L’appello dei pazienti: “Dobbiamo essere seguiti da medici che conoscono bene la malattia, perché da ciò dipende la nostra salvezza”
Roma – “Per me è stata una mazzata. All’inizio mi sono sentito responsabile: ti senti così quando un bambino nasce con una grave patologia”. Sono le parole del noto attore e doppiatore Luca Ward, che recentemente ha voluto raccontare la vicenda della figlia Luna, 11 anni, avuta dalla moglie Giada Desideri. La ragazza – ha rivelato Ward – soffre della sindrome di Marfan, una malattia genetica rara che ha colpito soprattutto il suo apparato scheletrico. “Pensavo fossimo noi i portatori di questa malattia. Però, da tutte le ricerche che abbiamo fatto, non ce n’è traccia: è stata, come ha detto il medico di Luna, 'sfiga', un gene che si modifica al momento del concepimento”.
La sindrome prende il nome dal pediatra francese Antoine Marfan, che per primo la descrisse nel 1896 in una bambina di cinque anni. In Italia, secondo le stime, potrebbero esserci fra le 12.000 e le 20.000 persone affette da questa malattia: per loro è attiva l'Associazione Sindrome di Marfan. A raccontarci quali sono le sue attività e i suoi obiettivi sono le quattro fondatrici: Franca Gionne (presidente) Anna Cantale (vice presidente), Clotilde Recchia e Valentina Ricci.
Come è nata l'Associazione Sindrome di Marfan?
“L’associazione nasce da una precedente esperienza pluriennale di collaborazione dei soci fondatori con l’Associazione Vittorio per la Sindrome di Marfan e malattie correlate, con sede a Torino. Le nostre socie volontarie sono impegnate da molti anni (alcune dal 1995) nel sostegno alle persone affette dalla patologia e ai loro familiari. La caratteristica dell’Organizzazione di Volontariato consiste nel fatto che più della metà degli associati deve svolgere attività concreta di volontariato, appunto, e per questo devono essere assicurati e sottostare ad alcune regole. Ci sono poi tantissime altre persone (iscritte ad una mailing list che si fa sempre più lunga) sempre pronte a partecipare alle nostre iniziative e ad unirsi ai soci volontari quando ce n'è bisogno”.
Quali sono le vostre attività principali?
“Innanzitutto condividiamo le nostre esperienze con i pazienti e i familiari attraverso vari canali (telefono, e-mail, sito web, social, incontri diretti), fornendo loro informazioni utili su come accedere alle cure nei vari Centri specializzati per la diagnosi e cura della malattia. I soci dell’associazione, infatti, sono stati tra i promotori dei vari Centri, che attualmente sono solo sei, sparsi nell’Italia centro-settentrionale, e seguono in modo particolare quelli istituiti presso il Policlinico Tor Vergata di Roma e presso gli Ospedali Riuniti di Ancona. Finanziamo gli spostamenti verso i Centri Marfan per le persone con difficoltà economiche che abitano fuori provincia o regione, e accompagniamo quelli che ne hanno bisogno. Inoltre, stimoliamo la creazione di nuovi centri di cura, cercando di instaurare un proficuo dialogo con i medici e gli amministratori ospedalieri, vigiliamo che i pazienti siano sempre accolti con le dovute attenzioni e segnaliamo subito eventuali problematiche ai sanitari. Non solo: indirizziamo i pazienti nell’iter di riconoscimento di eventuali invalidità ed esenzioni, organizziamo iniziative per la raccolta di fondi e diffondiamo la conoscenza della patologia e delle sue caratteristiche, poiché soltanto così si possono affrontare delle situazioni di urgenza grave che potrebbero portare anche alla morte del paziente. Per questo motivo l’associazione si propone di fare delle campagne di divulgazione tra i medici di base, i medici dello sport, i medici di Pronto Soccorso e ovunque vi sia la possibilità che la patologia possa essere diagnosticata in tempo, perché proprio la diagnosi precoce può evitare l’insorgere di gravi problemi cardiovascolari, ortopedici e oculistici. Il 28 febbraio, Giornata Mondiale delle Malattie Rare, abbiamo partecipato all’iniziativa “Accendiamo le luci sulle malattie rare”, ottenendo l’illuminazione dei monumenti più identificativi nei Comuni di Castelfidardo, Cerveteri e Osimo. Attualmente, stiamo portando avanti una bellissima iniziativa, di cui siamo particolarmente orgogliosi, e cioè il progetto “marFA(n)VOLANDO”, nato da un’idea della dr.ssa Angela Infante, counselor del Policlinico Tor Vergata, con la quale un gruppo di pazienti sta realizzando una narrazione di favole che ci auguriamo diventi un libro corale. Dall’anno scorso, a causa della pandemia, c’è stato un arresto degli eventi con partecipazione del pubblico, ma le nostre attività continuano in tutte le altre forme possibili”.
Quali sono gli obiettivi dell'associazione per il futuro?
