XLH-AISMME

L’associazione AISMME: “Un’occasione per accendere i riflettori su questa malattia rara fortemente invalidante”

Si stima che colpisca un nuovo nato ogni 60mila e in Italia si contano circa 500 pazienti. Ma sono numeri in difetto, dal momento che arrivare ad una diagnosi è molto complicato e spesso ci vogliono anni. È l’ipofosfatemia legata all’X (XLH), una malattia metabolica rara dell’osso, una forma di rachitismo ereditario con insorgenza pediatrica, che produce lesioni scheletriche, anomalie a carico delle ossa, della muscolatura e delle articolazioni a causa dell’eccessiva perdita del fosforo. Chi ne è affetto soffre di forti dolori, ha difficoltà nel movimento e deve ricorrere molto spesso a interventi chirurgici. La diagnosi spesso è tardiva, perché è di difficile identificazione. E spesso è troppo tardi per bloccarne il terribile decorso, che significa un progressivo peggioramento della sintomatologia, dolori muscolari e ossei al limite della sopportazione, continue operazioni chirurgiche agli arti, ai denti, con un grave decadimento delle condizioni fisiche e mentali. Sabato 23 ottobre 2021 si celebra in tutto il mondo la Giornata della XLH, un momento per accendere i riflettori su questa patologia e ricordare le molte criticità cui vanno incontro i pazienti.

“I pazienti hanno un forte bisogno di supporto familiare e psicologico ma anche di terapie a domicilio, è importante potenziare i centri di expertise e accelerare le diagnosi pediatriche e degli adulti e permettere agli adulti e adolescenti di avere accesso a terapie adeguate e efficaci, al momento permesse solo ai pazienti pediatrici fino ai 12 anni”, spiega Cristina Vallotto, presidente di AISMME Aps associazione di riferimento. “Sarebbe importante, inoltre dare la possibilità a questi pazienti di usufruire di servizi di telemedicina e teleconsulenza, di prevedere accertamenti anche ai familiari, essendo una patologia genetica, di dare gratuità alle analisi, agli interventi ai denti e alla fisioterapia, di permettere l’assunzione dei farmaci (fino a sei volta al giorno) a scuola, e prevedere oltre ai percorsi sanitari dei percorsi socio-assistenziali e il supporto psicologico”.

AISMME, Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie Aps, che sta collaborando con diverse Regioni per la redazione dei Piani Diagnostico-Terapeutici Assistenziali (PDTA), ha messo a disposizione per questi pazienti il suo Centro aiuto-ascolto (numero verde 800.910.206) e fa parte dell’Alleanza Internazionale XLH, che riunisce le associazioni di pazienti in tutto il mondo. Attualmente, su proposta proprio di AISMME, l’Alleanza sta lavorando alla identificazione di linee guida internazionali con l’obiettivo di arrivare a piani diagnostico-terapeutico e di presa in carico omogenei e di qualità, che le diverse nazioni potranno declinare sulla scorta dei diversi sistemi sanitari.

Tra i bisogni dei pazienti, la necessità di una diagnosi precoce, per permettere da subito l’avvio di una terapia. “La XLH viene solitamente identificata quando i bambini iniziano a camminare”, spiega Vaccarotto, Vicepresidente di AISMME. “Per diagnosticare la malattia, la quantità di fosforo, calcio e altri parametri devono essere misurati attraverso esami del sangue e delle urine. Il medico può ordinare una radiografia per confermare il sospetto. La XLH può essere confusa con altre malattie delle ossa, alcune delle quali legate a una cattiva alimentazione. Le persone con la malattia senza una storia familiare di XLH potrebbero non essere diagnosticate durante l'infanzia, ma possono presentare sintomi in età adulta, con sintomi principali come l’artrosi, pseudofratture, dolori e rigidità articolari, dolori ossei, complicanze dentarie, problemi di udito e affaticamento. Purtroppo, lo Screening Neonatale Esteso già attivo in Italia non è in grado di rilevare la malattia alla nascita, ed è quindi necessario il sospetto diagnostico da parte di pediatri di base e, per gli adulti, i medici di medicina generale che invieranno il paziente ad un centro clinico di riferimento per la conferma diagnostica”.

