Ilaria

Dal ricordo di mamma Rita scaturiscono la grinta e la voglia di vivere di una ragazza che non ha mai abbassato la testa di fronte al cancro

Un caso su centomila: è questo il rapporto di probabilità che Rita si è sentita riportare dal medico mentre le descriveva il raro sarcoma da cui era stata colpita la figlia Ilaria. In realtà, questa proporzione può essere riferita anche a Ilaria stessa che, nella sua dura battaglia contro il cancro, condivisa con le altre ragazze del gruppo Instagram delle “Susine Pelate, ha dimostrato, con la sua tenacia, di essere ‘una su centomila’. Infatti, le vite di queste cinque giovani e il loro esempio hanno trasmesso, e continuano a trasmettere, forza a quanti si imbattano nella loro storia: leggendo i post del gruppo è possibile fare la loro conoscenza e, tramite le loro stesse parole, percepire la forza che nasce dalla fragilità e l’entusiasmo per la vita anche nei momenti più dolorosi. È questo il raro e prezioso tesoro che i loro vissuti ci consegnano.

UN CAMMINO DIAGNOSTICO LUNGO E DIFFICOLTOSO

Il percorso di Ilaria ha avuto inizio quattro anni fa, con un fastidioso dolore alla parotide”, ricorda Rita. “Il medico di famiglia l’aveva visitata prescrivendo un antibiotico per ridurre l’infiammazione ma il dolore dietro l’orecchio non se ne voleva andare, così ho accompagnato Ilaria da un otorinolaringoiatra. Dopo averla visitata senza riscontrare nulla di particolarmente significativo, il medico, a sua volta, le ha prescritto un antibiotico”. Per diverse settimane Ilaria ha continuato ad assumere i farmaci, che però non sembravano in grado di risolvere il problema, così, al rientro delle vacanze estive, si è rivolta a un altro specialista presso il Policlinico di Milano: nessuno però riusciva a venire a capo della situazione e il dolore si faceva via via più forte. Un’ematologa, dopo aver visto gli esami del sangue di Ilaria, aveva suggerito l’esecuzione di una PET, la quale, tuttavia, diede esito negativo.

“Temevo che ci fosse qualcosa di più grave di un’infiammazione e volevo che mia figlia proseguisse con gli accertamenti ma, nel frattempo, l’esplosione della pandemia di COVID-19 aveva reso tutto più difficile”, prosegue Rita. “Proprio in quel periodo, a Ilaria fu richiesto di sottoporsi a un agoaspirato eco-guidato alla parotide e così iniziammo a cercare un ecografista disponibile a eseguire l’esame. Purtroppo gli ambulatori erano chiusi e non ci si poteva muovere facilmente. Alla fine ci siamo dovute rivolgere a una struttura a pagamento e Ilaria si è sottoposta all’esame: anche questo ha dato esito negativo”.

Nel frattempo, la parotide di Ilaria continuava ad essere gonfia e arrossata, provocandole sempre dolore, e neppure le iniezioni di penicillina erano servite a qualcosa. Poiché non erano visibili anomalie nei canali dell’orecchio, i medici stabilirono di fare una biopsia a cielo aperto. “Fu un momento orribile”, spiega Rita. “Eravamo nel pieno dell’emergenza COVID e, dopo aver fatto numerosi tamponi di controllo, Ilaria era stata ricoverata presso il Policlinico di Milano, nel reparto sterile dei trapianti. Sfortunatamente, la sera prima della biopsia le è salita la febbre: l’intervento è stato riprogrammato e, una volta eseguito, si è capito che Ilaria era affetta da sarcoma. “Poiché, dopo tre settimane di attesa, l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano non era riuscito a classificare la forma tumorale di Ilaria, ci siamo rivolte al prof. Dei Tos, dell’Anatomia patologica dell’Ospedale di Padova, che è uno specialista in questo campo”, aggiunge Rita. “La diagnosi è stata di sarcoma pleomorfo indifferenziato di terzo grado”.

