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Cinofila, sportiva e bravissima nuotatrice, la donna ha raccontato a “TheRARESide” le sfide che ha dovuto affrontare nella sua vita

Sara Tagliati ha 49 anni e un carattere forte e deciso, non quanto le sue ossa però, che da bambina erano fragilissime. Sara, infatti, ha l’ipofosfatemia legata all’X (XLH), una patologia genetica rara - per l’esattezza una forma di rachitismo ipofosfatemico - principalmente caratterizzata da alterazioni scheletriche, deformità a carico degli arti inferiori, dolori ossei e tendinei, ritardo nella crescita e ascessi dentali. Sara è stata la protagonista della puntata speciale di oggi di "TheRARESide", il social talk di OMaR dedicato alle malattie rare.

Le mie ossa, già da bambina, erano troppo ‘morbide’ e si incurvavano”, ha raccontato durante la trasmissione. “Al tempo, l’unica ‘cura’ era prendere il sole e sottoporsi ad interventi ortopedici per sistemare le ossa. Ogni volta che me le raddrizzavano, però, dopo poco tempo queste ricrollavano, perché non erano abbastanza calcificate. Per questo sono rimasta di bassa statura. Sono alta un metro e 50 centimetri, ma questo solo grazie a due interventi di allungamento delle ossa, perché altrimenti, probabilmente, sarei rimasta alta un metro e 40, pur non essendo affetta da nanismo”.

“Quando mi sono resa conto di essere diversa dagli altri, perché all’asilo mi guardavano come se fossi strana, la mia reazione è stata di aggressività”, confessa Sara. “Rispondevo in malo modo, ero un po’ la ‘bulla’ del quartiere e picchiavo anche. Questo perché gli sguardi degli altri mi facevano male: è stata dura, soprattutto durante l’adolescenza. Fino a 3 anni fa non avevo mai conosciuto nessuno con la mia stessa patologia e quindi, da giovane, mi sentivo l’unica ad averla”.

In Liguria, Sara si è sottoposta a ben 35 interventi chirurgici ortopedici, tanto che questa regione, per lei, non è più stata sinonimo di mare ma di ospedale. “A 13 anni - spiega - ho dovuto tenere anche dei ferri alle gambe, per lungo tempo. Molti interventi mi hanno lasciato cicatrici, anche importanti: oggi non mi danno fastidio ma da adolescente mi ferivano gli sguardi altrui, specie al mare”.

Sara, a dispetto di tutto, si è laureata in ingegneria ambientale a pieni voti. Il lavoro come ingegnere ambientale, però, non le piaceva, pur volendo rimanere nel settore. Quindi è diventata proprietaria di due videoteche automatiche e questo le ha permesso di studiare a Pisa per diventare istruttrice cinofila ed etologa. Dal 2008 questa è diventata la sua professione e insegna ai cani a nuotare. Talvolta insegna a nuotare anche a cani con disabilità, ad esempio sordi o ciechi, oppure con problemi alle zampe o alla colonna vertebrale. “Il segreto sta nell’avere sempre un piano B”, spiega. “Io ce l’ho avuto sia nel cambiare lavoro, sia quotidianamente, nella mia vita: è qualcosa che ho imparato a 4 anni, quando ho cominciato ad essere sottoposta alle numerose operazioni. Pensavo: ‘oggi cammino e sto bene, ma domani potrebbe non essere così’”.

Sara è sposata con Ron, un uomo di origini olandesi, e insieme amano viaggiare. Non hanno figli per una consapevole scelta: la patologia di Sara è ereditaria e lei non ha voluto rischiare di trasmetterla ad un eventuale figlio. “Da adulta, mi sono voluta riprendere un po’ l’infanzia che non ho avuto - puntualizza - perché da bambina ho passato quasi tutte le estati in ospedale e ora vorrei godermi un po’ la vita”.

In realtà, Sara spiega che il tempo trascorso in ospedale le ha regalato una grande apertura mentale e, tutto sommato, questo periodo non lo ha vissuto con troppa pesantezza, anche grazie alla compagnia di altri coetanei ricoverati, come ad esempio Emolo che, come lei, frequentava l’Ospedale Gaslini di Genova alla fine degli anni '70. “Era cieco e affetto da nanismo”, ricorda Sara. “Era più grande di me e mi ha insegnato tanto. Mi piacerebbe rintracciarlo, perché non ho più sue notizie e non conosco il cognome”.

Nonostante la sua patologia, Sara è una sportiva: ha percorso a nuoto lo stretto del Bosforo e ha intrapreso altre traversate con uno dei suoi cani, che ora non c’è più. Fin da piccola, Sara era una bambina molto attiva, un vero e proprio ‘ciclone’, sebbene i medici le vietassero di fare alcune attività rischiose per la salute delle sue ossa. “Quando un medico vi dice di non fare una determinata attività - consiglia - chiedete sempre cosa potreste invece fare. Io, ad esempio, ho trovato sfogo nel nuoto, perché non era impattante per la mia condizione e, in più, mi piaceva. I medici, all’epoca, non erano attenti a questi aspetti, mentre il supporto psicologico, per un paziente, è importantissimo. Oggi, fortunatamente, c’è più sensibilità in merito”.

“Non ci sono determinati commenti sulla mia condizione che se mi vengono rivolti mi fanno stare male”, spiega Sara. “A chi mi ha chiesto della mia patologia ho sempre risposto, non mi hanno mai dato fastidio le domande. Della mia malattia parlo serenamente, e se percepisco che gli altri vogliono farmi delle domande ma non hanno il coraggio, intavolo io il discorso. Ecco, mi ferisce di più il silenzio. Quando la gente mi guarda in silenzio, pensierosa, quello sì, mi infastidisce. Ci sono dei giorni nei quali faccio fatica a reggere quegli sguardi. A volte ci sono anche dei bambini che mi parlano in modo molto diretto. Quando frequentavo l’istituto magistrale e facevo tirocinio nelle scuole, ad esempio, mi è capitato che mi chiedessero se fossi davvero la loro insegnante: erano titubanti per via della mia altezza, simile alla loro. Io ho sempre risposto loro che l’altezza non è uguale per tutti e la diversità è normale. Sì – conclude – sono davvero convinta che sia più normale la diversità che l’uguaglianza”.

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