"Ma i disabili fanno sesso?" - Iacopo Melio

Il testo va dritto al punto e scardina preconcetti e tabù sulla sessualità delle persone con disabilità

"Ma i disabili fanno sesso?" Una domanda scomoda, un libro necessario. Il titolo è più che eloquente, diretto, direi provocatorio. Non è solo una domanda, ma un pretesto per scardinare stereotipi, pregiudizi e tabù che ancora oggi circondano la disabilità. Iacopo Melio, attivista e giornalista, scrive un libro che è insieme un manuale, un saggio divulgativo e una raccolta di riflessioni su un tema che la società spesso (volutamente) ignora o, peggio, affronta con pietismo e paternalismo.

Sono 100 domande e risposte, per raccontare con sguardo lucido e ironico gli aspetti fondamentali della vita delle persone con disabilità: dall’accessibilità ai diritti, dal linguaggio corretto alle barriere culturali, fino ad arrivare alla sessualità, tema che, se per chiunque è ancora in parte un tabù, lo è molto di più quando si parla di persone disabili. Ma l’autore affronta tutto senza filtri e con una schiettezza disarmante, alternando battute taglienti a riflessioni profonde. Spiega come la disabilità non sia una condizione assoluta, ma il risultato di un ambiente non inclusivo. La carrozzina, ad esempio, non è un simbolo di limitazione, ma uno strumento di libertà. L’accessibilità non è “un favore” concesso, ma un diritto. E soprattutto, la sessualità non è un privilegio per pochi, ma una parte integrante dell’essere umano, indipendentemente dal corpo in cui si abita.

UN LIBRO CHE FA SORRIDERE, RIFLETTERE E ANCHE UN PO’ ARRABBIARE

L’ironia di Melio cattura subito. Gioca con le contraddizioni della società, rovescia i luoghi comuni e mette nero su bianco ciò che spesso si dice sottovoce o si evita di dire. Il suo umorismo non è mai superficiale, perché vuole essere un’arma per demolire stereotipi radicati che finiscono per nascondere la realtà: il disabile come “eroe” che ispira al coraggio di vivere o come “peso” sociale, uno sfigato o, appunto, come essere asessuato.

Il punto di forza del libro è proprio la capacità di far sentire il lettore a disagio nel momento esatto in cui si riconosce in uno di quei pregiudizi che pensava di non avere. Perché, diciamolo, quante volte abbiamo pensato, magari inconsciamente, che una persona con disabilità non potesse avere una vita sentimentale e sessuale “normale”? Quante volte abbiamo usato un linguaggio sbagliato senza rendercene conto? Quante volte siamo caduti nella trappola della commiserazione credendo di essere inclusivi?

Si pensa che una persona con disabilità non possa avere desideri, relazioni e una vita sessuale appagante, esattamente come chiunque altro. È necessario, invece, accettare che i bisogni sessuali siano un qualcosa di naturale indipendentemente dalle abilità fisiche o cognitive di una persona.

Melio non fa sconti, ma non giudica: educa. Il libro, infatti, vuole essere uno strumento di consapevolezza, mostrare quanto la nostra società sia ancora intrappolata in una visione “vecchia” della disabilità. E lo fa non solo attraverso aneddoti personali e battute taglienti, ma anche con dati concreti, riferimenti legislativi e spunti pratici per cambiare prospettiva.

Se c’è una cosa che il libro esprime con chiarezza, è che la disabilità riguarda tutti. Non è un mondo a parte, ma una condizione che può toccare chiunque, direttamente o indirettamente. Si continua a considerarla come qualcosa di “speciale”, costruendo barriere non solo fisiche, ma soprattutto culturali. Eppure non lo è. L’inclusione non è un concetto astratto, ma qualcosa che si costruisce con il linguaggio, con le scelte politiche, con le relazioni quotidiane.

Se pensi di non avere pregiudizi sulla disabilità, leggi questo libro. Potresti scoprire che li hai, eccome, senza saperlo. E se invece sai di averne, leggilo lo stesso: non è mai troppo tardi per cambiare prospettiva. Magari per “diffondere quella buona cultura, quegli approcci corretti in grado di includere davvero: con le parole prima, con gli atteggiamenti dopo, con i risultati concreti poi. Magari con un passaparola in grado di creare un contagio a catena di buone pratiche, ricordandosi sempre di condividere certe voci e mai di sostituirle”.

Domanda: ma insomma, come lo fate?

Risposta: credo come te. Purtroppo.

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