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A parlare dell’argomento è l’avvocato Roberta Venturi, Responsabile dello Sportello Legale OMaR

Dall’inizio della pandemia di COVID-19, molte sono state le domande relative alla condizione generale e alla situazione lavorativa delle persone con salute fragile giunte allo Sportello Legale di Osservatorio Malattie Rare. Tra i pazienti che si sono rivolti al servizio anche quelli affetti da dermatite atopica, protagonista del webinar “Dermatite atopica, tra rischio Covid e necessità di cure. Strategie per la fase II”, promosso da OMaR, con il patrocinio di SIDeMaST (Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse) e di ANDeA (Associazione Nazionale Dermatite Atopica) e con il contributo non condizionato di Sanofi Genzyme.

“Ad oggi, quella che è stata la principale normativa volta a tutelare i pazienti a rischio non è più applicabile”, spiega l’avvocato Venturi, Responsabile dello Sportello Legale OMaR. “È stata infatti prorogata fino al 31 luglio e prevedeva che tutti i lavoratori appartenenti al settore pubblico e privato potessero astenersi dall’attività lavorativa, purché rientranti in alcune classi di patologie che sono poi state successivamente specificate anche da parte del Ministero della Salute. In questo caso, l’assenza veniva equiparata al ricovero ospedaliero e di conseguenza non computata ai fini del comporto”.

Per quanto riguarda, invece, le normative ad oggi applicabili, l’unica che viene rivolta ai pazienti, tendenzialmente nei casi di immunodepressione, riguarda la possibilità di accedere allo smart working. “Capiamo bene - prosegue Roberta Venturi - come questo tipo di normativa trovi limite nell’applicazione, dal momento che non tutte le prestazioni lavorative possono effettivamente essere eseguite attraverso lo smart working. Pertanto, quelli che sono lavoratori in una condizione di rischio sono tenuti a prestare la propria attività lavorativa nel caso in cui possano comunque effettuare degli accordi con il proprio datore di lavoro per vedere se ci sono degli strumenti, all’interno dell’azienda, utilizzabili per tutelare questi soggetti”.

Di recente, il Ministero della Salute, congiuntamente al Ministero del Lavoro, ha stabilito attraverso una circolare che nella definizione di ‘persone fragili’ rientrano quelle persone che hanno già delle patologie pregresse e che, nel caso in cui dovessero essere contagiate dal virus SARS-CoV-2, potrebbero trovarsi in una condizione di particolare gravità. “Anche in questo caso - prosegue Venturi - sono previste delle classi di patologie che possono accedere a questo tipo di normativa. In particolare, si fa riferimento a quelli che sono i pazienti in uno stato di immunodepressione, ai pazienti con esiti da patologie oncologiche, ai pazienti che sono sottoposti a terapie salvavita e a tutti quelli con comorbilità che rappresentano situazioni di rischio. Queste patologie, per far sì che la domanda venga accettata, devono essere ovviamente certificate dal proprio medico curante, che dovrà valutare la condizione del paziente e definire se questi può essere considerato a rischio rispetto alla pandemia”.

Un ulteriore elemento di agevolazione che è stato previsto, soprattutto per quanto riguarda il settore privato, è la sorveglianza sanitaria straordinaria, che si traduce in una visita che viene effettuata dal medico referente dell’azienda (se l’azienda ne dispone) o dai medici dell’INAIL per valutare l’eventuale idoneità di una persona a tornare al lavoro. Lo smart working deve essere in qualche modo autorizzato dal datore di lavoro in funzione delle prestazioni effettivamente espletate da parte del lavoratore.

“Con il passare del tempo, e probabilmente con un andamento della pandemia che sembrava essersi ridotto, le tutele nei confronti dei lavoratori fragili sono diminuite. Sicuramente, la maggiore tutela per i pazienti immunodepressi può essere quella di far sì che possano rimanere a casa e, quando possibile, di consentire che restino a casa anche relativi familiari”, conclude Roberta Venturi. “Per quanto riguarda la dermatite atopica, la patologia potrebbe rientrare all’interno di queste normative, ma ovviamente la valutazione della condizione del paziente va fatta da parte del medico curante. Da valutare anche la presenza di altre patologie e se le terapie che vengono somministrate possono porre il paziente in una condizione di immunodepressione, rendendolo soggetto a rischio”.

Clicca QUI per guardare il video completo del webinar "Dermatite atopica, tra rischio Covid e necessità di cure. Strategie per la fase II".

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