Nadia Pivato (Acondroplasia Insieme per Crescere ETS): “La conoscenza aiuta ad abbattere lo stigma e a creare una società più inclusiva”
Ricorre oggi, 25 ottobre, la Giornata Mondiale dedicata alle persone di bassa statura. Promossa da una serie di associazioni internazionali, in prima linea “Little People of America”, che da una decina d’anni hanno proclamato ottobre come il mese della consapevolezza. Con “persone piccole” spesso si indicano le persone che comunemente definiamo “nani”, ma che nella maggior parte dei casi sono in realtà persone affette da acondroplasia.
L’acondroplasia è una delle più comuni patologie genetiche dello sviluppo scheletrico, pur essendo una malattia rara: interessa infatti una persona ogni 25mila, senza distinzione di sesso, razza, ceto e nazionalità. In Italia le persone acondroplasiche sono circa 4mila, e tra le principali organizzazioni nazionali di pazienti c’è Acondroplasia Insieme per Crescere ETS, associazione che fa parte dell’Alleanza Malattie Rare.
“Come mese della consapevolezza ottobre rappresenta un’ottima occasione per parlare, spiegare fare conoscere chi sono, come vivono e cosa sentono le persone con acondroplasia o altre forme di nanismo”, spiega Nadia Pivato, presidente di Acondroplasia Insieme per Crescere ETS, organizzazione nata nel 2011 dalla volontà di un gruppo di genitori e persone acondroplasiche per supportare famiglie, bambini e adulti di bassa statura, ma anche per informare l’opinione pubblica attraverso campagne di sensibilizzazione, giornate dedicate alla raccolta fondi per la ricerca, manifestazioni sportive e incontri nelle scuole. “Come negli Stati Uniti “Little People of America” pubblica ogni giorno notizie e approfondimenti su nanismo e acondroplasia, anche noi nel mese di ottobre siamo chiamati a far conoscere la condizione delle persone di bassa statura e, soprattutto, a proporre un’immagine rispettosa, positiva e realistica delle loro vite. Fortunatamente anche in Italia la situazione è cambiata rispetto a solo pochi anni fa. Negli ultimi tempi, grazie anche agli atleti paralimpici che gareggiano in varie discipline, tra cui il nuoto e l’atletica leggera, si sta affermando una rappresentazione diversa dell’acondroplasia. La questione è sempre la stessa: la conoscenza aiuta ad abbattere lo stigma e a creare una società più inclusiva”.
LA PATOLOGIA E LA TRASMISSIONE GENETICA
L'acondroplasia è una malattia genetica rara caratterizzata da una compromessa crescita ossea endocondrale. Rappresenta la forma più comune di bassa statura disarmonica. L'acondroplasia è causata da una mutazione del gene del recettore per la crescita dei fibroblasti di tipo 3 (FGFR3) che inattiva il differenziamento osseo dei condrociti nella cartilagine delle epifisi. Di conseguenza, viene pregiudicata la crescita di tutte le ossa del corpo. La mutazione alla base malattia, infatti, fa sì che l’organismo produca una forma di FGFR3 che invia segnali continui di inibizione al differenziamento dei condrociti: il risultato sarà quindi il rallentamento della crescita delle ossa da parte delle cellule della cartilagine.
Nell'80% dei pazienti, la malattia è causata da una mutazione de novo nei figli di genitori di statura nella media. La patologia si trasmette con modalità autosomica dominante: le coppie in cui uno dei genitori è affetto hanno una probabilità del 50% di trasmettere la malattia ai figli. Se entrambi i genitori sono affetti, la probabilità che i figli siano affetti da acondroplasia omozigote (una condizione letale) aumenta di un ulteriore 25%.
Nelle coppie in cui uno dei genitori è affetto da acondroplasia è possibile effettuare l’esame del DNA fetale per stabilire se il nascituro nascerà o meno con l’acondroplasia. L’esame clinico e, soprattutto, le indagini radiografiche sono fondamentali, e in caso di dubbio, è possibile effettuare l’analisi del DNA per distinguere l’acondroplasia da altre eventuali osteocondrodisplasie.
