Malattie bollose, intervista a Patrizia Maione

Patrizia Maione, presidente dell'associazione ANPPI: “Queste condizioni portano a sentirsi diversi e ad isolarsi dalla vita sociale, ma parlare con chi le ha già affrontate può essere d'aiuto”

Quando il sistema immunitario non funziona come dovrebbe, e perciò identifica come estranei i propri organi e tessuti e li aggredisce per distruggerli, uno degli spiacevoli scenari possibili è la comparsa di una malattia bollosa autoimmune. Le condizioni che appartengono a questa categoria, fra le quali anche il pemfigo e il pemfigoide (dal greco pemphix, “pustola”), colpiscono la pelle e le mucose: si tratta di patologie rare e croniche che necessitano di un modello assistenziale in grado di farsi carico dei pazienti lungo tutto il decorso della malattia.

Per migliorare la qualità di vita di queste persone, nel 2009 è nata l'Associazione Nazionale Pemfigo e Pemfigoide Italy (ANPPI), che fa parte dell'Alleanza Malattie Rare. Come spiega la presidente Patrizia Maione, l'organizzazione di volontariato vuole essere vicina ai portatori di queste condizioni affinché non si sentano soltanto dei 'malati' ma possano continuare ad essere persone capaci di affrontare la vita in maniera attiva e propositiva.

Quali sono le vostre principali attività e le iniziative realizzate?

"Il principale obiettivo dell'associazione ANPPI è quello di offrire supporto e confronto tra pari. Difatti, essendo malattie rare, il colloquio con persone che hanno la stessa esperienza di malattia è molto richiesto e molto importante per favorire l’aderenza alle cure e contenere le emozioni negative. Per questo abbiamo messo a disposizione l'indirizzo e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., dove le persone che convivono con queste malattie possono raccontare la loro esperienza. A queste e-mail, che arrivano continuamente, risponde Stefania De Luca, una volontaria adeguatamente formata per offrire supporto emotivo e indirizzare le persone ai centri di riferimento per questa patologia".

"Un altro aspetto cruciale per le persone affette da malattia rara è la ricerca di informazioni mediche aggiornate e affidabili. Di questo si occupa la volontaria Carola Pulvirenti, infermiera e giornalista scientifica, che cura il sito dell'associazione e il gruppo Facebook, dove inserisce costantemente informazioni e risponde alle richieste dei pazienti. Inoltre ci impegniamo ogni anno per organizzare il congresso, dove convogliare tutti gli specialisti di queste patologie e permettere loro il confronto e l'aggiornamento. Grazie alla volontaria Laura Sarti, raccogliamo e gestiamo fondi che ci permettono di sostenere progetti di ricerca scientifica e intervento psicologico per le persone affette da queste malattie bollose autoimmuni e genetiche".

"Un altro grande obiettivo che ci siamo posti è quello di garantire equità nelle cure. Molti pazienti vivono in Regioni dove non vi è nessun centro specialistico per la patologia: sono quindi costretti, in situazioni veramente disagevoli, a dover percorrere anche centinaia di chilometri per raggiungere il centro più vicino. Per questo stiamo mappando l’intero territorio italiano attraverso una rete di professionisti esperti nel settore, per garantire con tempestività l’accesso a una diagnosi sicura".

Le vostre speranze sono orientate verso qualche aspetto della ricerca scientifica?

"Poiché le conoscenze di queste patologie sono scarse anche in ambito medico e assistenziale, ANPPI si sta impegnando per poter attuare una formazione specialistica e continua, rivolta agli operatori sanitari e ai medici in primis, in modo tale che ogni paziente possa ricevere nella propria Regione cure adeguate. Dalla ricerca scientifica ci aspettiamo la possibilità di ridurre gli effetti collaterali dei farmaci cortisonici, che sono fondamentali per la sopravvivenza delle persone con pemfigo, e lo sviluppo di nuove terapie biologiche per le persone con malattia di Hailey-Hailey (pemfigo familiare)".

Quali sono le maggiori difficoltà, sia fisiche che psicologiche, per le persone che convivono con queste patologie?