UN TUMORE PER CUI NON ESISTE UNA TERAPIA SPECIFICA

L’oncologo che ha preso in carico Ilaria le ha spiegato che la sua era una condizione “molto rara, per la quale non esisteva un protocollo terapeutico definito”. La giovane ha dovuto iniziare con sei cicli di chemioterapia da consolidare con eventuale trattamento radioterapico, visto il quadro della malattia ad esordio plurimetastatico. “Al tempo Ilaria aveva solo 23 anni e prima di sottoporsi alla chemioterapia ha dovuto fare la crioconservazione degli ovuli, preceduta dalla terapia ormonale”, ricorda ancora Rita. “A giugno 2020 è iniziata la chemioterapia che, tra pause e riprese, è andata avanti fino a ottobre dello stesso anno. Per mia figlia non è stato facile tollerare il trattamento: stava male e aveva perso peso, senza contare che aveva paura, ma non si è demoralizzata e ha trovato l’energia per affrontare tutti gli interventi previsti”.

Ilaria era in cura anche presso il CNAO di Pavia, dove effettuava cicli di adroterapia sia alla parotide (che, tra le altre cose, le ha atrofizzato i nervi in corrispondenza della zona trattata, portandola a non riuscire più a sorridere), sia al cuore, a causa del rinvenimento di una metastasi cardiaca. Successivamente, il presentarsi di dolori alla schiena aveva indotto il sospetto di metastasi ossee, purtroppo confermate dalla risonanza magnetica: Ilaria, perciò, ha dovuto affidarsi alle stampelle e alla sedia a rotelle per muoversi, in modo da scongiurare il rischio di fratture ossee.

“Purtroppo - continua Rita - il tumore di Ilaria mutava in maniera rapida: nel tentativo di individuare un protocollo terapeutico che funzionasse, il suo oncologo ha persino contattato un collega di Washington, nella speranza di poter somministrare a mia figlia una terapia sperimentale costituita da due farmaci, dabrafenib e trametinib, in fase di valutazione per pazienti affetti da mieloma avanzato. Tramite un protocollo sperimentale il tentativo fu possibile, ma nemmeno questo trattamento sortì effetto”. Ilaria terminò tutti i cicli di radioterapia ma le metastasi erano ormai talmente diffuse che non fu possibile fare più nulla per salvarla.

LE SUSINE PELATE: UN ESEMPIO DI FORZA E GIOIA DI VIVERE

Mentre era ricoverata per sottoporsi alla chemioterapia, Ilaria fece la conoscenza di altre quattro ragazze, Claudia, Federica, ‘Giulia grande’ e Giulietta”, ricorda Rita. “L’idea di creare il gruppo Instagram delle "Susine Pelate" è nata tra loro quasi per caso, chiacchierando. Volevano essere di aiuto ad altri malati e trasmettere la loro energia, la loro gratitudine e la voglia di vivere da cui erano pervase: ci riuscirono perché, in poco tempo, il gruppo racimolò migliaia di follower e ottenne enorme visibilità”.

A dispetto della paura suscitata da quel male che non le dava tregua, e nonostante le difficoltà che il suo percorso le presentava, Ilaria era una ragazza solare, piena di vita e determinata a non lasciarsi abbattere: mentre era sotto chemioterapia è riuscita a discutere la sua tesi di laurea magistrale in psicologia e stava pianificando le future tappe della sua vita (gli ultimi due mesi, per poter dare l’esame di ammissione all’albo degli psicologi, veniva trasfusa due volte alla settimana).

“Mia figlia ha dato molto con il suo esempio e ha ricevuto tanto dai medici e dagli infermieri che l’hanno seguita all’Istituto Nazionale dei Tumori”, conclude Rita. “Molti sono diventati amici e hanno continuato a venirla a trovare anche a casa, quando è stata dimessa. A livello emotivo tutto ciò è stato fondamentale per Ilaria, e anche per me. Ciononostante, il cammino diagnostico e terapeutico di mia figlia non è stato affatto semplice: non solo a causa della pandemia, che ha reso tutto più complesso, ma anche per l’attuale mancanza di percorsi specifici per le persone che, come Ilaria, affrontano un tumore raro. Pur con l’indicazione di urgenza, spesso non riuscivamo a trovare ospedali e strutture dove eseguire gli esami che le venivano di volta in volta prescritti. Le liste di attesa erano infinite e non sempre ho avuto la percezione che i percorsi diagnostici per coloro che soffrono di patologie tumorali fossero ben tracciati. La sanità italiana è un bene prezioso, da difendere e custodire, perciò mi auguro che si mettano in atto gli interventi per farlo al meglio, nel rispetto dei malati oncologici che, come Ilaria, continuano ad aver bisogno e diritto a una corretta assistenza sanitaria”.

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