Lucia De Franceschi, il punto sull'anemia falciforme

Il punto sullo stato dell’arte con la Dr.ssa De Franceschi, Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona 

L’anemia falciforme, o drepanocitosi (SCD), è una malattia monogenica ed è, insieme alle sindromi talassemiche, tra le forme di malattie ereditarie più comuni e diffuse al mondo. “I pazienti che vivono in Italia, distribuiti in maniera variegata sull’intero territorio nazionale, sono circa 1.800.  “Oggi un paziente con anemia falciforme – spiega la Dr.ssa Lucia De Franceschi, dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, Ospedale Borgo Roma – riesce a raggiungere anche l’età anziana con una buona qualità di vita, cambiata negli ultimi trent’anni, grazie a nuove terapie come l’idrossiurea, divenuta oggi di routine. Con la terapia genica e l’editing genetico, le prospettive di guarigione sono sempre più concrete.”

CAUSE E COMPLICANZE

“Si tratta di una grave forma di anemia che colpisce il globulo rosso e si caratterizza per la presenza di un'emoglobina patologica, l’emoglobina S, che al contrario dell’emoglobina normale, quella che viene identificata come emoglobina A, risulta essere caratterizzata da alcune peculiarità biochimiche. In particolare – spiega l’esperta – quando l’emoglobina viene fisiologicamente deossigenata si organizza in forme rigide di fibre e di polimeri. Questo processo è responsabile della deformazione a falce del globulo rosso, da qui il nome appunto di anemia falciforme. La presenza dell’emolisi intravascolare, ossia di una grande quantità di emoglobina libera nel plasma, è responsabile di un processo pro-infiammatorio cronico che durante gli eventi vaso-occlusivi acuti - che sono, insieme alla anemia emolitica cronica, il principale gruppo di manifestazioni cliniche di questa malattia - si traduce in un intrappolamento dei globuli rossi e dei neutrofili con la generazione di micro-trombi. La produzione di questi trombi provoca una riduzione della qualità della vascolarizzazione a valle del punto in cui si formano, procurando nel paziente una grande sofferenza di tipo ischemico a carico di alcuni organi come per esempio il polmone, il rene, il fegato, il sistema nervoso centrale e l’osso. Questo quadro clinico produce nella persona affetta da anemia falciforme delle manifestazioni acute che sono, sia ricorrenti, sia croniche e che si traducono in un danno d'organo con un impatto di tipo invalidante sulla persona.”

LE CRISI ACUTE

Gli elementi che scatenano gli eventi acuti sono rappresentati da tutte quelle situazioni che costituiscono uno stress per l'organismo, anche in un soggetto normale, come gli sbalzi termici, l’alto grado di umidità, il mantenimento prolungato di una medesima posizione del corpo. Ricordo – prosegue l’esperta – l’episodio di un ragazzo con anemia falciforme che durante la sua giornata di studio al liceo era rimasto molte ore con il braccio appoggiato dietro lo schienale della sedia. Dopo 48 ore ha accusato un forte dolore alla spalla, che lo ha costretto ad andare al pronto soccorso. Per questi pazienti, pertanto, sia in un contesto scolastico, che in un contesto lavorativo, dovrebbe essere consentita la possibilità di staccarsi dall’attività di routine, se questa è sedentaria, per poter fare una passeggiata e recuperare una postura più consona ed una dimensione il più possibile di relax. Altre situazioni che possono innescare le crisi dolorose possono essere le infezioni, l’influenza, la polmonite e, soprattutto nei ragazzini e negli adolescenti, le crisi asmatiche. Infine, non sono da sottovalutare le situazioni che possono produrre stress psico-emotivo per il paziente, come un esame scolastico, l’inizio di un nuovo lavoro, ma anche un viaggio particolarmente lungo. Pensiamo ad esempio ai pazienti che arrivano dall'area subsahariana dopo viaggi terribili in cui sono esposti a condizioni psico-fisiche estreme per lungo tempo. Questi pazienti, quando arrivano a destinazione, presentano spesso un quadro clinico alterato ed hanno l’esigenza di conferire al pronto soccorso per evitare crisi toraciche dolorose vaso-occlusive che possono essere fatali.”

