Il punto sulle terapie disponibili e le sperimentazioni cliniche con il Prof. Francesco Passamonti (Milano)
Pur non essendo tra le più conosciute malattie del sangue, la policitemia vera (PV) è una patologia proliferativa di tipo cronico a cui occorre prestare doverosa attenzione. A voler esser precisi essa è classificata come un raro tumore del sangue che colpisce le cellule staminali nel midollo osseo: ciò comporta un rialzo del numero di globuli rossi in circolo (ma anche di leucociti e piastrine), con un incremento della probabilità di incorrere in eventi trombotici. Inoltre, la PV può evolvere in una condizione nota come mielofibrosi la quale, come dice il nome stesso, prevede una graduale sostituzione del midollo osseo con tessuto fibroso, con l’instaurarsi di uno stato di anemia e un aumento delle dimensioni della milza (l’organo dove vanno a morire i globuli rossi “anziani”) e la comparsa di sintomi sistemici quali febbre, sudorazioni notturne e calo ponderale.
IL PERCORSO TERAPEUTICO DEI PAZIENTI CON POLICITEMIA VERA
Il programma di trattamento della PV prevede diverse terapie e si basa sulla probabilità dei pazienti di sviluppare trombosi, aspetto che ha un impatto ben documentato sulla loro stessa sopravvivenza. “La terapia del paziente con policitema vera ad elevato rischio vascolare si basa sul controllo del fattori cardiovascolari”, afferma Francesco Passamonti, Professore Ordinario di Ematologia all’Università Statale di Milano e Direttore dell’S.C. di Ematologia presso la Fondazione IRCCS Policlinico di Milano. “Non si tratta unicamente di assumere farmaci mirati ma anche di modificare il proprio stile di vita, interrompendo il fumo, praticando attività sportiva e prendendo l’abitudine di seguire una dieta sana tramite cui perdere peso e ridurre i livelli di colesterolo, trigliceridi, glicemia nel sangue”. Si tratta del primo necessario passo da compiere per le persone che ricevano una diagnosi di policitemia vera. L’approccio terapeutico di riferimento per quanti siano affetti da questa malattia è il salasso - con prelievo di circa 350-400 mL di sangue ogni 3-7 giorni inizialmente - per portare il livello dell’ematocrito sotto la soglia di sicurezza del 45%, e quindi mantenerlo. Tuttavia, la ripetizione cronica dei salassi non è scevra da problemi, quali la sintomatologia da carenza di ferro (e nel caso della PV la supplementazione di ferro non è raccomandata). Inoltre, negli anziani la fragilità del patrimonio venoso rende meno agevole la ripetizione del salasso. Pertanto, quando vi siano le indicazioni, è possibile aggiungere la somministrazione di agenti antiaggreganti (come l’aspirina) per ridurre l’eventualità di complicanze trombotiche.
“In coloro che presentano un elevato rischio trombotico si prescrive l’assunzione di idrossiurea”, prosegue Passamonti. “Purtroppo, una buona parte dei pazienti risulta intollerante al trattamento di prima linea con idrossiurea e perciò deve cominciare un trattamento di seconda linea con ruxolitinib o con alfa-2b-interferone (ropeginterferone)”. In un articolo pubblicato sulla rivista The Lancet Haematology un gruppo di ematologi esperti appartenenti alla rete di centri di cura dell’European Leukemia Net (ELN) riporta in maniera scrupolosa e dettagliata i criteri di intolleranza e di resistenza al trattamento di prima linea (tra tutti splenomegalia, leucocitosi o trombocitosi progressive, sintomi di malattia persistenti oppure ricorrenza di trombosi) che devono indurre il medico a raccomandare al paziente un passaggio a farmaci di seconda linea. “Nella scelta di passare al trattamento di seconda linea occorre tener presenti anche i risultati di alcuni studi pubblicati nel corso dell’anno appena concluso e discussi nei principali convegni di ematologia”.
