Il genetista può assumere un’importanza fondamentale, specie nella delicata transizione tra pediatrico e adulto
Il problema della transizione dei pazienti dall’età pediatrica a quella adulta è oggi più che mai attuale. “C’è un problema”, sintetizza il Dr. Gioacchino Scarano, già direttore dell’Unità di Genetica Medica dell’Azienda Ospedaliera "San Pio", Ospedale "G. Rummo" di Benevento. “In Italia dopo la maggiore età i bambini con malattie rare “guariscono”, dicono le mamme, nel senso che nella maggior parte dei casi non sono disponibili percorsi strutturati come per l’età pediatrica.”
Inizia così l’intervista al genetista clinico, attivo membro della SIGU, Società Italiana di Genetica Umana. Nonostante il modello del percorso di transizione sia ampiamente definito e condiviso
dagli esperti non si riesce a renderlo universale nel SSN per motivi diversi e, ad eccezione di non poche realtà virtuose, nella maggior parte dei casi per i pazienti con malattie rare genetiche dopo i 18 anni c’è il “vuoto”.
Se però fino a qualche anno fa la situazione poteva passare inosservata, oggi disponiamo di una legge quadro dedicata alle MR, la legge 175/2021 (Disposizioni per la cura delle malattie rare e
per il sostegno della ricerca e della produzione dei farmaci orfani), e del nuovo Piano Nazionale Malattie Rare 2023-2026 approvato in Conferenza Stato-Regioni il 24 maggio 2023, che prevede esplicitamente per i pazienti la garanzia di un percorso molto strutturato nella transizione dall’età pediatrica all’età adulta che coinvolga i Centri di Riferimento Malattie Rare e il territorio.
Questo vuoto potrebbe essere correlato anche a una mancata comprensione generale delle potenzialità del ruolo del genetista clinico all’interno dei centri di riferimento per malattie rare. Quantomeno questa è la posizione sostenuta dalla SIGU, che Osservatorio Malattie Rare prova a delineare con questa intervista.
QUALE RUOLO PER IL GENETISTA CLINICO
Certo è che la necessità sempre crescente di genetisti clinici in ruoli apicali di programmazione sanitaria è un dato di fatto, lo constatiamo dagli atti di sindacato ispettivo, dai position paper e dai documenti istituzionali.
“L'opinione pubblica e anche la maggior parte dei medici del territorio e specialisti ospedalieri nonché organi dirigenti del Ministero della Salute o degli Assessorati Regionali della Salute hanno un’idea del ruolo e del tipo di lavoro assolutamente imprecisa del genetista clinico – spiega Scarano – forse anche per colpa nostra. È opinione diffusa che i genetisti medici lavorino soprattutto in laboratorio nell’eseguire test genetici sempre più complessi. C’è anche questa realtà ma il genetista clinico è soprattutto un medico a tutti gli effetti e per sua formazione deve riuscire ad avere una visione globale delle problematiche dei pazienti che lo consultano.”
Considerando che l’80% delle malattie rare ha una causa genetica è fondamentale soffermarsi sul ruolo del genetista clinico, fondamentale per porre il sospetto clinico in base alla valutazione di un insieme di dati familiari, clinici, laboratoristici e strumentali e richiedere il test genetico più indicato al Laboratorio di Genetica Medica per giungere ad una diagnosi di certezza. Ma questo è solo l’inizio del lavoro del genetista.
“Allo stato attuale – spiega Scarano - nonostante l’impetuoso progresso tecnologico si è in grado di giungere solo al 50% delle diagnosi. Ciò non impedisce di predisporre una presa in carico completa del paziente a qualunque età e di dare indicazioni alle famiglie. E se è vero che l’attività in ambito pediatrico ha come Disease manager del malato raro il pediatra ospedaliero/universitario, che è il coordinatore di tutte le fasi del percorso assistenziale (in accordo con tutti gli specialisti coinvolti e col pediatra di famiglia che ha il ruolo di Case manager), il passaggio all’età adulta, però, crea un grande vuoto. Sia il medico di famiglia che gli specialisti per adulti conoscono poco le malattie multisistemiche dell’infanzia e adolescenza e la loro evoluzione.”
È in corso una vivace discussione su quale figura possa rivestire il ruolo di Disease manager delle malattie multisistemiche in età adulta. Allora, perché non si può pensare per questo ruolo di coordinatore del percorso assistenziale presso i Centri di riferimento Malattie Rare al medico genetista clinico? Questo specialista, che per cultura e formazione conosce bene la storia naturale delle malattie rare genetiche multisistemiche ad esordio in età pediatrica e in prospettiva le necessità e i bisogni del paziente in età adulta, potrebbe garantire, col team di specialisti, una continuità assistenziale ben strutturata e organizzata senza che la transizione continui ad essere come un nuovo esordio della malattia per il paziente e la sua famiglia.