L’INSORGENZA DEI SINTOMI E LA DIAGNOSI

“Generalmente il bambino appena nato fino a circa un anno e mezzo due di vita è ancora esposto a un cambiamento della sintesi dell’emoglobina, che passa dal profilo fetale al profilo dell’adulto. Parlo di un intervallo di tempo, che va da uno a due anni di vita, perché il periodo di trasformazione dell’emoglobina – da fetale ad adulta – è variabile da soggetto a soggetto e presenta un aspetto di imprevedibilità clinica legata proprio alla quota di emoglobina fetale. È inoltre molto importante che la diagnosi della patologia avvenga alla nascita. Questa diagnosi precoce consente di attivare immediatamente la profilassi antibiotica ed entrare in un programma di screening, ad esempio per la malattia celebro-vascolare, che è tipica appunto dell’età pediatrica. Attraverso l'impegno del professor Iolascon – che è past President della Società Italiana di Genetica Medica (SIGU) e attualmente membro della Commissione del Ministero della salute per la valutazione dello screening nelle patologie ereditarie – si è aperto un dossier sulla possibilità di introdurre l’anemia falciforme all'interno degli screening neonatali, che sono attualmente già disponibili. Questo dossier aperto implica anche un impegno da parte delle associazioni dei pazienti per far capire, insieme agli scienziati ed agli esperti, che c’è necessità di introdurre questo screening a livello nazionale.”

L’ASPETTATIVA DI VITA

Rispetto a 15-20 anni fa, quando la spettanza di vita era intorno ai 40 anni, oggi la prospettiva è nettamente migliorata. Al punto che nell'ultimo studio realizzato dalla Società Italiana per lo Studio delle Emoglobinopatie (SITE), di cui faccio parte, è stato dimostrato che in Italia la spettanza di sopravvivenza per i pazienti affetti da anemia falciforme è di 71 anni. Si tratta di una popolazione di pazienti che copre tutte le fasce d’età, da quella pediatrica a quella adulta. Se guardiamo invece alla distribuzione regionale, registriamo delle differenze significative. Nella popolazione che storicamente è presente da sempre in Sicilia e in Calabria possiamo rilevare un range di età, per questi pazienti, che va dai bambini agli anziani, mentre nelle regioni del nord e del centro Italia la popolazione varia prevalentemente tra l’età pediatrica e quella dei giovani adulti. Quest’ultimo aspetto è motivato da una mobilità interna, quindi da flussi migratori dal sud Italia verso i territori del nord; ovvero per mobilità esterna con i flussi migratori provenienti soprattutto dall’Africa, talvolta anche per ricongiungimenti familiari. Ma non è migliorata in modo sensibile soltanto la longevità di questi pazienti, ma anche la loro qualità di vita. Questo cambio deciso di prospettiva permette alle giovani pazienti donne di alimentare il loro desiderio di maternità. Non è infrequente il caso di pazienti che hanno avuto più di una gravidanza, questo testimonia come nonostante la patologia queste giovani donne abbiano un intenso desiderio di vita. Tuttavia, il quadro clinico generale di questi pazienti presenta diverse limitazioni, che talvolta possono ostacolare lo svolgimento delle normali attività quotidiane. Questo soprattutto a causa delle crisi dolorose croniche, ma anche della fatica che esse generano. Proprio la fatica è un elemento che è stato descritto in uno studio pubblicato qualche anno fa dalla rivista internazionale American Journal of Hematology. Si tratta di uno studio molto interessante perché ha coinvolto diversi Centri che hanno in cura pazienti con anemia falciforme in varie parti del mondo, e le caratteristiche di cui stiamo discutendo e che incidono fortemente sulla qualità di vita di questi pazienti - il dolore e la fatica - sono state rintracciate in tutte le fasce d’età e in tutte le differenti culture dei vari territori coinvolti. Dallo studio è emerso che il dolore e la fatica impattano negativamente in questi pazienti, sulla loro capacità di potersi esprimere come persone e anche come cittadini. Risulta pertanto estremamente importante una corretta comunicazione sugli effetti invalidanti che procura l’anemia falciforme, in modo da far comprendere - a chi vive con questi pazienti per studio, lavoro o per svago - quanto la fatica e il dolore mettano realmente a dura prova il normale svolgimento della vita di queste persone. 

LE COMPLICANZE

“Le principali complicanze, quelle più temute - perché legate a un rischio di mortalità elevata oppure perché possono produrre un peggioramento sensibile della qualità di vita del paziente - sono gli eventi celebrali, gli ictus ischemici che possono presentarsi, sia nell’età pediatrica, sia nei giovani adulti. Un'altra complicanza particolarmente temuta è la crisi dolorosa polmonare acuta che mette il sistema del paziente in una situazione di grave stress, poiché gli scambi respiratori non sono ottimali. Per la fascia dell'età pediatrica o adolescenziale l’evento più temuto è quello del cosiddetto “sequestro splenico” o “sequestro della milza” (avviene quando la milza, sequestrando grandi quantità di globuli rossi, aumenta di volume provocando dolore al paziente che avverte anche un'improvvisa stanchezza e diventa pallido). Infine, una situazione temibile è quella rappresentata da tutto ciò che mette in crisi il sistema renale, in grado di provocare sia l’ischemia renale, sia l'insufficienza renale cronica legata alle crisi dolorose ricorrenti, che espongono questi pazienti anche a rischio di andare in emodialisi.”

