fegato

Prof.ssa Claudia Mandato (Salerno): “La classificazione di questa rara patologia si sta estendendo grazie alla scoperta di nuovi meccanismi patogenetici”

La colestasi intraepatica familiare progressiva (PFIC) è una rara malattia genetica caratterizzata, appunto, da colestasi, ossia da un diminuito o interrotto flusso di bile dal fegato all’intestino, “un’alterazione che risiede sia nel meccanismo di trasporto che nella secrezione degli acidi biliari”, spiega la professoressa Claudia Mandato, dell’Università degli Studi di Salerno, intervenuta in occasione dell’evento “Together hand in hand”, recentemente organizzato per il lancio in Italia del farmaco odevixibat. “Negli ultimi anni sono stati individuati nuovi meccanismi patogenetici alla base della PFIC e questo – sottolinea la professoressa Mandato – ha permesso di estendere la classificazione delle varie forme di malattia”.

LA PATOLOGIA IN BREVE 

La colestasi intraepatica familiare progressiva è una patologia tipica dell'infanzia che compromette la formazione e il trasporto della bile. La prevalenza stimata della malattia è di un caso ogni 50.000-100.000 nascite. Si tratta di una patologia estremamente grave, in grado di intaccare le funzioni epatiche al punto tale da rendere necessario il trapianto d’organo prima dell’età adulta. La PFIC comporta malassorbimento dei lipidi, carenze vitaminiche gravi, ritardi nella crescita, problemi nutrizionali, rachitismo, ittero, prurito severo, fibrosi epatica che può evolvere in cirrosi e altri disturbi extraepatici (bassa statura, sordità neurosensoriale, diarrea acquosa, pancreatite, ecc.).

LA BILE

Conoscere meglio la composizione della bile aiuta a capire i meccanismi che determinano la colestasi intraepatica familiare progressiva”, spiega la prof.ssa Mandato. “Il difetto genetico alla base della malattia, infatti, provoca delle alterazioni nella sintesi-secrezione e nel trasporto degli acidi biliari”.

Il fegato produce ogni giorno circa 500-600 ml di bile, un liquido che si compone principalmente di acqua ed elettroliti, ma che comprende anche alcuni composti organici come gli acidi biliari, i fosfolipidi (principalmente lecitina), il colesterolo, la bilirubina e altre sostanze prodotte dall’organismo o ingerite (come ad esempio i farmaci o i loro metaboliti). “Gli acidi biliari (AB) rappresentano più del 60% dei componenti organici della bile”, sottolinea la prof.ssa Mandato. “Dopo essere stati sintetizzati all’interno degli epatociti [le cellule del fegato, N.d.R.], gli acidi biliari vengono trasportati dalla proteina BSEP all’interno dei canalicoli biliari del fegato. Solo il 5% degli acidi biliari si perde con le feci: il 95% di essi viene riassorbito a livello intestinale grazie a un meccanismo regolato dal recettore nucleare farnesoide X (FXR), una proteina che regola la formazione e secrezione della bile e il suo fisiologico ricircolo tra fegato e intestino”. Questo processo di ricircolo della bile si basa su un equilibrio delicato che risiede nell’attività sincronizzata di fegato e intestino, modulata dagli ormoni e dalla dieta: nella PFIC questo meccanismo non funziona correttamente, così come vi sono alterazioni nella formazione della bile stessa.

LE PRINCIPALI FORME DI PFIC

I principali sottotipi di colestasi intraepatica familiare progressiva sono tre (PFIC di tipo 1, 2 e 3) e rappresentano l’1-2% di tutte le colestasi neonatali e pediatriche. Negli ultimi anni, tuttavia, la classificazione delle PFIC si è estesa notevolmente grazie all’identificazione di nuovi meccanismi patogenetici. “Alla luce delle nuove scoperte – spiega la prof.ssa Mandato – il numero dei sottotipi di PFIC è cresciuto e, ad oggi, si conoscono almeno dodici forme di malattia”. Tra queste, le più frequenti sono le PFIC di tipo 1, 2, 3, 4, 5 e 6.

La PFIC1 è dovuta a mutazioni nel gene ATP8B1, che codifica per la proteina FIC1. L’alterazione di FIC1 compromette indirettamente la secrezione degli acidi biliari e impedisce il corretto funzionamento della proteina di trasporto BSEP. La PFIC1 si manifesta con colestasi nei primi mesi di vita, aumentata concentrazione degli acidi biliari sierici e prurito severo. Inoltre, dato che la proteina FIC1 viene espressa a livello di vari organi, la sua alterazione provoca anche sintomi sistemici come predisposizione allo sviluppo di polmoniti e altre malattie respiratorie, perdita dell’udito, pancreatiti e diarrea. I valori di GTT (gamma-glutamil transpeptidasi, un indice ematico di malattia epatica) risultano essere nella norma.

La PFIC2 è dovuta a mutazioni nel gene ABCB11, che codifica per la proteina BSEP. La patologia si manifesta in maniera più grave e precoce rispetto alla PFIC1, con sintomi quali colestasi, colelitiasi (calcoli biliari), malassorbimento di vitamine ed elevato rischio di carcinoma epatocellulare. Pur comportando gravi danni al fegato, la PFIC2 non è associata a manifestazioni extraepatiche. Anche in questo caso i valori GTT appaiono nella norma e la severità della malattia dipende dall’attività residua della proteina BSEP.

La PFIC3 è dovuta a mutazioni nel gene ABCB4, che codifica per MDR3, glicoproteina di membrana con funzione di pompa. Queste mutazioni provocano difetti nella secrezione dei fosfolipidi biliari. In questo sottotipo di colestasi intraepatica familiare progressiva i valori di GGT sono elevati. La PFIC3 evolve verso la cirrosi biliare secondaria.

La PFIC4 è dovuta a un’alterazione della proteina di giunzione TJP2 e presenta uno spettro di manifestazioni cliniche molto variabile, con valori di GGT normali e rischio precoce di carcinoma epatocellulare.

Nella PFIC5 si verifica un deficit di FXR, il recettore nucleare farnesoide X, che normalmente ha la funzione di regolare la sintesi degli acidi biliari, di stimolare la loro escrezione nella bile e di inibirne il riassorbimento negli epatociti. L’alterazione di FXR provoca gravi effetti sistemici (ad esempio coagulopatie).

La PFIC6 (o PFIC 10) può dare luogo alla condizione chiamata “Microvillous inclusion intestinal disease” (MVID), causa di diarrea intrattabile e/o colestasi. La proteina coinvolta è MYO5B, che regola il posizionamento di BSEP sulla membrana dell’epatocita: la patologia, quindi, si manifesta in modo simile alla PFIC2, che è dovuta alla carenza di BSEP.

“I geni coinvolti nelle PFIC di tipo 1, 2 e 3 – spiega la prof.ssa Mandato – possono essere responsabili anche di forme episodiche di PFIC, le cosiddette colestasi intraepatiche ricorrenti benigne (BRIC)”. In queste patologie si riscontrano ittero, prurito e malassorbimento. Infezioni, trattamenti ormonali e alcuni farmaci possono fungere da meccanismo scatenante (trigger) per le riacutizzazioni di malattia.

L'ultimo decennio è stato particolarmente produttivo per lo studio della fisiopatologia della colestasi intraepatica familiare progressiva e per la comprensione delle basi molecolari della malattia. Questo ha permesso non solo di ampliare la classificazione delle PFIC ma anche di allargare gli orizzonti terapeutici, con la messa a punto dei nuovi farmaci inibitori del trasporto ileale degli acidi biliari come obevixibat, da poco disponibile anche in Italia.

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