. Studi recenti hanno rivelato numerose alterazioni genetico-funzionali nella malattia di Castleman, tra cui l'attivazione delle vie di segnalazione m-TOR e JAK/STAT, che potrebbero costituire potenziali bersagli terapeutici, soprattutto nei casi refrattari al siltuximab. Dati preliminari suggeriscono risultati promettenti nell’uso di sirolimus (inibitore di m-TOR) e ruxolitinib (inibitore di JAK).

Negli ultimi mesi Fajgenbaum e il suo team stanno organizzando uno studio clinico proprio per valutare l’efficacia di un altro farmaco riposizionato, un inibitore di JAK1/2, nel trattamento dell’iMCD.

“È una notizia meravigliosa”, spiega Claudio Savà, fondatore e attuale presidente dell’associazione AMICA sulla malattia di Castleman. “Il tema della remissione è centrale: sebbene non rappresenti una guarigione definitiva, la remissione consente al paziente di migliorare la qualità della vita e le prospettive future. Un altro aspetto cruciale riguarderà l'eventuale introduzione di adalimumab come trattamento per la Castleman in Italia”. Per ottenere l’autorizzazione da parte dell’EMA e dell’AIFA, così come l'eventuale rimborsabilità attraverso il Servizio Sanitario Nazionale, è necessario seguire un lungo processo di valutazione. “Stiamo comunque lavorando sodo”, prosegue Savà. “Solo dieci anni fa, la malattia era quasi sconosciuta in Italia, mentre oggi, nel 2025, la situazione è leggermente migliorata grazie a una maggiore consapevolezza e alla disponibilità di informazioni. Tuttavia, la ricerca sulle malattie rare continua a ricevere scarsa attenzione e finanziamenti, un problema ancora più marcato se confrontato con la situazione negli Stati Uniti”.

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