“Gli obiettivi dell’associazione sono sempre ispirati dalle esigenze dei pazienti e loro caregiver. Riteniamo che la cosa più importante per loro sia avere dei centri di riferimento per la diagnosi e la cura della patologia. Partendo dal presupposto che non esistono, per ora, farmaci che agiscano in maniera risolutiva, un paziente affetto da sindrome di Marfan si può curare soltanto sottoponendosi a frequenti controlli, ed essendo una patologia che colpisce il tessuto connettivo, tali controlli riguardano praticamente tutti gli organi, in particolare il sistema cardiovascolare, lo scheletro e gli occhi. Nei centri di riferimento, i pazienti hanno la possibilità di effettuare tutte le visite specialistiche necessarie nella stessa giornata, di essere sottoposti ad interventi chirurgici ove ce ne sia bisogno, di avere i controlli calendarizzati e, soprattutto, di essere seguiti da medici che conoscono bene la malattia, perché da ciò, spesso, dipende la salvezza della loro vita. Nostro fondamentale obiettivo, quindi, è riuscire ad ottenere sempre più centri dedicati alla sindrome di Marfan e, soprattutto, ottenere che funzionino bene. Se pensiamo che i centri di riferimento in Italia sono soltanto sei, e che a sud di Roma non ve ne sono affatto, capiamo bene che il nostro cammino è ancora lungo”.
Avete qualche richiesta da fare alle istituzioni?
“Un obiettivo che ci siamo prefissati, attualmente, è di riuscire ad ottenere la vaccinazione anti-COVID-19 per tutti i pazienti Marfan, da somministrare direttamente nei centri di riferimento, perché è assurdo che il piano vaccinale non prenda in dovuta considerazione i malati rari, che sono tutte persone con fragilità. Le nostre richieste alle istituzioni sanitarie e amministrative, a livello locale e nazionale, sono quindi inerenti a queste problematiche, e cioè la facilitazione dell’accesso alle cure per i pazienti e il riconoscimento del loro diritto alla salute e ad una vita il più possibile serena e lunga”.
Quali sono le principali difficoltà che devono affrontare le persone con sindrome di Marfan?
“Come abbiamo detto, la sindrome di Marfan è una malattia genetica rara molto complessa: i principali disturbi sono a carico dell'apparato cardiovascolare e scheletrico, oltre a problemi neurologici e della vista. In genere è ereditaria, ma esiste anche un 25% di casi sporadici e la condizione, quindi, può presentarsi anche in una famiglia in cui non vi sono precedenti. La patologia non è legata al sesso e non esiste lo stato di portatore sano; inoltre, quando è ereditaria, non può saltare una generazione, ma si trasmette dal genitore affetto ai figli con una probabilità del 50%. Perciò, le difficoltà che incontrano le persone affette dalla sindrome di Marfan dipendono dall’entità delle manifestazioni degenerative della malattia, che sono molto variabili da una persona all’altra, anche all’interno della stessa famiglia. Tuttavia, anche nel migliore dei casi, prima o poi, tutti i pazienti devono essere sottoposti a interventi chirurgici. I problemi più gravi, che mettono il paziente in serio pericolo di vita, sono quelli a carico dell’apparato cardiocircolatorio: per questo motivo, i pazienti Marfan devono adeguare il loro stile di vita alle limitazioni imposte dalla malattia, evitando di praticare esercizi fisici intensi che possono provocare, o accelerare, danni cardiovascolari, scheletrici e oculari, oppure rinunciando, nel caso delle donne, a gravidanze che possano mettere a rischio la loro vita”.
In che modo la malattia influenza la vita quotidiana dei pazienti, sia dal punto di vista fisico che da quello psicologico?
“Convivere con una malattia rara cambia tutta la tua vita. Quello che cerchiamo di ripeterci sempre, fra noi pazienti, è che non possiamo scegliere di non avere la nostra patologia, ma possiamo scegliere come affrontarla. Nel caso specifico, della sindrome di Marfan ci sono diverse sfumature di gravità: alcuni pazienti hanno problemi molto seri sin dall’infanzia, altri riescono a vivere discretamente bene per lunghi anni, ma tutti conviviamo con la consapevolezza di avere ‘qualcosa di diverso’. La malattia diventa inevitabilmente il fulcro attorno al quale costruire le nostre vite. Le visite programmate per i controlli, le medicine da non dimenticare, il dolore da dover nascondere e le giornate perse perché il dolore è troppo forte e devi nasconderti tu, la ricerca per la terapia più adatta, le decisioni grandi e importanti da dover prendere, le ore infinite nelle sale d’attesa, nei letti degli ospedali, nelle terapie intensive... ma la nostra vita non è solo sofferenza: spesso è proprio nelle pieghe di queste giornate, di queste vite, che si trova la forza, che si incontrano sorrisi e alleati preziosi; è durante le nostre lotte che scopriamo le risorse per non indietreggiare di fronte alla malattia né di fronte alla vita stessa. Siamo persone più fragili, fisicamente, ma costrette a diventare più forti, psicologicamente, per affrontare al meglio le nostre battaglie quotidiane. I pazienti con sindrome di Marfan, principalmente, non devono fare grandi sforzi; devono anche stare attenti a non avere la pressione troppo alta (sia per tutelare l’aorta che la salute degli occhi) e ad evitare urti o contusioni, perché i legamenti sono molto fragili e ‘ci si spezza’ facilmente. Bisogna essere molto cauti e la vittoria più grande sta proprio nel riuscire a far convivere i limiti imposti dalla malattia con le nostre necessità e la nostra voglia di ‘normalità’. Inoltre, questa patologia ci rende anche fisicamente molto diversi, in quanto le persone affette sono spesso molto alte e molto magre. Sin dall’infanzia, sei sempre il bambino più alto di tutti, e spesso hai gli occhiali. Crescendo, soprattutto per le ragazze, è terribile vedere che sei sempre troppo alta per chiunque. Non solo: ci sono problemi anche per trovare i vestiti, che sono sempre troppo corti, per non parlare delle scarpe!”
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