Prof. Fabio Pacelli - Sarcomi del retroperitoneo

Prof. Fabio Pacelli (Roma): “Per quanto riguarda le modalità di intervento più adatte, la decisione non spetta mai al singolo chirurgo bensì all’equipe multidisciplinare”

In greco antico la parola “sarx, sarkòs” significa “carne” ed è esattamente a questo significato che si rifà il termine “sarcoma”, con il quale si identifica un gruppo di tumori maligni del tessuto connettivale molle e dell’apparato osteo-articolare. Essi hanno, per l’appunto, l’aspetto di masse carnose e possono insorgere nei muscoli, nei tendini, nel tessuto adiposo e connettivo di vari distretti dell’organismo. Per la loro diffusione nella popolazione - si stima che, annualmente, colpiscano 5 persone ogni 100mila e, secondo i più recenti dati AIRTUM, in Italia rappresentano l’1% di tutti i tumori dell’adulto - sono stati classificati come rari. Ciò complica le possibilità del cittadino di reperire sul territorio un centro di riferimento alle cui cure affidarsi, specie quando ha a che fare con sottogruppi tumorali, come i sarcomi del retroperitoneo, la cui incidenza è ancora più bassa (circa il 15% di tutti i sarcomi) ma su cui alcuni ospedali, come il Policlinico Gemelli di Roma, si sono specializzati.

LA DIAGNOSI GIUNGE QUANDO IL TUMORE È DI GRANDI DIMENSIONI

“I sarcomi retroperitoneali hanno una crescita molto lenta tanto che, spesso, anziché infiltrare gli organi vicini li spostano”, spiega Fabio Pacelli, Direttore dell’U.O.C. di Chirurgia del Peritoneo e Retroperitoneo e Professore associato di Chirurgia Generale all’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma. “Perciò, purtroppo, la diagnosi finisce per essere tardiva. A causa di una crescita tumorale lenta, i pazienti non notano immediatamente la presenza del tumore, rilevato solo quando raggiunge volumi molto grandi. A volte persino della dimensione di un’anguria. Inoltre, il retroperitoneo - cioè la struttura atomica accanto alla colonna vertebrale che ospita ossa e vertebre, dove risiedono i reni, il pancreas e una parte del duodeno e transitano i grandi vasi sanguigni, come l’aorta e la vena cava con le loro diramazioni - è parzialmente nascosto perciò l’accesso sia dal punto di vista clinico che chirurgico si presenta complesso”.

La diagnosi arriva grazie agli esami strumentali - ecografia, TAC addominale con mezzo di contrasto o risonanza magnetica - sulla base di sintomi (dolore o presenza di masse addominali palpabili), oppure incidentalmente in seguito all’esecuzione delle analisi per altri motivi. La biopsia transcutanea è l’unica tecnica per definire la natura della massa e ricopre perciò una concreta importanza dal momento che i sarcomi del retroperitoneo possono essere di vario tipo. “La caratterizzazione istologica consente di dividerli in due grandi famiglie”, prosegue Pacelli. “I liposarcomi, che originano dal tessuto adiposo e rappresentano fino a un quinto di tutti i sarcomi, e tutti gli altri - tra cui i leiomiosarcomi - che possono avere origine dai vasi sanguigni dell’addome e del retroperitoneo. I liposarcomi hanno la spiccata tendenza a provocare recidive locali e mostrano una buona risposta all’intervento chirurgico, gli altri, e in modo particolare i leiomiosarcomi, tendono a produrre metastasi anche a distanza, pur rispondendo meglio ai trattamenti chemio- e radio-terapici”.

