Neuromielite ottica: marzo è il mese dedicato

L’approvazione da parte di AIFA di un anticorpo monoclonale per il trattamento di seconda linea della malattia costituisce un bel passo avanti per i pazienti

La retina è la parte dell’occhio che contiene coni e bastoncelli, i recettori visivi da cui partono le sinapsi con le cellule bipolari e gangliari i cui assoni finiscono per convergere nel nervo ottico. È ovvio, dunque, che le patologie della retina siano tra le più studiate ma i problemi alla vista possono avere altre origini, alcune legate a problemi del nervo ottico. Infatti, dolore agli occhi, riduzione della vista e, nei casi più gravi, cecità sono tra i sintomi della neuromielite ottica (o malattia di Devic), una condizione autoimmune del sistema nervoso centrale che, per certi versi, può essere confusa con la sclerosi multipla e che oggi rientra nella categoria dei disturbi dello spettro della neuromielite ottica (NMOSD), una denominazione più ampia all’interno della quale sono comprese svariate manifestazioni cliniche.

Da trent’anni anni la Siegel Rare Neuroimmune Association (SRNA) opera al fianco delle persone affette da rare malattie neurologiche e neuroimmuni tra cui l’encefalomielite acuta disseminata, la malattia associata ad anticorpi anti-MOG, la mielite flaccida acuta, la mielite traversa, la neurite ottica e, appunto, la NMOSD. Per sensibilizzare la popolazione generale su questa condizione è stato istituito un mese - marzo - dedicato alla realizzazione di eventi e iniziative inerenti ai disturbi dello spettro della neuromielite ottica che, in accordo con gli ultimi dati, colpisce tra 0,5 e 4 persone ogni 100mila nati nel mondo: solo in Europa sono oltre 10 mila le persone che convivono con questa malattia, la cui età media di insorgenza si colloca intorno ai 40 anni.

L’infiammazione e il processo di demielinizzazione del nervo ottico possono causare dolore oculare, edema delle papille e alla fine perdita della visione: nella stragrande maggioranza dei casi i pazienti presentano un calo visivo rapido e progressivo in un occhio che, successivamente, si estende anche all’altro con il rischio di arrivare, entro cinque anni, alla cecità. Purtroppo, la visita dall’oculista non mette in rilievo problematiche immediate tali da spiegare il calo visivo e ciò può ritardare la diagnosi. Inoltre, con il progredire della malattia verso il midollo spinale (mielite trasversa), i pazienti possono manifestare sintomi tardivi e di altro genere, tra cui debolezza e insensibilità, una lieve paraparesi degli arti inferiori e la perdita del controllo delle funzioni vescicali e intestinali.

Riconoscere la malattia per tempo - distinguendola dalla sclerosi multipla, con cui condivide alcuni aspetti ma dalla quale si differenzia per altri, uno su tutti è la sieropositività agli anticorpi anti-aquaporina 4 (AQP4) - è fondamentale per prendere in carico in maniera idonea il paziente, evitando il ricorso a trattamenti del tutto inefficaci o che potrebbero addirittura accentuare i sintomi.

In Italia, nel 2023 è nata l’Associazione Italiana Neuromielite Ottica (AINMO), la prima esplicitamente dedicata alle malattie dello spettro della neuromielite ottica e a quelle associate agli anticorpi anti-MOG. Proprio in occasione del mese di marzo, AINMO, insieme ad AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), ha lanciato una potente campagna di sensibilizzazione sulla neuromielita ottica. L’iniziativa gode del patrocinio di SIN (Società Italiana di Neurologia) e SNO (Società dei Neurologi, Neurochirurghi, Neuroradiologi Ospedalieri), nonché dell’Alto Patronato del Presidente della Repubblica (per conoscere i dettagli della campagna è possibile visitare il sito di AINMO).

Le cause esatte della neuromielite ottica sono ancora sconosciute ma l’origine della condizione appare legata alla produzione di anticorpi anti-AQP4, riscontrati in quasi l’80% dei casi di malattia. Nonostante una frazione dei pazienti sia negativa al dosaggio di tali anticorpi questo test rimane fondamentale per la diagnosi di neuromielite ottica. Più recentemente è stato osservato che molti pazienti nei quali la ricerca di anticorpi anti AQP-4 era risultata negativa mostravano una positività ad un’altra classe anticorpale, quella degli anti-glicoproteina oligodendrocitica mielinica (anti-MOG) che, pertanto, possono essere dosati negli individui con sospetto di malattia. Infine, l’esame del liquor, la risonanza magnetica nucleare del cervello e del midollo spinale e il test dei potenziali evocati visivi sono di aiuto per porre una diagnosi di malattia differenziale rispetto ad altre possibili cause.

Il trattamento delle fasi acute della NMOSD si basa sull’utilizzo di corticosteroidi, con cui controllare l’infiammazione a livello del nervo ottico e del midollo spinale. Nel caso di persone che non rispondano ai farmaci può essere indicata la plasmaferesi che ha mostrato particolare beneficio nelle fasi acute della mielite. Una volta che la tempesta autoimmunitaria è stata placata occorre iniziare una terapia di mantenimento, il più delle volte basata su farmaci immunosoppressori, tra cui l’azatioprina, il micofenolato mofetile e il metotrexato, e su agenti biologici come il rituximab.

Gli anticorpi monoclonali hanno mostrato grande utilità nella gestione della malattia: eculizumab e satralizumab sono disponibili per il trattamento della NMOSD positiva ad anticorpi anti-AQP4 e, lo scorso anno, AIFA ha reso disponibile inebilizumab per il trattamento di seconda linea dei pazienti adulti affetti dal disturbo dello spettro della neuromielite ottica sieropositivi agli anticorpi anti-AQP4. Questo farmaco è in grado di colpire direttamente le cellule B che esprimono l’antigene CD19, producendo gli anticorpi patogenetici associati ai sintomi della malattia. Si tratta di una significativa aggiunta a un protocollo terapeutico, profondamente differente da quello in uso per la sclerosi multipla rispetto a cui, come si è visto, la NMOSD va distinta.

Tale differenza costituisce un elemento importante, soprattutto per patologie come questa che richiedono trattamenti ripetuti nel tempo, con notevole impatto sulla qualità di vita dei malati e sulle casse del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). L’introduzione di farmaci come inebilizumab non solo migliorerà le condizioni di vita dei malati, ma potrebbe tradursi in un concreto risparmio per il sistema sanitario italiano. Ora l’auspicio più grande della comunità dei pazienti è che farmaci di questo genere raggiungano la prima linea di trattamento, anticipandone così l’utilizzo per migliorare ulteriormente il percorso terapeutico ed evitare che i danni della malattia diventino permanenti.

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