L’evento, organizzato dalla Fondazione Cutino, ha visto la partecipazione di UNITED e Fondazione FITHAD, ma anche della Società Italiana Talassemie ed Emoglobinopatie
Qualche settimana fa la Fondazione Franco e Piera Cutino ha realizzato a Roma una giornata di studio sulla talassemia, riunendo clinici e pazienti da tutta Italia per discutere le opportunità e i rischi legati al cambiamento nella cura di questa rara forma di anemia. In particolare, sono state esplorate le barriere di ordine psicologico che intervengono, sia nei clinici, sia nei pazienti nella valutazione del cambio del trattamento terapeutico, soprattutto in rapporto alle terapie avanzate. L'evento, intitolato "Opportunità e rischi del cambiamento", è stato realizzato con il patrocinio della Fondazione FITHAD e della Federazione UNITED e con il contributo non condizionante di Agios e Bristol Myers Squibb e ha ottenuto una grande partecipazione da parte di clinici, persone con talassemia e associazioni.
La giornata di studio ha visto la presentazione di diverse relazioni, tra cui "Storia dei cambiamenti nella cura delle talassemie" del professor Aurelio Maggio (referente scientifico della Fondazione Cutino), e interventi di psicologi afferenti alla SITE (Società Italiana per la Talassemia e le Emoglobinopatie). I partecipanti hanno anche lavorato in due laboratori, uno rivolto ai medici e l'altro ai pazienti, per discutere le loro esperienze e i loro punti di vista sul cambiamento.
Irene Sammartano, psicologa della Fasted Palermo (Federazione delle associazioni siciliane dei pazienti con talassemia e drepanocitosi), afferente al Centro di ematologia con talassemia dell’ARNAS “Civico” di Palermo, che per la giornata ha curato uno speech e coordinato i laboratori rivolti ai clinici, ci illustra in sintesi il senso del lavoro da lei svolto. “Il mio intervento ha cercato di esplorare le dinamiche della relazione tra il medico e il paziente cronico – spiega Sammartano – evidenziando l'importanza di un approccio empatico e centrato sul paziente. La relazione con il paziente cronico è molto complessa anche perché, spesso, medico e paziente si conoscono da tanto tempo ed entrambi hanno un’idea dell’altro già consolidata. Utilizzando due casi clinici, guardandoli dal punto di vista della comunicazione medico-paziente, si è cercato di riflettere su come si possano superare pregiudizi ed errori nella comunicazione evidenziando, sia cosa può fare il medico, sia cosa può fare il paziente per arrivare a una pianificazione condivisa della cura.”
“Nel pomeriggio – continua Sammartano – sono stati condotti, in piccoli gruppi, dei laboratori esperienziali ‘paralleli’ rivolti da un lato ai clinici e dall’altro ai pazienti, per stimolare la riflessione individuale e di gruppo sulla relazione medico-paziente e sulla comunicazione efficace, cercando di lavorare sull’ascolto attivo e l’empatia. Personalmente sono stata coinvolta nella gestione dei laboratori del gruppo dei medici. Nel primo laboratorio siamo partiti dalle caratteristiche del medico e del paziente ideale, confrontando le riflessioni tra gruppo dei medici e gruppo dei pazienti. Successivamente è stato proposto un “role play” in cui i clinici coinvolti interpretavano, uno sé stesso, l’altro un paziente con l’obiettivo di rappresentare due scenari che riflettevano situazioni di comunicazione tipiche, come ad esempio la proposta di un nuovo farmaco e la relativa gestione degli effetti indesiderati. Abbiamo concluso con un laboratorio che prevedeva la creazione di una ‘scultura’ in carta di alluminio che, come metafora della relazione medico-paziente, aveva l’obiettivo di farne emergere in modo simbolico gli elementi chiave: fiducia, collaborazione ed empatia. Tutte le ‘sculture’ – conclude Sammartano – hanno evidenziato come proprio la fiducia reciproca sia un elemento fondamentale per una relazione medico paziente efficace.”
