Marco Castori

Il dottor Marco Castori (San Giovanni Rotondo): “Il ritardo diagnostico e lo scetticismo ingiustificato con cui i pazienti si scontrano compromettono notevolmente la loro qualità di vita”

“La mia vita con questa malattia è stata una lotta senza sosta”. Inizia così la testimonianza di Laura, trentaquattrenne spagnola affetta dalla sindrome di Ehlers-Danlos (EDS) di tipo ipermobile. “Ho iniziato con la prima sublussazione quando avevo due anni, ma ho ricevuto la diagnosi solo 25 anni dopo”. Un ritardo diagnostico abissale, giustificabile solo in parte alla luce delle caratteristiche della patologia, che si presenta spesso con sintomi aspecifici che sono attribuibili ad altre malattie molto più comuni. “Purtroppo, questa sindrome è un argomento medico ancora poco diffuso”, spiega il dottor Marco Castori, dirigente medico direttore dell’Unità Operativa Complessa di Genetica Medica presso la Fondazione IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo (Foggia).

“La maggior parte delle caratteristiche cliniche che determinano la diagnosi di questa patologia non vengono apprezzate alla visita medica standard. È necessario che il professionista abbia almeno un sentore che si possa trattare di sindrome di Ehlers-Danlos perché decida di valutare particolari come l’ipermobilità articolare o la consistenza della cute”, continua il dottor Castori. “Molti dei sintomi riferiti dai pazienti possono essere attribuiti a condizioni ben più note, come la sindrome del colon irritabile o la fibromialgia, e questa sovrapposizione porta spesso a gravi ritardi diagnostici”.

Il termine “sindrome di Ehlers-Danlos”, infatti, si riferisce ad un gruppo molto eterogeneo di patologie ereditarie del tessuto connettivo, la cui sintomatologia è molto variabile. “Per questa ragione - sottolinea Castori - da qualche anno a questa parte si preferisce l’uso del termine al plurale, ossia sindromi di Ehlers-Danlos”. Le EDS sono comunemente considerate come alterazioni della sintesi, maturazione e organizzazione del collagene, una proteina strutturale che forma una vera e propria impalcatura di sostegno per numerosi organi e tessuti. 

Nel 2017, la comunità scientifica internazionale ha rivalutato la classificazione delle EDS ridefinendone i criteri diagnostici maggiori e minori e cambiando alcune delle terminologie che sono state utilizzate negli ultimi vent’anni. La recente nosologia è stata pubblicata sull’American Journal of Medical Genetics e ha fornito anche nuove raccomandazioni per la gestione delle varie manifestazioni che possono presentarsi all’interno di questo ampio gruppo di patologie.

Nelle sindromi di Ehlers-Danlos, infatti, ad alcune caratteristiche strettamente tipiche, come la lassità delle articolazioni, la fragilità capillare e dei tessuti e l’iperestensione della pelle, spesso si aggiungono altri sintomi legati a comorbilità e complicanze muscoloscheletriche e dei tessuti molli. “Da sempre soffro di gravi problemi gastrointestinali come disfagia, difficoltà di digestione e allergie alimentari multiple che mi costringono a mangiare solo pesce, carne bianca, riso e patate”, conferma Laura. “Soffro di sovrappopolazione batterica del piccolo intestino (small intestinal bacterial overgrowth, SIBO) che mi causa diarrea cronica e che, alla lunga, mi ha portato a un prolasso rettale”. 

Le comorbilità sono abbastanza frequenti nelle EDS”, conferma Marco Castori. “Spesso coinvolgono l’apparato gastrointestinale, le vie urinarie e il piano pelvico. Altre manifestazioni comuni sono l’astenia, le tachicardie (spesso sotto forma di tachicardia posturale ortostatica) e l’intolleranza ortostatica, che provoca giramenti di testa e un aumento della frequenza cardiaca nel passaggio da una posizione seduta o sdraiata a una postura eretta. Parliamo di una sintomatologia comune, che può capitare a chiunque, ma i pazienti con EDS presentano una disfunzione parafisiologica del sistema neurovegetativo e, quindi, tendono a sperimentare questi sintomi con maggiore frequenza”. 

“Simili comorbilità possono riscontrarsi in molte persone affette da EDS, ma certamente colpiscono di più i pazienti che presentano la variante ipermobile”, prosegue l’esperto. La classificazione del 2017 identifica 13 diverse forme di EDS, tra cui quella di tipo ipermobile (hEDS), che risulta essere tra le varianti più diffuse. “Per questa specifica patologia, si ritiene che l’incidenza sia di un caso ogni 2.000-3.000 nuovi nati; per la variante classica, invece, siamo presumibilmente intorno a un caso ogni 10.000-20.000 nuovi nati; per la forma vascolare, infine, che è la terza più diffusa, siamo intorno a un caso ogni 50.000-150.000 nuovi nati” precisa il dottor Castori.

