Terapia genica per l'emofilia A: il punto con la dottoressa Santoro

Dott.ssa Rita Carlotta Santoro (Presidente AICE): “Con una sola infusione endovenosa, il farmaco può permettere di raggiungere una protezione duratura dai sanguinamenti”

Si allunga l’elenco delle terapie geniche disponibili anche in Italia: con il via libera concesso pochi giorni fa dall’AIFA a valoctocogene roxaparvovec (nome commerciale Roctavian), sono 11 i farmaci di questi tipo attualmente inseriti nei prontuari farmaceutici nazionali. Un successo che induce a riflettere sul ruolo che nel prossimo futuro ricopriranno le terapie avanzate nell’ambito della medicina, specialmente quando riguardano, nel caso di valoctocogene roxaparvovec, una patologia della coagulazione potenzialmente grave come l’emofilia.

Considerata una malattia rara (l’incidenza globale delle due forme di emofilia, A e B, è compresa tra 1:5.000 e 1:10.000 nati) l’emofilia è nota al grande pubblico per le vicende della Regina Vittoria, la quale era portatrice di emofilia B e trasmise questa condizione al figlio Leopoldo, morto in giovane età a seguito di un’emorragia. La patologia ha continuato a manifestarsi nei discendenti di sesso maschile della famiglia reale per varie generazioni, guadagnandosi l’appellativo di “malattia dei re”.

L’emofilia è un disordine ereditario della coagulazione provocato da mutazioni nei geni responsabile della produzione del fattore VIII (FVIII), nel caso dell’emofilia A, o del fattore IX (FIX), nel caso dell’emofilia B”, afferma la dottoressa Rita Carlotta Santoro, Responsabile dell’Unità Operativa di Emofilia, Emostasi e Trombosi dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria ‘Dulbecco’ di Catanzaro, nonché Presidente dell’AICE (Associazione Italiana Centri Emofilia). “Entrambe queste proteine ricoprono un ruolo essenziale nel processo di coagulazione del sangue, pertanto i pazienti con emofilia sono soggetti a spontanee emorragie muscolari, intra-articolari e interne che, nei casi più severi, possono mettere a rischio la loro vita”. Proprio come è accaduto al principe Leopoldo, deceduto in seguito a un’emorragia cerebrale.

Il trattamento dell’emofilia consiste nella somministrazione continuativa del fattore mancante”, prosegue Santoro. “Nel caso dell’emofilia A, l’FVIII è necessario per arrestare le emorragie e prevenirle. Si tratta di un carico terapeutico significativo, specialmente per i pazienti con emofilia grave o moderata-grave che, prima dell’arrivo dei farmaci a emivita prolungata, si sottoponevano alle infusioni endovenose anche a giorni alterni”. La terapia genica ha sovvertito questo paradigma poiché, con una sola somministrazione - in gergo medico si dice “one shot” - consente di prevenire le emorragie, sollevando le persone con emofilia dall’obbligo di continue infusioni.

La terapia genica consente il trasferimento di materiale genetico all’interno di una cellula allo scopo di prevenire e curare una data malattia”, precisa Santoro. “Pertanto, rappresenta un’opzione curativa ideale per molte malattie genetiche, specialmente per quelle monogeniche, in cui un solo gene risulta alterato, proprio come nel caso dell’emofilia, nella quale il gene interessato è posto sul cromosoma X [cosa che spiega perché le femmine siano portatrici e i maschi, invece, manifestino i sintomi della malattia, N.d.R.]”. “Nella terapia genica le modalità con cui si effettua questo trasferimento sono varie”, riprende Santoro. “Nel caso dell’emofilia A sono stati svolti numerosi studi prima di definire il vettore ideale per trasferire il gene all’organo target”. All’inizio sono stati usati i retrovirus, poi gli adenovirus e, infine, i virus adeno-associati (AAV), a testimonianza della lunga storia di sviluppo clinico di cui necessitano terapie avanzate come questa. “Gli AAV non si replicano, inoltre hanno un ottimo tropismo per le cellule epatiche [i fattori della coagulazione come l’FVIII vengono prodotti nel fegato, N.d.R.]”, puntualizza l’esperta catanzarese. “D’altra parte, però, sono virus ubiquitari. quindi non è infrequente che vi si possa entrare in contatto e, di conseguenza, che il sistema immunitario sviluppi anticorpi contro di essi. Le persone che producono anticorpi contro questo tipo di virus rischiano di sviluppare una reazione immunologica alla terapia genica, e perciò non possono riceverla”.