L’OPZIONE DI TRATTAMENTO PRINCIPALE È LA CHIRURGIA

Una volta posta la diagnosi, stabilito il sottotipo istologico (sulla base dei criteri morfologici e dei dati immunoistochimici e molecolari) nonché il grado di malignità della neoplasia, si procede con l’intervento chirurgico che, nella gran parte dei casi, si rivela di estrema complessità. “Non si tratta unicamente di un’operazione di asportazione della massa, bensì di eseguire quella ormai nota come chirurgia di compartimento”, precisa Pacelli. “Ciò significa realizzare un’operazione estesa, di asportazione del tumore in blocco con gli organi che lo circondano, cosa piuttosto difficile considerati i vincoli anatomici del retroperitoneo”. Infatti, l’intervento prevede l’asportazione della massa e delle strutture limitrofe, senza traumatizzare il tumore che, altrimenti, potrebbe disseminare dando origine a metastasi. “Ad esempio, nel caso di un sarcoma della porzione destra del retroperitoneo, insieme alla massa bisogna rimuovere parte del colon, il rene destro e il muscolo psoas che si trova posteriormente”, precisa l’esperto chirurgo. “I limiti anatomici che delimitano la completezza dell’asportazione sono dati dai vasi sanguigni, dal tessuto osseo e nervoso”. Tale approccio - estremamente invasivo - serve appunto a ridurre il rischio di recidiva. “Nel caso dei liposarcomi se l’intervento viene eseguito in maniera inadeguata, lasciando cellule tumorali residuali, la probabilità di recidiva raddoppia”, dichiara Pacelli. “La chirurgia compartimentale comporta il minor tasso di recidive ed è ormai obbligatorio farvi ricorso. Se la massa è inizialmente troppo grande può rendersi necessario un trattamento neoadiuvante al fine di ridurre le dimensioni e rendere più agevole l’intervento che va sempre pianificato con estrema cura e precisone. Una recidiva locale che insorga dopo un intervento di compartimento è più difficile da trattare perché il margine di azione è ridotto”.

Nel caso, invece, dei leiomiosarcomi che possono essere diagnosticati casualmente quando sono ancora di piccole dimensioni, la tecnologia disponibile consente di praticare interventi mini-invasivi in laparoscopia e tramite chirurgia robotica. “Di recente abbiamo condotto un intervento per asportare un leiomiosarcoma di 3 cm della vena renale”, prosegue. “Utilizzando il robot Da Vinci abbiamo asportato la vena e il tumore, preservando gli organi circostanti”.

OCCORRE RIVOLGERSI AI CENTRI ESPERTI

Dalla comprensione di tutto ciò si evince la necessità che i pazienti con una diagnosi di sarcoma (o con una sospetta massa) a livello del retroperitoneo possano avere accesso a un centro di terzo livello, con personale adeguatamente formato alla presa in carico della patologia. “La chirurgia dei sarcomi retroperitoneali richiede competenze multiple”, commenta Pacelli. “Oltre al chirurgo oncologo e vascolare il team deve prevedere la presenza di un anatomo-patologo, del radiologo, del radioterapista o del chirurgo plastico per la ricostruzione della parete addominale. Pertanto, la scelta del tipo di intervento deve esser frutto di una discussione multidisciplinare”. Come avviene al Centro Sarcomi ufficialmente aperto a fine dello scorso marzo presso il Policlinico Gemelli di Roma, dove è attivo un percorso appositamente studiato e dedicato ai pazienti con nuova diagnosi di sarcoma retroperitoneale. “Abbiamo investito molto in questo settore dal momento che ogni anno seguiamo centinaia di persone affette da tali problematiche”, conclude Pacelli. “Ogni settimana le principali figure mediche citate si riuniscono in quello che è noto come tumor board, vale a dire una riunione di esperti durante la quale si discute collegialmente l’approccio ai casi clinici. Ogni azione svolta è, dunque, sempre il frutto una decisione di squadra”.

La creazione di centri di elevata qualità come quello del Policlinico Gemelli o dell’Ospedale Ca’ Foncello di Treviso [dove opera un team specialistico composto da specialisti chirurghi, urologi, cardiochirurghi e anestesisti, impegnati nella presa in carico collegiale dei pazienti con queste problematiche, N.d.R.] serve a dare ai malati - ma anche ai medici di medicina generale che li visitano e possono sospettare la presenza di una patologia - i punti di riferimento necessari per contattare i professionisti di terzo livello a cui rivolgersi per una ottimale gestione della malattia.

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