Amiloidosi cardiaca, la storia di Carlo

La forma di patologia ereditaria che lo ha colpito è insolitamente precoce ed estremamente grave

“Era il 2018, forse la fine del 2017, avevo 50 anni. Poiché una delle mie due figlie faceva atletica, da qualche tempo avevo cominciato anche io a correre e a fare qualche gara. Ma quando sono andato a rinnovare il certificato medico sportivo, il dottore mi ha detto che c’era qualcosa che non andava. In effetti da un po’ di tempo mi sembrava di avere più difficoltà nella corsa e di non riuscire più a spezzare il fiato come prima, ma non ci avevo prestato troppa attenzione.”

Inizia così il racconto di Carlo (nome di fantasia), affetto da amiloidosi ereditaria da transtiretina (hATTR), una patologia genetica multisistemica che coinvolge prevalentemente il cuore, impattando drammaticamente sulla vita dei pazienti.

UNA DIAGNOSI DIFFICILE

“Nel momento in cui il medico sportivo mi ha suggerito di andare da un cardiologo – racconta ancora Carlo – io sono caduto dalle nuvole. Ho preferito consultare un altro medico sportivo, che però non ha fatto altro che riconfermare quello che aveva detto il suo collega, anzi è stato ancora più drastico, invitandomi ad andare immediatamente al Pronto soccorso. A questo punto mi sono deciso a consultare un cardiologo a Perugia, città vicino al paese dove vivo con la mia famiglia. E questo cardiologo mi ha tenuto sotto controllo per un pezzo per poi ipotizzare la presenza di una miocardite e indirizzarmi all’Ospedale Careggi di Firenze, dove lavorava il professor Iacopo Olivotto. Ho preso un appuntamento e sono andato a Firenze, dove il professore mi ha sottoposto a una serie di accertamenti, per dirmi alla fine della stessa giornata che no, non si trattava di una miocardite. Poi mi ha messo in contatto con un suo collega, il dottor Francesco Cappelli, che mi ha fatto fare altri esami e dopo quasi un anno dal momento in cui avevo incontrato il primo medico sportivo mi è stata diagnosticata l’amiloidosi cardiaca.”

LA SCOPERTA DELL’AMILOIDOSI CARDIACA

“Tra poche settimane compirò 57 anni – spiega Carlo  ne avevo appena 51 quando è stata scoperta la mia malattia. Mi hanno detto che si trattava di una forma molto precoce di Amiloidosi, perché questa patologia insorge generalmente in età più avanzata. Ma non è l’unico problema che si è presentato prima del previsto, evidentemente quello di avere malanni prima del tempo è il mio destino. All’inizio non mi sono reso conto della gravità della situazione, anzi ho fatto qualche domanda stupida, come chiedere al medico se potevo continuare a correre e ad andare in montagna, perché l’arrampicata, i trekking, le ferrate e lo sci alpinismo sono stati sempre la mia passione. Nei primi tempi non mi sentivo male, ma poi le cose sono peggiorate e, nel 2021, ero in condizioni critiche, la qualità della vita era totalmente peggiorata. Fino all’ultimo, tuttavia, non avevo compreso che la situazione era talmente compromessa da portarmi al trapianto del cuore.”

UNA MALATTIA CHE PUÒ DEGENERARE IN FRETTA

“La malattia ha avuto un decorso graduale – scherza Carlo - ma di una gradualità mooolto veloce. All’inizio volevo sapere se potevo fare questo e quello, poi col passare del tempo ho smesso di fare domande perché era chiaro che non ce la facevo a correre né ad andare in montagna. Ho cominciato una terapia farmacologica ma, malgrado il trattamento, la malattia è progredita. Se inizialmente avevo solo il fiato corto, poi è arrivata la spossatezza e la svogliatezza nel fare anche le cose più normali. La malattia ha investito ogni aspetto della vita, a cominciare dalla vita affettiva e da quella lavorativa. Avevo un service con officina meccanica, carrozzeria, gommista e centro revisioni. Uscivo la mattina e tornavo a casa la sera, una vita piuttosto impegnativa.
Sebbene con degli intervalli dovuti ai ricoveri in ospedale, ho lavorato fino al 2021, ma poi ho dovuto smettere, non ce la facevo più.  Avevo bisogno che qualcuno si occupasse di me.”

IL TRAPIANTO DI CUORE

Il trapianto di cuore è raramente indicato per i pazienti con amiloidosi cardiaca. Secondo i dati ampiamente condivisi all’incirca il 2% dei trapianti di cuore viene effettuato per cardiomiopatie restrittive e, all’interno di questi, un sottogruppo è rappresentato dall’amiloidosi. La gravità della malattia di Carlo e la sua giovane età lo hanno però reso un candidato ideale al trapianto.