LA QUALITÀ DELLA VITA
La bassa statura è la principale delle caratteristiche cliniche che caratterizzano le persone con acondroplasia. Gli arti, inoltre, presentano una sproporzione rispetto alla statura e possono essere presenti altri segni clinici tipici. Le persone acondroplasiche possono inoltre sviluppare problematiche neurologiche, cardiorespiratorie e dentali. Ciò si traduce in una riduzione dell’aspettativa di vita media di circa 10 anni rispetto a una persona non affetta da acondroplasia.
Il ricorso a interventi ortopedici e chirurgici nelle persone acondroplasiche è piuttosto frequente e un recente studio scientifico pubblicato sull’Orpahnet Journal of Rare Diseases ha ricordato alla comunità scientifica internazionale quanto la convivenza con il dolore sia tipica delle persone affette da questa patologia.
LO STUDIO
Dal dicembre del 2017 al febbraio del 2020 il gruppo di studio internazionale ha analizzato i dati clinici di 187 pazienti dai 5 agli 85 anni, in possesso di una diagnosi di acondroplasia confermata geneticamente, clinicamente o radiologicamente da almeno 5 anni, raccolti in 13 diverse strutture in 6 diversi Paesi europei: Austria, Danimarca, Germania, Italia, Spagna e Svezia. Una età media tra i 21,7 e i 17,3 anni, con una prevalenza di bambini sotto i 16 anni di età.
Si tratta di fatto di uno studio retrospettivo osservazionale che ha analizzato i dati demografici, clinici e sull’utilizzo delle risorse dei rispettivi servizi sanitari nazionali. Particolare attenzione è stata posta sugli aspetti legati a qualità della vita, dolore, indipendenza funzionale, produttività lavorativa e disturbi dell’ansia, che sono stati rilevati attraverso dei questionari di autovalutazione proposti ai pazienti adulti (o ai caregiver dei pazienti pediatrici) contestualmente all’ingresso nello studio stesso.
I risultati hanno rilevato che il 72% dei pazienti è stato sottoposto ad almeno un intervento chirurgico, con relativa segnalazione di diverse complicanze mediche e chirurgiche per tutte le età. I tipi di intervento chirurgico più frequenti variavano in base all'età, in linea con i profili di complicanze. L’utilizzo delle risorse sanitarie è stato elevato in tutte le fasce d’età, soprattutto tra gli individui più giovani e più anziani, e non differiva sostanzialmente in base alla storia di allungamento degli arti.
Rispetto ai valori della popolazione generale, i pazienti hanno riportato una qualità di vita compromessa, in particolare per quanto riguarda l’area della funzionalità fisica. Inoltre, i pazienti hanno riferito difficoltà a svolgere le attività quotidiane in modo indipendente e dolore, anche cronico, a partire dall’infanzia. Tra gli altri aspetti analizzati segnaliamo l’impatto sulla vita lavorativa, tendenzialmente compromesso.
Tali risultati evidenziano la notevole necessità di risorse sanitarie per la gestione dei pazienti con acondroplasia e confermano che si tratta di una patologia che impatta fortemente sulla qualità della vita.
ANCORA MOLTO LAVORO DA FARE
“Il mondo dell’acondroplasia sta cambiando profondamente da quando, circa un anno fa, anche in Italia è stato introdotto il farmaco vosoritide, autorizzato dapprima per la fascia di età 5-14 anni e ora anche per quella 2-5”, commenta ancora Nadia Pivato. “L’arrivo in Italia di un farmaco in grado di favorire la crescita dei nostri bambini rappresenta un momento molto delicato per le nostre famiglie, anche perché è ancora troppo presto per comprendere quali saranno i risultati a livello di crescita di statura. Ogni giorno l’associazione è accanto a coloro che hanno scelto, su indicazione dello specialista, di sottoporsi a terapia con vosoritide (farmaco autorizzato in Italia da circa un anno, con indicazione specifica per l’acondroplasia) per i loro bambini e ragazzi e, al tempo stesso, vigila sulle altre sperimentazioni in corso a livello internazionale per analoghi trattamenti farmacologici. È chiaro che oggi tra le nostre famiglie c’è molto fermento e tante aspettative, ma io ci tengo a sottolineare che non si tratta di un rimedio magico che cancellerà l’acondroplasia. E allora ai nostri ragazzi mi sento di dire una sola cosa: non dimenticate la vostra identità e non perdete di vista la vita quotidiana, che è fatta di scuola, di sport, di relazioni. L’importante è comprendere i propri punti di forza e riconoscere i propri limiti per vivere il più possibile nella normalità”.
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