GLI AGGIORNAMENTI NELLA RIDUZIONE DELLA TROMBOSI
Alla fine del 2022 sulla rivista Blood è stato dato spazio alle più concrete novità in campo ematologico presentate al Congresso dell’American Society of Hematology (ASH): tra queste, uno studio condotto dalla dott.ssa Paola Guglielmelli, in collaborazione con il gruppo di ricerca dello stesso professor Francesco Passamonti. “Lo scopo di quel lavoro era di analizzare i cambiamenti nella carica allelica di JAK2 (JAK2 V617F) nei pazienti con policitemia vera trattati con ruxolitinib come trattamento di seconda linea”, spiega lo stesso Passamonti. Infatti, ruxolitinib è un inibitore orale delle tirosin-chinasi JAK1 e JAK2 approvato per il trattamento della policitemia vera sulla base degli studi clinici RESPONSE-1 e RESPONSE-2, condotti su persone precedentemente trattate con idrossiurea per un periodo di tempo compreso tra 6 e 8 anni. “Dal nostro studio – riprende Passamonti – emerge che i pazienti che avevano assunto ruxolitinib come farmaco di seconda linea hanno ottenuto una risposta molecolare completa o profonda (che significa una riduzione della carica allelica di JAK2 V617 del 2%) e hanno una ridotta probabilità di sviluppare mielofibrosi rispetto a quelli privi di cambiamento nella carica allelica”. Ciò lascia intendere che il raggiungimento di una risposta molecolare possa essere correlato alla modifica della prognosi della malattia.
Un secondo studio clinico, apparso sulla rivista Journal of Clinical Oncology, riporta i risultati dello studio di Fase II MAJIC-PV, progettato per confrontare ruxolitinib con la terapia standard disponibile in pazienti con PV resistenti o intolleranti all’idrossiurea. “Lo studio MAJIC-PV ha un disegno simile a quello degli studi RESPONSE e ha confermato i benefici del trattamento con ruxolitinib rispetto alle altre opzioni terapeutiche”, commenta Passamonti. “In particolare, ruxolitinib ha documentato un minor numero di eventi vascolari e in più della metà dei pazienti trattati con questo farmaco è stata ottenuta una buona risposta molecolare, con una riduzione della carica allelica di JAK2 V617. In questo sottogruppo è stata osservata anche una minor incidenza di eventi”.
IL RUOLO DEL ROPEGINTERFERONE
Verso la fine dell’anno scorso sono stati pubblicati sulla rivista Leukemia i risultati finali dello studio di Fase IIIb CONTINUATION-PV riguardante il trattamento di pazienti affetti da policitemia vera con ropeginterferone alfa-2b. Tale farmaco è stato approvato anche in Italia come monoterapia per il trattamento della policitemia vera negli adulti senza splenomegalia sintomatica, e l'AIFA ne ha autorizzato la rimborsabilità per i pazienti con PV risultati intolleranti alla terapia con idrossiurea, per le donne in età fertile che intendano intraprendere una gravidanza e per i soggetti con storia pregressa di tumori cutanei (non-melanoma). “Gli studi PROUD-PV/CONTINUATION-PV presentano i risultati di un periodo di osservazione e trattamento superiore ai 7 anni”, afferma Passamonti. “La probabilità di sopravvivenza libera da eventi (cioè senza morte, progressione di malattia o l’instaurarsi di eventi trombo-embolici) è stata più elevata nei pazienti trattati con ropeginterferone alfa-2b rispetto al gruppo di controllo”. Oltre a ciò i tassi di risposta molecolare per la mutazione JAK2 V617F a 6 anni sono stati significativamente più alti nei pazienti trattati con ropeginterferone alfa-2b rispetto al gruppo di controllo: si tratta di un traguardo consistente nella prospettiva di ritardare la progressione di malattie delle persone con policitemia vera.
“Il bilancio del recente periodo di studio sull’approccio terapeutico per i pazienti con policitemia vera intolleranti alla prima linea di trattamento ha messo in evidenza una robusta dimostrazione di efficacia di ruxolitinib nella riduzione della carica allelica di JAK2 V617 e della progressione a mielofibrosi”, conclude Passamonti. “E coloro che hanno una ridotta carica allelica presentano anche un minor rischio di sviluppare trombosi”.
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