Clima e salute cerebrale

Intervista al Prof. David Henshall, Direttore del FutureNeuro Research Ireland Centre for Translational Brain Science

Che cosa accade al cervello quando la colonnina di mercurio sale? Se ne parla ancora troppo poco, ma il cambiamento climatico sta avendo effetti sempre più evidenti anche sulla salute neurologica. A lanciare l’allarme è un nuovo cortometraggio realizzato dal FutureNeuro Research Centre e dalla RCSI University of Medicine and Health Sciences, in collaborazione con la Commissione per i Cambiamenti Climatici della Lega Internazionale contro l’Epilessia (ILAE). L’obiettivo: sensibilizzare istituzioni, comunità scientifica e opinione pubblica sull’urgenza di agire. Il film (che dà voce a esperti di fama internazionale e a persone con patologie neurologiche) mette in luce i rischi che le temperature elevate comportano per chi convive con condizioni come epilessia, sclerosi multipla e demenza. Ne abbiamo parlato con il Prof. David Henshall, Direttore di FutureNeuro Research Ireland Centre for Translational Brain Science e Professore di Fisiologia Molecolare e Neuroscienze presso RCSI University of Medicine and Health Sciences.

VIVERE CON UNA MALATTIA NEUROLOGICA IN UN MONDO CHE SI RISCALDA

Oltre tre miliardi di persone nel mondo convivono con disturbi neurologici. Secondo le ricerche più recenti, l’aumento delle temperature può intensificare la frequenza delle crisi epilettiche, peggiorare i sintomi neurologici e compromettere le funzioni cognitive, in particolare nelle patologie termicamente sensibili come la sindrome di Dravet.

Ma il film non si limita ai dati scientifici, porta sullo schermo anche le storie. Come quella di Emma Campbell, madre di un’adolescente con epilessia. “Appena fa caldo, diventiamo reclusi. Chiudiamo tutto, dormiamo al piano di sotto per il fresco. Mia figlia ha rinunciato alle gite scolastiche e ci preoccupiamo persino della temperatura in classe. Vorremmo solo che potesse vivere una vita normale”.

Per molte famiglie, il cambiamento climatico si traduce in isolamento, preoccupazioni quotidiane e difficoltà crescenti. I picchi di calore possono compromettere i farmaci, interrompere le forniture, ostacolare l’accesso alle cure. E le malattie infettive legate al clima, come quelle trasmesse da zanzare, si stanno estendendo a nuove aree, con possibili ricadute anche sul sistema nervoso.

Prof. Henshall, qual è l’obiettivo principale del film e com’è nata l’idea?

“Sensibilizzare sulle connessioni emergenti tra cambiamento climatico e salute del cervello, in particolare su come i fattori di stress ambientale possano aggravare le difficoltà per le persone che vivono con patologie neurologiche come l’epilessia. Il film mira anche a stimolare un dialogo trasversale tra settori sull’importanza di politiche climatiche e sanitarie più inclusive. L’idea è stata promossa dal professor Sanjay Sisodiya, neurologo presso UCL Queen Square Institute of Neurology, e da me. Come presidente della Commissione per il Cambiamento Climatico della Lega Internazionale contro l’Epilessia (ILAE), il professor Sisodiya è in prima linea nell’esplorare gli effetti di un ambiente in trasformazione sulle persone con epilessia e altre condizioni neurologiche. Il concept del film è stato sviluppato in collaborazione con i membri della Commissione ILAE sul Cambiamento Climatico, che hanno contribuito alla scrittura del copione e alla definizione complessiva. Diversi di loro appaiono anche nel film, arricchendo la narrazione con la loro competenza e la loro esperienza diretta, in un racconto che unisce il rigore scientifico alla pressante attualità del mondo reale”.

Quali sono le principali evidenze scientifiche che collegano il cambiamento climatico a patologie neurologiche come l’epilessia?