Per quanto riguarda le terapie, oltre alla terapia convenzionale, che non in tutti i pazienti funziona e nei più piccoli può creare grandi difficoltà nell’assunzione, una buona notizia è l’approvazione europea dell’anticorpo monoclonale burosumab per il trattamento degli adolescenti più grandi e degli adulti e non solo di bambini da un anno di età e adolescenti con scheletro in crescita. “In Europa è stato autorizzato per gli adulti da gennaio 2021 – continua Vaccarotto – mentre in Italia al momento viene utilizzato per le persone sopra i 12 anni solo in studi clinici. Siamo in attesa che AIFA innalzi i limiti di età, continuando e non interrompendo la terapia agli adolescenti cambiandone e migliorandone sensibilmente la qualità della vita”.

Il farmaco, che contribuisce alla guarigione di pseudofratture e fratture dovute alla malattia e migliora l’osteomalacia, diminuisce il dolore e la rigidità articolare, e la funzione fisica e la mobilità migliorano nel corso del tempo. “Per i ragazzi in trattamento che compiono 18 anni, la maggiore età significa la sospensione del farmaco e tornare in balia della malattia, ritrovandosi nella stessa situazione di quando non assumevano il farmaco, con ripercussioni psicologiche e fisiche molto pesanti”, spiega Manuela Vaccarotto. “Da qualche tempo arrivano al nostro Centro aiuto-ascolto delle richieste da parte di madri di ragazzi adolescenti o di persone adulte affette da XLH sul tema della mancata concessione del farmaco. Tra questi, l’esempio di una signora affetta da XLH e con un figlio parimenti affetto, che ci ha raccontato la sua storia”.  Nella sua famiglia ci sono diverse persone affette dalla malattia: uno zio, una cugina e, più grave, il nonno del ragazzo e padre della signora, che da qualche anno è allettato a causa di molteplici stenosi del canale midollare. La sua situazione si è aggravata dopo i 50 anni e quindi lei e i suoi cari affetti dalla malattia, pazienti adulti che non possono ancora accedere al farmaco, sono molto in ansia perché si rispecchiano in lui e prevedono un decorso ugualmente severo. La signora, inoltre, è particolarmente in ansia per suo figlio, che da alcuni anni è in cura con il farmaco con grandi risultati. Ma il ragazzo ha compiuto a maggio 18 anni, età entro cui in Italia il farmaco non è più rimborsabile, e quindi ha dovuto sospendere il trattamento con gravi ripercussioni sullo stato della malattia. Ma la sua storia non è la sola in Italia.

Possiamo trovare famiglie che al loro interno contano non uno, ma due o anche tre persone affette dalla malattia, adulte e con un progressivo peggioramento della sintomatologia, tali da costringerli a volte in sedia a rotelle, con dolori muscolari e ossei al limite della sopportazione, a subire continue operazioni chirurgiche agli arti, ai denti, con un grave decadimento delle condizioni fisiche e mentali, che li portano a perdere il lavoro, la vita sociale e una conseguente scarsa qualità di vita.

“È importante assicurare l’accesso al maggior numero possibile di pazienti eleggibili al trattamento con burosumab – continua Vaccarotto – e che la terapia, che richiede un’erogazione ogni 14 giorni, possa essere fatta anche a domicilio. Così i pazienti adulti e i ragazzi, in particolare, non perderebbero giorni di scuola e di lavoro e si sentirebbero meno stigmatizzati”. Il servizio al momento è attivo in diverse Regioni, tra cui Lombardia, Puglia, Campania e Sicilia e sta per iniziare in Veneto, Toscana e Friuli Venezia-Giulia. I pazienti coinvolti sono molto soddisfatti ed è gratuito per il paziente e per il Sistema Sanitario Nazionale.

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