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Si chiama PFIC Italia Network ed è impegnata a promuovere la ricerca sulla patologia, grazie anche a un video di sensibilizzazione che ha come testimonial Isabel Allende

La colestasi intraepatica familiare progressiva (PFIC) è una patologia rara di origine genetica che causa, nelle bambine e nei bambini che ne sono affetti, la compromissione del normale processo di formazione della bile, il liquido che viene prodotto dal fegato per essere utilizzato nella fase di digestione del cibo. Sono stati identificati tre sottotipi principali di PFIC (1, 2 e 3), la cui incidenza stimata oscilla tra un caso ogni 50.000 nascite e un caso ogni 100.000 nascite. La malattia ha un’età di esordio che varia dai primi mesi di vita fino all’adolescenza: la conseguenza più rilevante è rappresentata dalla colestasi, ossia la riduzione o l’arresto del flusso della bile, la quale si riversa all’interno del fegato causando un progressivo deterioramento dell’organo, a cui si associano sintomi come l'ittero e un prurito incessante e fortemente invalidante. I pazienti, in genere, sviluppano fibrosi e insufficienza epatica prima dell’età adulta.

Una volta ricevuta la diagnosi di una patologia rara come la colestasi intraepatica familiare progressiva, il primo problema, per le famiglie dei pazienti, è quello di ricevere le giuste indicazioni. “La prima soluzione, quasi automatica, è quella di cercare in internet più notizie possibili sulla patologia, ma anche eventuali gruppi di supporto e persone che si trovino nella stessa situazione”, spiega Francesca Lombardozzi, Presidente di PFIC Italia Network, una neonata associazione che riunisce i genitori dei bambini italiani affetti da questa patologia. “Ci siamo accorti – prosegue Lombardozzi – che gruppi di questo genere, in Italia, non esistevano. Esisteva, però, un’organizzazione internazionale al cui interno abbiamo trovato alcune – poche – famiglie italiane. Da lì, allora, è nata l’idea di costituire un piccolo gruppo italiano, di 5 famiglie, da cui è poi sorta la consapevolezza della necessità di creare una vera e propria associazione di supporto attiva su tutto il territorio nazionale, per i genitori che si trovano o si troveranno nella nostra stessa situazione. Inizialmente, ci siamo concentrati sulla ricerca di altre famiglie: abbiamo finora aperto una pagina Facebook, in modo da farci trovare anche a seguito di una semplice ricerca online, e a breve sarà attivo anche il nostro sito internet”.

Altro principale obiettivo dichiarato dell’Associazione è quello di incentivare, nel nostro Paese, la ricerca relativa alla PFIC, considerando che ad oggi non esistono trattamenti farmacologici efficaci e che i pazienti sono praticamente destinati al trapianto di fegato. “Siamo entrati in contatto con la Fondazione Telethon – continua la Presidente di PFIC Italia Network – venendo così a conoscenza del progetto Seed Grant, istituito appunto per le piccole associazioni di pazienti come la nostra: abbiamo allora iniziato una campagna di raccolta fondi per poter partecipare, nell’estate del 2021, a questo progetto, che permette, tramite un bando aperto a ricercatori e ricercatrici, di finanziare lo studio di nuove terapie. Questa iniziativa ci permette, al contempo, di sensibilizzare il pubblico sulla PFIC, patologia di cui si sa relativamente poco e su cui, purtroppo, c’è poca informazione”.

Per questo motivo, PFIC Italia Network ha appena realizzato un video per promuovere la raccolta fondi che permetterebbe all’Associazione di partecipare al Seed Grant di Telethon, video che vede anche la partecipazione della famosa scrittrice cilena Isabel Allende. Il progetto di ricerca che si vorrebbe promuovere riguarda soprattutto la PFIC1, senza escludere tuttavia nessuna forma di questa patologia rara. “Il nostro obiettivo è quello di creare un’alternativa terapeutica agli interventi di diversione biliare e di trapianto di fegato, soluzioni che spesso non sono neppure risolutive. Vogliamo ‘aprire’ la ricerca sulla PFIC anche nel nostro Paese, creando così un punto di vista aggiuntivo. Tutto questo per i nostri figli ma anche, e soprattutto, per i bambini e le bambine che riceveranno la diagnosi in futuro e per le loro famiglie, affinché nessuno debba rivivere quello che stiamo vivendo noi”.

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