"Queste malattie autoimmuni della pelle comporta innanzitutto difficoltà fisiche, dovute alla presenza di vescicole o lesioni che possono coinvolgere sia le mucose che l’intera epidermide. Sono lesioni doloranti, evidenti, che necessitano di continue medicazioni e attenzioni. Si assiste spesso a un non riconoscimento del proprio corpo. Quando le lesioni interessano anche le mucose del cavo orale si ha un importante calo del peso corporeo dovuto all’impossibilità di mangiare qualsiasi cosa. La pelle dei pazienti è piena di lesioni acquose che impediscono, in molti casi, di potersi vestire e recarsi per esempio al lavoro, dai familiari, dagli amici. La propria vita sociale viene completamente stravolta per gli impedimenti fisici insiti nella malattia e soprattutto per quelle che saranno poi le esperienze emotive personali che scaturiscono da tale isolamento".

"Le malattie bollose autoimmuni sono patologie gravemente invalidanti che investono anche il profilo psicologico. La notizia della diagnosi, che spesso arriva dopo molti mesi se non anni, lascia la persona in preda a smarrimento e ansia. Ci si trova a doversi confrontare con il proprio vissuto, può esserci un importante momento di negazione della malattia e quindi la ferma volontà di non volersi imbarcare in un iter terapeutico poco conosciuto e spesso non risolutivo. Meccanismi di difesa, questi, che sono molto frequentemente accompagnati da momenti di tristezza, solitudine e introspezione per elaborare quanto sta accadendo. Ci si sente letteralmente soli, diversi, distanti dagli altri e non si ha voglia di spiegare la propria condizione. I nostri volontari, come accade spesso nelle associazioni, sono persone che hanno già attraversato tutto questo e con cui ci si può confrontare per ritrovare un impulso propositivo alla gestione della nuova vita".

Può raccontarci la sua vicenda personale, per far capire ai lettori cosa significa essere affetti da queste condizioni?

"Vi racconto la mia storia di portatrice di pemfigo volgare da circa dieci anni. Ho scoperto questa malattia dopo un lungo peregrinare, quasi un anno, alla ricerca della diagnosi corretta. Ricordo perfettamente la sensazione di sollievo mista a smarrimento quando ho ricevuto la diagnosi. Finalmente sapevo cosa avevo! Mentre i medici mi spiegavano nei dettagli la malattia, io pensavo già a quali cure avrei fatto, a quale struttura e a quale professionista mi sarei affidata per uscire rapidamente da quella situazione di malattia che mi aveva così improvvisamente cambiato l’intera vita e invece, intenta a organizzare i miei mille pensieri, sento pronunciare dal medico la più brutta delle sentenze: 'Mi dispiace, non ci sono cure risolutive'".

"Mi sono quindi sottoposta alla terapia farmacologia con cortisone e immunosoppressori che veniva proposta come unico protocollo terapeutico. Sono stati anni di continuo aggiustamento dei dosaggi che mi hanno consentito di tenere sotto controllo la malattia, senza però riuscire ad avere un'adeguata qualità della vita. Questi farmaci possono avere effetti collaterali e interferiscono con la naturale azione di difesa del sistema immunitario, abbassando i livelli di efficacia di tutti gli altri anticorpi prodotti dal nostro organismo. Ho dovuto lasciare il mio lavoro e piano piano isolarmi dalla vita sociale. Perché è proprio questo che fa questa malattia, ti isola! Le lesioni sulla pelle sono evidenti e impattanti alla vista propria e altrui. Non è stato facile accettare di vedere il proprio corpo deturpato dalle lesioni, si ha paura, paura soprattutto di non poter più avere indietro la propria vita".

"Poi, finalmente, ho scoperto l’Associazione Nazionale Pemfigo e Pemfigoide Italy, attraverso la quale ho appreso della terapia biologica con rituximab. Dopo una serie di esami, effettuati in regime ospedaliero, sono risultata idonea alla somministrazione di questo anticorpo monoclonale, ad oggi utilizzato con successo anche nella cura del pemfigo volgare. Da molti anni ormai la malattia è in remissione. Poi, nel 2023 mi è stato chiesto di ricoprire il ruolo di presidente dell'associazione; avevo molti timori ad assumere questa responsabilità e vivere un'esperienza del tutto nuova. Inoltre, tuttora non è facile guidare un'associazione di pazienti con una patologia che io stessa non riesco del tutto ad accettare. Eppure questo ruolo risulta utile per me e per gli altri e mi riempie il cuore poter aiutare chi ha vissuto le mie stesse difficoltà".

Leggi anche: “Malattie dermatologiche rare: la sofferenza dei pazienti è sottovalutata”.

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