“Sebbene la ricerca in quest’ambito sia ancora in fase emergente, un numero crescente di evidenze suggerisce che i fattori di stress legati al clima possano influire negativamente sulla salute del cervello attraverso molteplici vie biologiche e sociali. Nel caso dell’epilessia, fattori ambientali come il caldo estremo, la scarsa qualità dell’aria, il sonno disturbato e l’aumento dei livelli di stress, condizioni comuni durante ondate di calore, incendi o eventi di sfollamento, possono abbassare la soglia delle crisi e aumentarne la frequenza. Ad esempio, temperature ambientali elevate possono causare disidratazione, squilibri elettrolitici e alterazioni nel metabolismo dei farmaci, tutti fattori che possono compromettere il controllo delle crisi. In situazioni di emergenza, l’interruzione nell’accesso ai farmaci antiepilettici o all’assistenza specialistica può aggravare ulteriormente la situazione. Oltre all’epilessia, numerosi studi epidemiologici hanno evidenziato un’associazione tra l’esposizione prolungata agli inquinanti atmosferici (in particolare al particolato fine PM2.5) e un aumento dell’incidenza di ictus, demenza, malattia di Parkinson e disturbi dello sviluppo come l’autismo. Si ritiene che questi legami siano mediati da meccanismi quali neuroinfiammazione, stress ossidativo e danni cerebrovascolari. Le ondate di calore, sempre più frequenti e intense, sono state associate a un aumento dei ricoveri ospedalieri per patologie neurologiche, soprattutto tra le persone anziane e chi ha già disturbi cerebrali preesistenti. Anche il fumo degli incendi boschivi, che contiene un mix complesso di particelle e gas neurotossici, è stato collegato a effetti acuti e cronici sulla salute cerebrale. Pur essendo necessarie altre ricerche per comprendere appieno i meccanismi coinvolti e gli impatti specifici sulle diverse popolazioni, le evidenze attuali sottolineano che il cervello è vulnerabile agli stessi stress ambientali che minacciano altri organi. Per questo motivo, la resilienza climatica deve necessariamente includere anche la salute neurologica”.

Il film evidenzia come il cambiamento climatico possa amplificare le disuguaglianze esistenti. Quali gruppi di popolazione sono più vulnerabili?

“Gli effetti combinati del cambiamento climatico e delle patologie neurologiche colpiscono in modo sproporzionato le persone che convivono con malattie neurologiche croniche, in particolare coloro che hanno un accesso limitato all’assistenza sanitaria, al supporto socioeconomico o a infrastrutture adeguate. Sono persone più vulnerabili, che spesso dipendono da farmaci sensibili alla temperatura (ad esempio, alcuni antiepilettici e terapie modificanti la malattia per la sclerosi multipla), da un’alimentazione elettrica stabile per i dispositivi di assistenza e da un accesso costante alle cure mediche. Durante emergenze legate al clima (ondate di calore, alluvioni o incendi), le interruzioni delle infrastrutture o delle catene di approvvigionamento dei farmaci possono portare a un peggioramento della malattia o a crisi acute. Le persone con un basso reddito, le minoranze razziali ed etniche e chi vive in abitazioni mal isolate o in aree rurali poco servite sono maggiormente esposte in modo cumulativo ai fattori ambientali, avendo al contempo meno risorse per adattarsi. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e studi come quelli del Lancet Countdown on Health and Climate Change, questi gruppi registrano costantemente tassi più elevati di morbilità e mortalità durante le ondate di calore e altri eventi climatici. Anche gli anziani sono esposti a un rischio maggiore. Le patologie neurologiche, infatti, sono più diffuse con l’avanzare dell’età e i cambiamenti fisiologici nella termoregolazione, nella mobilità e nelle capacità cognitive, rendono più difficile per gli anziani reagire allo stress termico o a situazioni di emergenza”.

Ci sono iniziative o progetti attualmente in corso per mitigare gli effetti del cambiamento climatico sulla salute del cervello?

