Il punto sulle discriminazioni su permessi e congedi a danno di conviventi e uniti civilmente
Se sei sposato hai diritto di assistere, in caso di disabilità grave, i tuoi suoceri. Hai diritto di avvalerti dei diritti sanciti dalla legge che tutelano i lavoratori dipendenti in termini di permessi e congedi, strumenti pratici che permettono di assentarsi dal lavoro per prendersi cura dei familiari in stato di necessità. Se sei “solo un convivente o parte di un’unione civile”, a prescindere dal sesso, questo diritto non ti spetta. A stabilirlo è una circolare INPS del 2017, mai aggiornata. Si tratta di una discriminazione a tutti gli effetti? Assolutamente sì. Per questo motivo diverse associazioni (Avvocatura per i diritti LGBTI - Rete Lenford, Fish, Ledha e altre) si stanno mobilitando per fare in modo che questa discriminazione possa essere presto superata.
Cosa prevede la legge?
La legge n. 104 del 1992, all’articolo 33, prevede la possibilità di ottenere particolari permessi per i congiunti che assistono persone con handicap grave e per i lavoratori a cui è stato riconosciuto lo stato di handicap in situazione di gravità. L’articolo 42, comma 5, D. Lgs. n. 151/2001, prevede la concessione di un congedo retribuito fino a due anni, da poter fruire anche in modalità frazionata, al lavoratore che assista un familiare con grave disabilità.
La circolare INPS n. 38 del 27 febbraio 2017
Dopo l’emanazione della legge n. 76 del 20 maggio 2016, che disciplina le unioni civili e le convivenze di fatto, l’INPS è intervenuto con la circolare n. 38 del 27 febbraio 2017, stabilendo le istruzioni operative circa la concessione dei permessi di cui alla legge n. 104 del 1992 e del congedo straordinario previsto dall’articolo 42, comma 5, D. Lgs. n. 151/2001 ai lavoratori dipendenti del settore privato. L'INPS ha chiarito che la parte di un'unione civile che presti assistenza all’altra parte può usufruire di permessi di cui alla legge n. 104/92 e del congedo straordinario di cui all’articolo 42, comma 5, D. Lgs. 151/2001.
La sentenza n. 213/2016 della Corte Costituzionale
Il convivente di fatto, invece, che presti assistenza all’altro convivente, può usufruire soltanto dei permessi previsti dalla legge n. 104/1992 ma resta escluso dalla concessione dei congedi retribuiti. Ciò grazie alla sentenza n. 213/2016 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni della legge n. 104 del 1992 nella parte in cui non includono il convivente tra i soggetti legittimati ad usufruire dei permessi retribuiti (3 giorni al mese) previsti a favore di lavoratori dipendenti che prestino assistenza al coniuge, a parenti o ad affini entro il secondo grado (con possibilità di estensione fino al terzo grado) riconosciuti in situazione di disabilità grave.
La discriminazione è reale
La circolare dell’INPS, di fatto costituisce una discriminazione dell’orientamento sessuale e della disabilità perché non prevede per gli uniti civilmente gli stessi diritti che hanno invece i coniugi per l’assistenza ad una persona con disabilità. In sostanza non prevede la possibilità dell’assistenza a parenti dall’altra parte dell’unione. Ciò perché tra una parte dell’unione civile e i parenti dell’altra non si crea un rapporto di affinità. Infatti, l’articolo 1 comma 20 della legge n. 76/2016 estende alle parti di un’unione civile le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e quelle contenenti la parola “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti.
Quest’estensione però non opera rispetto alle disposizioni del codice civile non espressamente richiamate dalla legge n. 76, né a quelle contenute nella legge n. 184/1983 in materia di adozione. Il mancato esplicito richiamo delle norme in tema di affinità porta quindi ad escludere che tra una delle parti dell’unione civile e i parenti del partner si instauri tale vincolo. La mancanza di tale rapporto non dovrebbe però precludere agli uniti civilmente di avere gli stessi diritti dei coniugi poiché con l’unione civile si crea un nucleo familiare come quello che si crea con il matrimonio e che quindi non può essere trattato diversamente. Visto quanto chiarito dall’INPS, la parte dell’unione civile non può però usufruire dei permessi per assistere il genitore o altro parente del proprio partner mentre il coniuge può assistere il suocero e gli altri parenti dell’altro coniuge. Questa differenza, oltre che costituire una discriminazione per l’orientamento sessuale, viola l’articolo 3 della Costituzione che impone di trattare in egual modo le persone che si trovano nelle medesime situazioni.
La discriminazione per l’orientamento sessuale sussiste anche in caso di conviventi dello stesso sesso e, per tutti i conviventi, c’è anche un’evidente disparità di trattamento poiché non possono usufruire del congedo straordinario di cui all’articolo 42, comma 5 D. Lgs. 151/2001 previsto solo per i coniugi e per gli uniti civilmente. Si rende quindi necessario un intervento da parte dell’INPS con una nuova circolare e un intervento del legislatore che dia ai conviventi e gli unti civilmente gli stessi permessi e congedi concessi ai coniugi.
La mobilitazione delle associazioni e la mancata risposta da parte delle istituzioni
“Chiediamo l’adozione di una nuova circolare da parte dell’INPS che possa garantire il diritto delle parti di unione civile ad avere gli stessi benefici, cioè i congedi e permessi previsti dalla legge n.104 del 1992 e dal D. Lgs. n.151 del 2001 per l’assistenza a una persona con disabilità, alle stesse condizioni immaginate per i coniugi, e cioè anche per l’assistenza ai parenti dell’altra parte dell’unione”, ha spiegato il presidente della Fish, Vincenzo Falabella (dopo un confronto con la Fish Lombardia – Ledha e l’Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford) in una lettera inviata il 21 aprile, al presidente dell’Istituto Nazionale Previdenza Sociale, Pasquale Tridico, al Ministro del Lavoro, Andrea Orlando e alla Ministra della Famiglia, Elena Bonetti. “Chiediamo che si voglia quanto prima adottare una nuova circolare che modifichi la n. 38 del 2017 - si legge nella missiva - perché essa costituisce una discriminazione dell’orientamento sessuale e della disabilità”. Nessuna risposta è però al momento giunta da parte delle istituzioni chiamate in causa.
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