Ogni tipologia di EDS ha caratteristiche fisiche specifiche e geni correlati noti, fatta eccezione proprio per la hEDS. “Dodici forme di sindrome di Ehlers-Danlos, infatti, hanno basi biologiche conosciute e, con un’analisi genetica da eseguirsi sempre presso centro specializzato, è possibile verificare l’alterazione nel gene, o nei geni, che è alla base di ciascuna patologia”, spiega Marco Castori. “Si passa da varianti con un solo gene causativo, come la forma vascolare che, associata a mutazioni in COL3A1, a varianti geneticamente più eterogenee, come la forma spondilodisplastica, che è dovuta a mutazioni in tre geni diversi (SLC39A13, B4GALT6 e B4GALT7). Quella ipermobile è la tredicesima forma di EDS ed è una variante i cui geni sono ancora ignoti. Per questa ragione, la diagnosi di hEDS può essere posta solo valutando il quadro clinico e formalizzando la presenza di alcuni criteri diagnostici, riportati nella pubblicazione del 2017. Tra questi, principalmente, si ricordano: l’ipermobilità articolare generalizzata, il coinvolgimento muscoloscheletrico con dolori o dislocazioni articolari, la familiarità e la presenza di una serie di segni clinici minori indicativi di un coinvolgimento sistemico (pelle moderatamente iperestensibile, strie cutanee, ernie addominali, affollamento dentale e palato alto e stretto, cicatrici atrofiche, ecc. Per una diagnosi di hEDS è necessario riscontrare il primo criterio e almeno due degli altri”.

Esiste poi una fetta ben più numerosa di persone (presumibilmente lo 0,75-2% della popolazione totale) che presentano varie forme di ipermobilità articolare, con coinvolgimento muscoloscheletrico ed eventuali altri sintomi, e che, pur non rispettando i criteri per una diagnosi di hEDS, presentano comunque un disagio cronico, se non una vera e propria disabilità. Per rispondere alle esigenze diagnostiche di questi pazienti, nella classificazione del 2017 è stata inserita una nuova categoria: il disturbo dello spettro ipermobile (hypermobility spectrum disorder, HSD). 

Per il momento, per tutte le varianti di EDS non esiste una cura farmacologica in grado di eliminare il rischio di complicanze e restituire ai tessuti coinvolti la loro ‘consistenza normale’. Tuttavia, una diagnosi precoce permette di inserire il paziente in un programma di monitoraggio specifico ed evita il ricorso a trattamenti medici inutili. “Durante tutta la mia vita – racconta infatti Laura – mi sono sottoposta a interventi che avrei rifiutato se solo avessi saputo prima che ero affetta dalla sindrome di Ehlers-Danlos di tipo ipermobile. Quando avevo 14 anni sono stata sottoposta al primo intervento per la cifoscoliosi: mi hanno fissato le vertebre dalla T2 alla L1. A 19 anni, il sistema di stabilizzazione ha iniziato a mostrare i primi problemi e mi hanno nuovamente operata, fissando le vertebre fino alla T1. Infine, due anni dopo, mi hanno fatto un innesto osseo che, vista la scarsa qualità del mio collagene, non è servito a nulla”. 

Il dolore cronico - continua Laura - ha ridotto significativamente la mia qualità della vita. Inoltre, alcuni dei medici che ho incontrato nel mio percorso non hanno creduto alle mie parole, pensando che il problema fosse solo nella mia testa. Questo mi ha fatto sprofondare in un’immensa angoscia e, fino alla diagnosi di hEDS, mi è sembrato di vivere in un labirinto senza uscita”. “Anche le problematiche di natura psichiatrica, principalmente ansia e depressione, vengono attualmente annoverate come comorbilità associate alle sindromi di Ehlers-Danlos”, precisa il dottor Castori. Non sembra esserci una causalità diretta tra EDS e disturbi psichiatrici, ma questi compaiono con maggior frequenza nei pazienti con EDS e HSD rispetto alla popolazione generale. “Il dolore cronico, il ritardo diagnostico e lo scetticismo ingiustificato con cui i pazienti si scontrano contribuiscono notevolmente al peggioramento della loro qualità di vita. Questo scenario – sottolinea Castori – rappresenta sicuramente un terreno fertile per l’insorgenza di disturbi depressivi o d’ansia”. Una diagnosi precoce, quindi, potrebbe contribuire ad evitare tutto questo.

Chiedo aiuto alla comunità medica”, conclude Laura speranzosa. “So che a me non arriverà nessuna cura miracolosa, ma vorrei che le generazioni future avessero la possibilità di ricevere una diagnosi tempestiva e certa, che permetta loro di avere un ‘filo di Arianna’ che le guidi nel labirinto della sindrome di Ehlers-Danlos”.

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