“Sì, anche se si tratta ancora di un ambito in via di sviluppo, l’interesse verso un’assistenza neurologica più resiliente al clima è in crescita. Alcuni gruppi di ricerca, ad esempio, stanno lavorando a formulazioni termostabili di farmaci antiepilettici, fondamentali nelle regioni in cui la catena del freddo o le forniture mediche possono essere compromesse durante ondate di calore o disastri naturali. Un esempio è lo sviluppo di pynegabine (HN37), un analogo strutturale della retigabina. I ricercatori ne hanno modificato la struttura chimica per migliorarne la stabilità rispetto a temperatura, umidità ed esposizione alla luce, fattori sempre più rilevanti in un clima che si riscalda. Altri gruppi stanno sperimentando strumenti di telemedicina e monitoraggio da remoto per garantire la continuità dell’assistenza neurologica anche quando le visite in presenza non sono possibili. L’importanza di queste tecnologie è emersa chiaramente durante la pandemia di COVID-19 e potrebbero rivelarsi utili per offrire cure più resilienti e a basse emissioni di carbonio in caso di future interruzioni legate al clima. A livello globale, la Lega Internazionale contro l’Epilessia (ILAE) ha istituito una Commissione per il Cambiamento Climatico, che promuove attivamente una ricerca più coordinata e azioni politiche mirate in questo campo. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sta compiendo passi in questa direzione, in particolare sulla salute mentale e il benessere neurologico. Nel giugno 2022, ha pubblicato un documento di indirizzo politico che sottolinea i gravi rischi che il cambiamento climatico comporta per la salute mentale. Il testo evidenzia come fattori di stress legati al clima, come eventi meteorologici estremi, sfollamento e insicurezza alimentare, possano causare disturbi come ansia, da stress post-traumatico e depressione. Invita quindi i Paesi a integrare il supporto alla salute mentale nei propri piani d’azione per il clima. L’OMS è anche alla guida dell’iniziativa Research Agenda for Action on Climate and Health (REACH), volta a identificare le lacune nella ricerca e a orientare le politiche future, comprese quelle relative alle conseguenze neurologiche del cambiamento climatico. In parallelo, il Wellcome Trust ha lanciato importanti iniziative di finanziamento per esplorare i legami tra cambiamento climatico e salute mentale, destinando destinato 22,7 milioni di sterline a progetti di ricerca in 17 Paesi, con l’obiettivo di proteggere le persone dai rischi sanitari legati al clima. Tra le iniziative, il Climate and Mental Health Award cerca di comprendere i meccanismi che collegano il caldo alla salute mentale, finanziando progetti per creare soluzioni concrete e strategie di intervento resilienti al clima. All’interno del settore della ricerca, iniziative come i Green Labs incoraggiano la comunità scientifica a riconoscere e ridurre l’impatto ambientale della ricerca biomedica. I laboratori, infatti, sono tra i maggiori consumatori di energia e materiali. Ridurre l’uso di plastica monouso o migliorare l’efficienza dei congelatori sono piccoli cambiamenti operativi che, nel complesso, possono fare una grande differenza”.

Qual è il messaggio che il film vuole trasmettere al pubblico e alle istituzioni?

“Che la salute del cervello deve essere parte integrante del dibattito sul clima. Ignorare questo legame rischia di aggravare le disuguaglianze sanitarie per chi convive con patologie neurologiche. Si vuole stimolare un pensiero più inclusivo sia nelle politiche ambientali sia in quelle sanitarie, con particolare attenzione all’accesso alle cure, alla pianificazione delle emergenze e alla progettazione di sistemi sanitari resilienti al cambiamento climatico. Il film invita anche a riflettere su come le comunità locali possano diventare più accoglienti e di supporto per chi affronta sfide neurologiche, soprattutto in un contesto di crescenti pressioni climatiche. Soprattutto, si propone di incoraggiare il dialogo, tra pazienti, scienziati, decisori politici e cittadinanza, su come proteggere la salute del cervello in un mondo che cambia”.

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