LO STANDARD TERAPEUTICO ATTUALE

L’aspettativa e la qualità di vita sono migliorate grazie a due capisaldi che abbiamo a disposizione per questi pazienti negli ultimi anni: il trattamento con idrossiurea e il regime trasfusionale. “L'idrossiurea - che aumenta la concentrazione di emoglobina fetale e ha l'effetto di impedire la falcizzazione - dovrà essere iniziata il prima possibile anche nei bambini. Gli studi che abbiamo a disposizione, infatti, mostrano un profilo di sicurezza ed efficacia anche in pazienti che seguono il trattamento con idrossiurea fin da piccoli e per un lungo periodo di tempo. Il regime trasfusionale - che può essere, a seconda delle situazioni, cronico come nella talassemia - vede soprattutto nell'exchange automatizzato o manuale uno strumento terapeutico fondamentale. Si tratta dell’eritrocitoaferesi, che consiste in un salasso tramite cui si prelevano dal paziente i globuli rossi falcemici e si reinfondono globuli rossi normali.”  

“Un paziente ben curato, che segue scrupolosamente la sua terapia – spiega l’esperta – deve recarsi mediamente presso il suo Centro di riferimento per il follow-up almeno quattro, cinque colte all’anno. A questi accessi, è necessario aggiungere gli accessi richiesti dal manifestarsi di crisi dolorose che il paziente non riesce a gestire a casa con la terapia farmacologica, in media le crisi dolorose possono essere da 2 fino a 6 all’anno, anche se ci sono pazienti per i quali si registrano anche 10-12 crisi dolorose all'anno. L’eterogeneità e soprattutto l’imprevedibilità del fenotipo nei pazienti è altissima, pertanto si possono avere dei pazienti che non hanno avuto nessun particolare problema fino a 18 anni di età e poi improvvisamente accusare una serie di manifestazioni che sono molto gravi e molto aggressive.”

TERAPIE INNOVATIVE E PROSPETTIVE DI TERAPIE CURATIVE 

“Attualmente abbiamo a disposizione, nella pratica clinica, il voxelotor, un agente antifalcemizzante, che tende a ridurre la deformazione dei globuli rossi È importante però sottolineare che al momento ci sono altri studi clinici ancora aperti: due su delle molecole che controllano la cascata del complemento, che viene superattivata, e uno su una molecola che induce la sintesi di emoglobina fetale in modo del tutto analogo alla idrossiurea. Infine, abbiamo il mitapivat - l'attivatore dell’enzima piruvato chinasi (PK) - che si è dimostrato essere altrettanto efficace come il voxelotor nel ridurre l'anemia di questi pazienti, mentre al momento gli studi sono troppo brevi per poter affermare con certezza che abbia anche un impatto sulla riduzione del dolore.”

“Per quanto riguarda le terapie curative - prosegue l’esperta - registriamo attualmente due grandi strategie: una è la terapia genica, che attraverso un vettore virale va a introdurre nel paziente una variante dell'emoglobina che “controbilancia” l’emoglobina S (quella che all’inizio ho definito come emoglobina patologica), riducendone la polimerizzazione, ossia la falcizzazione del globulo rosso. L’altra terapia curativa invece utilizza una strategia di gene editing, in cui viene favorita quella che è la fisiologica permanenza dell'espressione dell’emoglobina fetale nel paziente, agendo sul gene BCL11A che è proprio un regolatore chiave della transizione da emoglobina fetale ad emoglobina adulta. Di quest’ultima tecnica, chiamata CRISPR-Cas9, sono stati recentemente presentati, al congresso europeo di ematologia gli importanti risultati raggiunti, che mostrano una efficacia significativa, sia nell'aumento dei livelli di emoglobina fetale, sia nella riduzione del numero di crisi dolorose vaso-occlusive nei pazienti con anemia falciforme.” 

“Entrambi gli approcci - sia che si tratti di gene editing che di terapia genica - prevedono un trattamento clinico del paziente del tutto sovrapponibile al trattamento utilizzato in caso di trapianto del midollo. È prevista quindi una prima fase di raccolta delle cellule CD34+ che poi vengono ingegnerizzate con l’aferesi, seguita dalla fase di ablazione con il busulfano, un farmaco chemioterapico. Questa procedura, seppur considerata standard, espone il paziente a situazioni di fragilità del tutto simili a quelle del trapianto. Inoltre, considerando che queste procedure sono ad oggi applicate a pazienti giovani, non si può non considerare il rischio di intaccarne la fertilità, pertanto si rende necessaria la preservazione degli spermi e degli ovociti. Considerando che queste terapie curative sono estremamente costose, si rende necessario riuscire a individuare e selezionare il paziente ‘idoneo’. Per questo motivo a livello europeo – conclude l’esperta – con la Società Europea di Ematologia (EHA) e il Gruppo Europeo di Trapianto di Midollo Osseo (EBMT) si stanno definendo delle linee guida per identificare i pazienti candidabili al trattamento con la terapia genica.”

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