“Il trapianto di cuore è avvenuto il 10 luglio 2022 – racconta Carlo –. Quel giorno è diventato il mio vero compleanno mettendo in ombra il giorno in cui compio gli anni a settembre.”

“Nei primi tempi il trapianto sembrava l’ultima spiaggia, ma poi ho cominciato a sentimi ogni giorno peggio e, vedendo la progressione della malattia, il dottor Cappelli ha iniziato sempre più spesso a parlare dell’intervento come di una possibilità effettiva, fino a che a un certo punto mi ha detto che bisognava effettuare la procedura per entrare nelle liste di attesa. Potevo scegliere tra il Nord Italia e Siena, ma ho optato per l’Azienda ospedaliero-universitaria senese perché era più vicino a casa e oggi posso dire che alla fine si è rivelata un’ottima scelta. Da quando mi sono messo in lista di attesa a quando mi sono sottoposto all’intervento è passato più o meno un anno e questo, forse, è stato il momento più difficile prima del trapianto: in questo periodo ho subito vari ricoveri, spesso ero scompensato e in più occasioni sono anche svenuto, tanto che una volta mi sono fratturato l’ischio pubico destro, restando immobilizzato un mese intero.”

IL PERIODO PIÙ DIFFICILE

Il periodo tra il 2021 e il 2022 è stato quello più difficile. Io, mia moglie e le mie figlie eravamo molto spaventati. Poi, dopo il trapianto, la svolta, anche se non posso dire di essere tornato quello di prima. È stata sicuramente una rinascita e sono tornato a vivere in maniera nettamente migliore rispetto ai mesi precedenti, ricominciando a fare molte cose che non riuscivo più a fare, ma non è stato, e non è tutt’ora così semplice. Subito dopo sono successe tante cose, ho avuto anche un’infezione al polmone, e la ripresa è stata complessa. Mi sono risvegliato verso fine luglio, 20 giorni dopo l’intervento, e non avevo più i muscoli: non riuscivo a fare nulla, nemmeno premere un pulsante per chiamare l’infermiere. Così ho dovuto reimparare tutto daccapo. Il momento più brutto è stato quello del risveglio: avevo il sondino per via della tracheostomia e non riuscivo a parlare. Comprendevo tutto, ma non ero in me, non sapevo neppure dov’ero, ho minacciato di chiamare i carabinieri tanto mi trovavo in uno stato di alterazione mentale. È stato un mese terribile, ma alla fine ce l’ho fatta e il 6 settembre sono finalmente uscito dall’ospedale.” Carlo ci tiene però a ringraziare tutto il reparto di Cardiochirurgia di Siena per averlo “supportato e sopportato in quei momenti bui”: “Devo dire grazie davvero a tutti: dagli inservienti delle pulizie alle Oss, dalle infermiere ai medici, fino a chi mi ha operato salvandomi la vita!”

“Ora le cose vanno abbastanza bene – prosegue Carlo – io mi sento molto meglio, anche se nel frattempo sono subentrati una serie di problemi di salute, che non dipendono dalla malattia, ma che mi complicano la vita. La cosa bella è che sono tornato in montagna, anche se in questo momento i miei acciacchi mi impediscono di camminare, che è la cosa che mi piace fare di più in assoluto.”

LA VITA CON L’AMILOIDOSI

L’Amiloidosi è una patologia che ti cambia completamente la vita – spiega Carlo –. Per descriverla mi viene sempre in mente la parola “adattamento”: non devi pensare a quello che non riesci a fare, ma a quello che puoi fare. Io però ci sono riuscito solo in parte ad adattarmi, non è un percorso facile. Vado da una psicologa, ma comunque non è semplice e ci vuole tempo. Eppure mi ritengo fortunato, perché sono ancora qui e potevo non esserci più, perché la mia vita è stata ricca, ho fatto tante cose con mia moglie, le mie figlie, la mia famiglia. Poi qualche volta ho difficoltà a far comprendere agli altri il mio stato di salute: siccome la malattia non si vede e all’apparenza sto bene, gli altri non riescono a capire che certe cose non le posso più fare.”

L’ANGOSCIA PIÙ GRANDE: L’EREDITARIETÀ

“Ho un pensiero fisso, è la mia più grande preoccupazione: ho paura di aver trasmesso questa brutta patologia alle mie figlie, è un pensiero latente, ma fisso. Non ne parlo, ma ci penso sempre, è un’angoscia che non mi lascia mai. Per il resto mi adatto a tutto, mi adatto perché non posso fare altro, perché devo cercare di stare il meglio possibile, di vivere una vita normale, rinunciando con serenità a fare tutte le cose che facevo prima.”

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