Raffaella Origa, presidente della SITE, si è soffermata sull’importanza di giornate di confronto tra medici e pazienti come quella di Roma “La giornata organizzata dalla Fondazione “Cutino” è stata particolarmente interessante e innovativa per l'attenzione dedicata al clinico per aspetti che spesso vengono trascurati. Se infatti da tempo si esplora e conosce quanto il vissuto dei pazienti, le loro paure e la loro visione possa condizionare l'aderenza alle terapie a loro prescritte, e incida particolarmente sul loro atteggiamento verso ciò che sta per arrivare e verso le varie terapie innovative, raramente si parla invece dei vissuti del medico, che rappresenta l'altro attore che svolge un ruolo essenziale affinché si instauri una reale alleanza terapeutica nella diade ‘medico-paziente’. Anche il medico, infatti, ha vissuti, ha paure legate all’ipotesi del cambiamento. Oggi – conclude Origa – si è attivato un primo momento di confronto su queste tematiche di cui ritengo sia corretto parlare con l’obiettivo di provare a individuare delle strategie che permettano sia al medico, che al paziente di superare quelli che potrebbero diventare dei limiti, delle barriere appunto al cambiamento, con conseguenze nocive per entrambe le figure.”
Una terapia innovativa prospetta dei miglioramenti nella qualità di vita, ma allo stesso tempo potrebbe produrre degli effetti collaterali. Questo dualismo tra le potenzialità e i “rischi” di una nuova terapia si ritrovano nelle parole di Caterina Maniscalco, persona con talassemia major seguita al Campus di Ematologia “Cutino” di Palermo: “Non c’è dubbio che la ricerca ha fatto negli ultimi 20 anni passi enormi proponendo nuove terapie che hanno migliorato, sia la qualità, ma anche l’aspettativa di vita mia e di tanti altri pazienti che come me vivono con la talassemia. Penso ad esempio all’efficacia dei chelanti che hanno permesso di ridurre gli accumuli di ferro e di fatti ci hanno allungato la vita. Non solo – continua Maniscalco – da paziente che ha superato i 40 anni, apprezzo anche il passaggio dal chelante, che andava per infusione con una macchinetta da tenere 12 ore al giorno per tutti i giorni, al chelante orale, ossia una pillola. Un cambiamento incredibile di cui stiamo ancora beneficiando. Tuttavia, bisogna anche accettare che alcuni farmaci per alcuni di noi possano presentare anche degli effetti collaterali. Per questo quando ci si accinge ad un cambiamento bisogna ascoltare il nostro medico, quello che ci conosce e cura da una vita, esprimere le nostre convinzioni e le nostre resistenze, paure direi, ma allo stesso tempo bisogna anche affidarsi. Penso che sia tutto in questo equilibrio che regola il nostro modo di porci rispetto al cambiamento, ossia la fiducia con cui ci affidiamo al cambiamento di terapia che ci viene proposto.”
Giuseppe Cutino, intervenuto in apertura dei lavori della giornata in qualità di presidente della Fondazione Cutino, non ha trattenuto la sua emozione e soddisfazione “Questo evento di oggi è il frutto del lavoro che, durante tanti anni, abbiamo cercato di realizzare, ossia: essere al servizio del maggior numero di persone con talassemia e anemia falciforme, interagendo con le associazioni di pazienti, ma anche con i clinici dei vari Centri talassemia d’Italia. L’idea di mio padre, Franco, era sempre stata quella di realizzare un ente non profit capace di stare al fianco, sia dei pazienti, sia della ricerca scientifica. La giornata di oggi è un passo in avanti in questa direzione di cui sto parlando, perché appunto mi permette di vedervi e ringraziarvi direttamente! Ma non è un punto d’arrivo finale – conclude Cutino – ma un nuovo punto di partenza per nuove opportunità ed iniziative che potremo insieme riuscire a condurre sempre con l’obiettivo, questo almeno è il nostro auspicio, di fare qualcosa di concreto che possa servire a chi tutti i giorni si confronto con la talassemia o l’anemia falciforme.”
La giornata di studio ha permesso di far emergere delle emozioni e dei vissuti che altrimenti sarebbero rimasti inespressi. I partecipanti hanno discusso le loro esperienze e i loro punti di vista sul cambiamento, e hanno lavorato insieme per trovare nuove soluzioni per migliorare la cura della talassemia.
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