Sindrome feto alcolica, intervista alla Dr.ssa Rita di Sarno

L’intervista alla Dr.ssa Rita di Sarro (AUSL Bologna), vicepresidente del comitato scientifico di AIDEFAD

La Dr.ssa Rita di Sarro, neurologa e psichiatra, Direttore del Programma Integrato Disabilità e Salute della AUSL Bologna, è anche vicepresidente del comitato scientifico di AIDEFAD (Associazione italiana disordini da esposizione fetale ad alcol e/o droghe). “La FASD, ossia la sindrome feto alcolica, costituisce la più grave e negletta disabilità permanente di origine non genetica", spiega di Sarro. "Si stima che tale diagnosi riguardi circa l’1% della popolazione globale, 9 casi su 1000 nati vivi (Sampson et al., 1997).

“Studi più recenti su un campione di bambini in età scolare – continua l’esperta – hanno riportato un tasso di prevalenza di FASD che si colloca tra il 2% ed il 5% in riferimento alla popolazione degli Stati Uniti e dell’Europa Occidentale (May et al., 2009). Molto scarsi sono gli studi condotti in Italia, con qualche eccezione. Nel 2006, su un campione di 543 bambini che frequentavano la scuola primaria nel Lazio i ricercatori hanno rilevato una prevalenza di FAS tra il 3,7 e il 7,4 per 1000 nati vivi, e di FASD tra il 20,3 e il 40,5 per 1000 nati vivi. In uno studio successivo pubblicato nel 2011, realizzato dal medesimo gruppo di ricerca, su un campione di 976 bambini, sempre provenienti dalla regione Lazio, è stato possibile identificare una prevalenza più̀ elevata rispetto alla ricerca precedente: - tra il 4,0 e il 12,0 per 1000 di FAS e tra 18,1 e il 46,3 per 1000 di FAS parziale; fino a 63,0 per 1000 nati vivi di FASD (May et al., 2011)”.

La FASD - prosegue di Sarro - riguarda l’esposizione del feto all’alcol, a prescindere dalla quantità assunta dalla madre durante la gravidanza. Esiste un nesso certo tra consumo di alcol e sindrome feto-alcolica; ma con la possibilità che si verifichino disturbi di diverso livello ed entità nello sviluppo del feto e nella crescita del bambino. I danni sono permanenti e le manifestazioni e l’espressione della sindrome possono essere estremamente variegate e di differente gravità. Le manifestazioni cliniche e fenotipiche comprendono, sia se si trovano in co-occorrenza tra loro, sia se compaiono come 3 isolate, 3 disturbi fondamentali: malformazioni, ritardo della crescita e disturbi del neurosviluppo. Sono comuni, inoltre, le problematiche nutrizionali e gastroenterologiche, che si trovano spesso legate anche ad un coinvolgimento dell’asse intestino-cervello. Alla nascita, i lattanti con sindrome fetale alcolica possono essere identificati dalla bassa statura e un tipico aspetto dei tratti del viso inclusa microcefalia, microftalmia [malformazione congenita dell'occhio, N.d.R.] rime palpebrali brevi, epicanto [piega cutanea che si trova sopra l'occhio davanti alla palpebra, N.d.R.], massiccio facciale iposviluppato, filtro piatto e lungo, labbro superiore sottile e mento piccolo. Possono essere altresì evidenti solchi palmari anomali, difetti cardiaci e retrazioni articolari [rigidità muscolari, N.d.R.]. A volte, invece, si tratta di sintomi molto sfumati e che magari compaiono in una fase successiva dello sviluppo del bambino.”

Fondamentale, come sempre, è la solerzia della diagnosi. Anche se non esiste una cura specifica, c’è però comunque la possibilità di tenere a bada i sintomi effettuando trattamenti sintomatici ed abilitativi tramite l’utilizzo di farmaci e il ricorso allo specifico specialista, più spesso a una equipe, in base alle problematiche individuali.

Deve essere messo a punto – prosegue l’esperta – un trattamento mirato e personalizzato. Talvolta i genitori, molto spesso adottivi, arrivano alla FASD, dopo un lungo peregrinare fatto di consulti medici ed esami clinici. Il suggerimento è dunque quello di fare presente al neuropsichiatra infantile, in caso di adozione, i sintomi che i genitori hanno evidenziato nel precorso di crescita o appena si riscontrano segnali sospetti. Nel caso di genitori naturali è bene far presente l’esposizione della madre all’alcol. Anche se, è bene ribadirlo, non esiste una terapia per la risoluzione della sindrome, la conoscenza precoce della situazione permette però di intervenire in maniera celere sulla sintomatologia e di limitare al massimo disabilità secondarie”.

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