Laura

Il racconto della paziente: “L’aspetto psicologico della malattia è stato il più difficile da sopportare. Fatico ancora ad accettare le mie cicatrici” 

La storia di Laura ha avuto inizio all’età di circa un anno, quando i genitori notarono che faticava a camminare poiché le sue gambe tendevano a incurvarsi, limitando la stabilità e i primi movimenti. Si trattava dei campanelli d’allarme del rachitismo ipofosfatemico autosomico recessivo di tipo 2 (ARHR2), una patologia ereditaria caratterizzata dalla riduzione dei livelli ematici di fosforo, con conseguente sviluppo di problematiche a livello osseo. Altri segnali della presenza di questa forma di rachitismo consistono in dolori diffusi alle articolazioni e in un quadro di fragilità ossea, con aumentato rischio di fratture. “Tra i tratti tipici della malattia c’è anche la bassa statura ma, fin da bambina, sono sempre stata nel 50esimo percentile per altezza perché mia mamma è una donna alta. Questo ha reso ancora più difficoltosa la diagnosi”, ricorda Laura. “Inoltre, il fatto che i primi denti siano spuntati solo dopo i 13 mesi ha indotto i medici ad ulteriori controlli che, negli anni, hanno evidenziato la necessità di alcuni interventi chirurgici correttivi”.

La diagnosi di rachitismo ipofosfatemico non è semplice ma è opportuno che sia posta sin dai primi mesi di vita. “I pazienti come Laura possono manifestare difficoltà di crescita fin dal terzo mese di vita, e problemi di deambulazione quando cominciano a camminare”, spiega il prof. Giuseppe Vezzoli, direttore dell’Unità di Nefrologia e Dialisi presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. “Le malformazioni degli arti sono indicative di un difetto del metabolismo osseo e occorre svolgere approfondimenti con opportuni esami ematochimici e con l’identificazione della mutazione nel gene associato alla patologia tramite moderne tecniche di sequenziamento genetico (NGS, Next Generation Sequencing)”.

A Bergamo, all’età di circa 4 anni, Laura ha ricevuto una prima diagnosi di rachitismo ipofosfatemico ma a metà degli anni Ottanta il livello di informazione sulle diverse forme di malattia era meno elevato rispetto ad oggi, e non erano ancora disponibili le moderne tecniche di analisi genetica. “Sono stata sottoposta a un intervento di osteotomia al ginocchio destro prima dei 6 anni e, successivamente, ho fatto il primo dei 7 interventi chirurgici con metodo Ilizarov”. Questa tecnica di allungamento e raddrizzamento delle ossa lunghe prende il nome dal suo inventore, il medico russo Gavriil Abramovič Ilizarov, e consiste nel ricorso a una struttura cilindrica composta da anelli metallici da applicare intorno all’arto. Una serie di fili di metallo passa attraverso l’osso e, tramite speciali chiavi, si agisce aumentando il distanziamento tra le due estremità dell’osso. In tal modo, si crea uno spazio e si permette all’osso di crescere, generando nuovo tessuto. Si tratta di un intervento chirurgico complesso e doloroso, da eseguire in anestesia generale e della durata di circa 6 ore, al termine delle quali l’arto risulta completamente ingabbiato in una struttura metallica con cui il paziente dovrà convivere per diversi mesi. “La prima operazione di questo tipo l’ho fatta al femore della gamba destra ed è stata seguita da altri due interventi alla tibia, sulla stessa gamba”, spiega Laura. “Purtroppo, la cura farmacologica che mi era stata proposta in combinazione con gli interventi non era adatta e così, poco tempo dopo aver corretto il problema, il beneficio dell’operazione svaniva e tornava a ripresentarsi il varismo [nel caso degli arti inferiori, il verismo è una deformità che porta le ginocchia ad allontanarsi l'una dall'altra, N.d.R.]”.

