Il professor Matteo Dario Di Minno (Napoli): “Grazie a queste nuove terapie siamo riusciti a migliorare la qualità di vita dei pazienti”
Si chiama Tommaso ed è un giovane paziente affetto da emofilia A. E non esiste. Sì, perché Tommaso è un paziente-avatar, irreale ma rigorosamente verosimile, capace di interagire e porre quesiti come un ragazzo in carne e ossa. Ha partecipato anche lui al recente Convegno dell’Associazione Italiana Centri Emofilia (AICE), che si è tenuto a Napoli dal 12 al 15 ottobre. Infatti, durante il simposio “È tempo di guardare oltre. Damoctocog alfa pegol: tra innovazione e pratica clinica”, organizzato da Bayer nel primo giorno di convegno, Matteo Dario Di Minno, Professore Ordinario di Medicina Interna all’Università degli Studi "Federico II" di Napoli, ha raccontato la storia clinica di Tommaso dialogando proprio con lui.
Nel corso del tempo, la terapia e la gestione dell’emofilia sono cambiate in maniera radicale. Dovuta alla carenza di specifiche proteine note come fattori della coagulazione, questa patologia è stata trattata, negli anni, con trasfusioni di sangue, trasfusioni di plasma, farmaci plasmaderivati e, infine, farmaci a base di fattori ricombinanti (fattore VIII per l’emofilia A, fattore IX per l’emofilia B). “Solo nell’ultimo periodo, però, siamo riusciti a personalizzare la terapia e a migliorare la qualità della vita dei pazienti, e questo grazie all’avvento dei farmaci ricombinanti a lunga emivita”, afferma il professor Di Minno. “Tra questi, il trattamento con damoctocog alfa pegol (fattore VIII ricombinante a lunga emivita) offre ai pazienti affetti da emofilia A un duplice vantaggio, sia in termini di maggior protezione dai sanguinamenti che di riduzione del numero di infusioni”.
Se parliamo di terapie le vere evidenze non possono che venire dalla reale pratica clinica. Per questo motivo, in occasione del simposio, è stato l’avatar Tommaso a raccontare la sua storia clinica, interagendo in tempo reale con il Prof. Di Minno, rispondendo alle sue domande e sollevando lui stesso dei quesiti.
Durante il simposio è stata simulata una visita di follow up a seguito del passaggio di Tommaso da una terapia con un fattore VIII standard a quella con il fattore VIII a lunga emivita damoctocog alfa pegol. “Vista la gravità della sua patologia, Tommaso era costretto a ricevere la terapia standard a giorni alterni. L’impegno della somministrazione endovenosa era gravoso e il giovane paziente stava iniziando ad accusare il colpo”, racconta Di Minno. “Nonostante la frequenza delle infusioni, Tommaso riportava circa tre sanguinamenti all’anno, danni articolari e segni di attività di malattia riscontrabili con un esame ecografico muscolo-scheletrico. Un quadro simile dimostra un insufficiente controllo della malattia”.
“Per questo, quando Tommaso ha chiesto una riduzione del numero delle infusioni abbiamo optato per un cambio di terapia, passando a un fattore VIII a lunga emivita”, spiega il professore. “Il numero di sanguinamenti si è ridotto a zero e anche l’artropatia è migliorata, tanto è vero che che, tolti i danni irreversibili accumulati negli anni, tutti i segni di attività di malattia sono rientrati. Inoltre, nonostante il nostro obiettivo primario sia sempre quello di proteggere il paziente dal rischio di emorragie, siamo anche riusciti ad accontentarlo nella sua richiesta, riducendo il numero di infusioni da quattro a due alla settimana. Ultimo, ma non certo per importanza, l’ottenimento di una diminuzione del dolore: un outcome sottovalutato in ambito emofilia, ma che ha un impatto importante sulla qualità della vita del paziente”.
È la prima volta che un avatar viene utilizzato in un simile contesto. “I partecipanti al simposio, inizialmente un po’ spaesati, hanno poi apprezzato il nuovo strumento”, riferisce il prof. Di Minno. “Certo, ci vorrà del tempo affinché queste novità tecnologiche vengano percepite come qualcosa di concretamente utile nell’ambito della formazione clinica o della comunicazione medico-paziente”.
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