Professoressa Patrizia Malaspina

La prof.ssa Patrizia Malaspina: “La diagnosi è complessa perché i sintomi sono comuni a molte malattie neurologiche”

Roma – Ritardo psicomotorio e del linguaggio, crisi epilettiche, atassia e disturbi psichiatrici: sono le caratteristiche cliniche del deficit di succinico semialdeide deidrogenasi (deficit di SSADH), una malattia genetica estremamente rara (l'incidenza stimata è di un caso su un milione). I sintomi di questo disordine neurometabolico, che si manifestano a vari livelli di gravità, sono comuni ad altre patologie neurologiche, e ciò rende molto complessa la diagnosi. La biologa Patrizia Malaspina, Professore associato di Genetica presso il Dipartimento di Biologia dell'Università Tor Vergata di Roma, è fra i pochissimi esperti italiani di questa patologia, che prende anche il nome di 4-idrossibutirrico aciduria (4-HBA).

“Il deficit di SSADH è determinato dall’alterata degradazione del neurotrasmettitore acido gamma ammino-butirrico (GABA). Questa patologia è trasmessa con modalità autosomica recessiva ed è causata da mutazioni nel gene ALDH5A1, che codifica per l’enzima SSADH. L’assenza di questo enzima determina l’accumulo di GABA e di altri cataboliti estremamente tossici per il cervello, quali l’acido gamma-idrossibutirrico (GHB), i cui livelli elevati possono essere riscontrati in tutti i fluidi biologici, tra cui le urine”, spiega la prof.ssa Malaspina.

Al momento non esiste alcuna cura efficace per il trattamento di questa malattia: sono disponibili solo terapie farmacologiche finalizzate ad alleviarne la sintomatologia, quali la somministrazione di antiepilettici per controllare le crisi e antipsicotici per trattare i disturbi comportamentali. Tuttavia, grazie a studi pilota sul modello murino della malattia, sono in corso di valutazione l’efficacia e la sicurezza di nuovi farmaci.

“Le manifestazioni cliniche della malattia compaiono nei primi due anni di vita, ma la loro non specificità rende difficile la diagnosi, che può avvenire solo attraverso il dosaggio degli acidi organici. L’elevata presenza del GHB nelle urine è infatti la più importante caratteristica biochimica che permette di diagnosticare con certezza questa malattia”, prosegue la biologa. “Poiché la mancanza di tale analisi non permette di distinguerla rispetto ad altre patologie neurologiche, è probabile che la sua incidenza sia sottostimata. Nei pazienti possono inoltre essere frequenti alterazioni di alcune strutture cerebrali (globo pallido, nucleo dentato del cervelletto e nucleo subtalamico) rilevabili attraverso risonanza magnetica”.

La diagnosi della malattia attraverso il dosaggio del GHB nelle urine dev'essere successivamente confermata dall’analisi molecolare del gene ALDH5A1, sia sul DNA dei pazienti che dei loro genitori. La malattia si manifesta infatti solo nei portatori di due alleli mutati (condizione di omozigosi), alleli presenti in singola copia nei genitori che quindi, in condizione di eterozigosi, risultano portatori sani.

A partire dal 1996, quando il gene ALDH5A1 è stato scoperto sul braccio corto del cromosoma 6 e successivamente caratterizzato, il nostro laboratorio ha iniziato a collaborare con il gruppo del prof. K. Michael Gibson che già nel 1983 aveva descritto le caratteristiche cliniche e biochimiche di questa malattia”, sottolinea la prof.ssa Malaspina. “Lo studio di circa 400 famiglie distribuite in diversi Paesi ha permesso di identificare circa 50 diverse mutazioni patologiche che causano la perdita della funzione enzimatica. Il fatto che non siano state riscontrate mutazioni più frequenti di altre, che potrebbero essere ricercate subito nel DNA dei pazienti, costringe il ricercatore ad un'analisi molecolare completa del gene per ciascun paziente. Dopo aver individuato le mutazioni nel paziente è necessario verificarne la presenza nei genitori, sempre attraverso l’analisi molecolare dei loro geni ALDH5A1”.

In questi ultimi vent'anni, il laboratorio dell'Università Tor Vergata ha collaborato con numerosi pediatri specializzati nella diagnosi delle malattie metaboliche. L’accurata analisi delle caratteristiche cliniche effettuata dai medici specialisti e la ricerca a livello molecolare nei pazienti ha permesso di approfondire le conoscenze su questa rara malattia e identificare nuove mutazioni patologiche. L'ultima pubblicazione, sulla rivista Metabolic Brain Disease, descrive l'identificazione di due nuove mutazioni e la caratterizzazione clinica e molecolare di due pazienti italiani non imparentati tra loro: una donna di 34 anni ricoverata all'Ospedale San Paolo di Milano e una bambina di 3 anni in cura presso l'Ospedale Pediatrico Microcitemico “Antonio Cao” di Cagliari. I casi clinici hanno mostrato fenotipi molto diversi, coerenti con la loro età.

Studi di questo tipo contribuiscono a comprendere la progressione del deficit di SSADH nel corso della vita del paziente: è stato infatti riportato da più medici come alcune manifestazioni cliniche tendano a peggiorare con l’aumento dell’età del paziente”, conclude la prof.ssa Malaspina. “È stata quindi di fondamentale importanza l’istituzione di un registro dei pazienti – quello della SSADH Association – che permette il continuo aggiornamento delle informazioni cliniche e dei risultati delle terapie somministrate. Inoltre, l’utilizzo di nuovi farmaci per i quali sono in corso studi preclinici permetterà l’applicazione di strategie terapeutiche innovative, allo scopo di migliorare ulteriormente la qualità di vita dei pazienti”.

Il codice di esenzione del deficit di succinico semialdeide deidrogeneasi è RCG085 (afferisce al gruppo "Difetti congeniti del metabolismo dei neurotrasmettitori e dei piccoli peptidi"). Consulta la Guida di OMaR/Orphanet alle nuove esenzioni per malattie rare.

In Italia, per i pazienti affetti da patologie come il deficit di SSADH è attiva L'Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie (AISMME).

Per informazioni su patologie come il deficit di SSADH visita la sezione “Malattie metaboliche”.

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