La terapia principale per l’ARHR2 è quella dei rachitismi classici, che protegge dall’ipofosfatemia e prevede l’assunzione per via orale di sali di fosfato inorganico e calcitriolo”, aggiunge Vezzoli, che sta oggi seguendo il caso di Laura. Infatti, da quando lei e i suoi genitori si sono rivolti agli esperti dell’Ospedale San Raffaele di Milano, è stata individuata la corretta cura farmacologica e i valori biochimici - soprattutto i livelli urinari di fosforo e calcio e il dosaggio ematico del paratormone - si sono stabilizzati. “Laura non ha un quadro clinico puro di rachitismo ipofosfatemico, contraddistinto solo da alterazione della lunghezza degli arti e da malformazioni ossee, ma presenta anche alcune caratteristiche che ricordano in maniera non severa la calcificazione arteriosa generalizzata dei tessuti molli”, specifica Vezzoli. “Un tale quadro clinico è dovuto alle mutazioni nel gene ENPP1, che è all’origine della sua condizione”.

Infatti, solo anni dopo esser stata sottoposta ad operazioni chirurgiche con metodo Ilizarov fino all’età di 13 anni, Laura ha potuto eseguire i test genetici che hanno identificato la mutazione che è causa della sua forma di rachitismo. “Sono la prima nella mia famiglia a soffrire di questa condizione e quando sono rimasta incinta temevo che potesse essere trasmessa alla mia bambina”, aggiunge Laura. “Per fortuna, proprio durante i primi mesi di gravidanza sono arrivati i risultati delle analisi e sono stata rassicurata dal prof. Vezzoli il quale ha escluso la possibilità che mia figlia mostri gli stessi sintomi”.

Da quando è seguita dagli esperti di rachitismo ipofosfatemico dell’Ospedale San Raffaele, Laura ha acquistato fiducia e serenità, confermando la necessità di rivolgersi sempre a centri di riferimento in cui esiste un solido bagaglio di competenze su patologie rare come la sua. “Oltre a PHEX, sono diversi i geni potenzialmente coinvolti nell’insorgenza dei rachitismi ipofosfatemici. Uno di questi è proprio ENPP1 che codifica per un enzima in grado di idrolizzare l’ATP, la nostra principale molecola che fornisce energia”, precisa Vezzoli. “I pazienti con mutazione di ENPP1 presentano vari quadri clinici, dal rachitismo ipofosfatemico autosomico recessivo di tipo 2 alla condizione definita come calcificazione arteriosa generalizzata dell’infanzia (GACI)”. Laura, infatti, negli anni ha sperimentato una calcificazione della valvola aortica per la quale è attualmente seguita in ambito specialistico. Inoltre, come spesso accade nei rachitismi ipofosfatemici, ha dovuto affrontare un problema di eccesso funzionale delle ghiandole paratiroidi, problema che oggi, fortunatamente, è sotto controllo.

Mi riesce ancora difficile piegare completamente le ginocchia; se rimango per troppo tempo in piedi mi affatico e la mattina, appena alzata, tendo a zoppicare un po’ ma, sul piano fisico, il rachitismo non mi ha impedito di vivere un’esistenza ricca e piena, che ha raggiunto il momento più bello con la nascita di mia figlia”, racconta Laura. “È stato difficile sul piano psicologico, perché fatico ad accettare le mie gambe con tutte le loro cicatrici. D’estate, quando metto dei pantaloncini corti o vado in spiaggia ancora mi ferisce lo sguardo insistente e curioso delle persone, ma quello che conta è il sostegno di mio marito. E, soprattutto, non voglio che mia figlia conosca la sofferenza legata agli interventi chirurgici, con il rischio di infezioni e i lunghi periodi di riabilitazione dentro e fuori dagli ospedali”, conclude Laura. “Una cosa simile non la vorremo per nessuno, specialmente per coloro che amiamo di più e sono importanti per noi”.

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