Come tutti i farmaci, infatti, la terapia genica presenta criteri di inclusione ed esclusione. Secondo le indicazioni dell’AIFA, valoctocogene roxaparvovec è destinato ai pazienti di età superiore a 18 anni affetti da emofilia A grave che non abbiano una storia clinica di inibitori dell’FVIII e non presentino anticorpi rilevabili contro il virus adeno-associato di sierotipo 5 (AAV5), usato per la somministrazione del transgene. Anche i pazienti con emofilia in forma moderata o lieve sono esclusi dalla possibilità di ricevere la terapia genica, come pure coloro che abbiano un’infezione da HIV o HCV, quelli affetti da fibrosi epatica significativa, cirrosi o epatocarcinoma, e gli individui con alterazioni dei principali valori epatici (ALT, AST, GGT e bilirubina) o della coagulazione (INR > 1,4). “Ci atteniamo scrupolosamente alle indicazioni degli studi registrativi”, precisa Santoro, spiegando inoltre che i pazienti, durante e immediatamente dopo l’infusione della terapia genica, saranno monitorati per valutare il manifestarsi di eventuali reazioni avverse: nelle settimane e nei mesi successivi alla somministrazione dovranno sottoporsi a controlli, molto intensi all’inizio ma che si ridurranno nel corso del tempo, al fine di monitorare l’efficacia e la sicurezza del prodotto. Verrà effettuata la misurazione dei livelli di FVIII e particolare attenzione sarà posta agli effetti sulla salute del fegato. “L’eventuale distruzione immunomediata degli epatociti, evidenziata da un incremento delle transaminasi (ALT e AST) potrà rendere necessaria, in alcuni pazienti, la somministrazione di terapie immunosoppressive a base di steroidi, che però, a loro volta, possono comportare una caduta dell’attività dell’FVIII. Quindi, al momento non sono inclusi nel protocollo di trattamento con valoctocogene roxaparvovec i pazienti con compromissione epatica, i quali potrebbero rispondere in maniera sfavorevole alla terapia genica”. Man mano che aumenterà il numero di persone che saranno trattate si otterranno dati sempre più completi sulla sicurezza del farmaco, e magari, nel futuro, i criteri di inclusione potranno essere rivisti.

Ma quali benefici comporta la terapia genica? “Valoctocogene roxaparvovec è un’opportunità preziosa perché permette di raggiungere una solida protezione dai sanguinamenti con un’unica infusione endovenosa, portando i livelli di FVIII, nel primo anno dalla somministrazione, su valori medi vicini alla normalità. Così facendo, rende potenzialmente liberi i pazienti dall’onere delle infusioni di profilassi e riduce le quotidiane preoccupazioni legate a sintomi come i sanguinamenti spontanei o il dolore”, precisa Santoro che, di ritorno dalla 17esima edizione del Congresso Europeo sull’Emofilia e le Malattie Emorragiche, svoltosi nei giorni scorsi a Francoforte, cita i dati di efficacia a lungo termine di valoctocogene roxaparvovec appena presentati. “Nei pazienti che hanno ricevuto la terapia genica da quasi sette anni la media dell’attività dell’FVIII è del 16,2%, un valore che implica di non avere necessità di fare trattamenti per la prevenzione delle emorragie. Un risultato notevole che permette ai pazienti di essere sollevati dal carico terapeutico attuale, con un miglioramento complessivo dello stato di salute e della qualità di vita”.

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