“Ovviamente per la presa in carico di un paziente adulto sono necessari tutti gli specialisti d’organo: cardiologi, neurologi, nefrologi, pneumologi, gastroenterologi, immunologi, in risposta ai problemi rilevati nel paziente. Tutte le specializzazioni formano i medici in maniera eccellente per la parte di loro specifica competenza, ma per potersi far carico di un paziente nella sua complessità serve di fatto una visione completa, quella di un Disease manager, che può essere l’internista ma anche il genetista clinico, che rappresenta un’opzione importante da tenere in considerazione.”
“I genetisti clinici, sia nell’età infantile che adulta, hanno l’obbligo di effettuare una valutazione complessiva dei pazienti che consenta di avere un quadro completo delle problematiche di salute riferite dalla persona malata, come qualsiasi altro medico ovviamente. La valutazione clinica del paziente in caso di sospetto di malattia rara “multisistemica” prevede sempre un percorso organizzato di tipo multispecialistico che alla fine porta alla definizione ottimale del quadro clinico complessivo e alla scelta del test genetico adeguato alla conferma della diagnosi. La conoscenza della storia naturale della malattia consente di organizzare il percorso assistenziale multispecialistico adeguato al paziente che molto spesso va offerto anche agli altri componenti della sua famiglia. In molti casi di pazienti adulti assistiti anche in maniera adeguata ma privi di una diagnosi specifica è necessario una nuova rivalutazione per avere una diagnosi eziopatogenetica definitiva potendo disporre oggi di nuovi e più sofisticati test genetici sia perché il quadro clinico può variare significativamente negli anni.”
L’IMPORTANZA DI INVESTIRE IN FORMAZIONE
“Il grande impegno della SIGU, Società Italiana di Genetica Umana, è quello di formare degli specialisti in medicina genetica”, prosegue Scarano. “Ovvero dei medici che siano in grado non solo di effettuare test di laboratorio, ma soprattutto di avere una formazione completa dal punto di vista clinico. Una formazione che li renda in grado di farsi carico dei pazienti nella loro complessità, e che li prepari anche all’avvento di tutte le nuove terapie, che presuppongono un modello assistenziale completamente diverso da quello del passato.”
“Non dico che tutti i genetisti medici debbano dedicarsi alla presa in carico dei pazienti adulti con malattie rare, ma ritengo che dovrebbero essere posti nelle condizioni di poterlo fare. Parlo ovviamente di risorse, non solo negli ospedali, ma anche e soprattutto risorse per formare i nuovi medici.”
UNA PERCEZIONE ERRATA DETERMINA UN’ERRATA STIMA DELLE RISORSE NECESSARIE
“Quando un genetista clinico prende in carico un paziente – spiega ancora Scarano – prende in carico tutta la sua famiglia. Che a volte può voler dire anche occuparsi di molte persone. Considerate che una consulenza genetica viene quotata dal SSN 18 euro, perché dovrebbe – secondo i documenti ministeriali – durare circa 15-20 minuti. Una consulenza complessa può durare due, tre ore. Il nostro compito è spiegare alla famiglia cosa significa essere affetti da una malattia genetica, cosa significa esserne portatori, e studiare con loro un percorso di presa in carico. Dobbiamo rilasciare delle relazioni scritte per gli specialisti, avviare i percorsi.”
“Le consulenze genetiche sono anche quelle prenatali – prosegue Scarano – in cui dobbiamo spiegare a una coppia molto preoccupata che tipo di patologia ha il loro bambino, che tipo di conseguenze avrà in futuro, se è compatibile o meno con la vita, capire insieme a loro se desiderano non proseguire la gravidanza ricorrendo ad un aborto terapeutico. E sono anche quelle in cui dobbiamo informare i genitori di un neonato appena deceduto in utero precocemente o in fase perinatale che è necessario eseguire un’autopsia e eseguire delle indagini genetiche allo scopo di identificare possibili condizioni genetiche oltre alle cause della morte, per poter prevenire eventuali rischi genetici per le future gravidanze e che per questi motivi devono condividere il percorso diagnostico fetale che verrà loro proposto.”
“Ma come posso dedicare 15 minuti per ogni famiglia?”, chiede Scarano. “Su questo la SIGU, Società Italiana di Genetica Medica, si sta battendo strenuamente: è tempo che anche la politica comprenda il fondamentale ruolo della genetica medica nella medicina contemporanea, e il fondamentale ruolo del genetista clinico nella gestione dei pazienti, pediatrici o adulti che siano.”
Come già spiegato però per i pazienti adulti la necessità di presa in carico è ancora più urgente. “Le famiglie impazziscono letteralmente quando comprendono che non potranno più essere seguite in ambito pediatrico – chiosa Scarano – perché sanno che dovranno ricominciare di nuovo. Ci sono pazienti che passano in pochi mesi dall’essere autosufficienti al perdere completamente la capacità di occuparsi di sé stessi. Le difficoltà sono immense, basti pensare alla difficoltà di trovare un dentista che si occupi di pazienti adulti con disabilità grave.”
I PDTA POTREBBERO MIGLIORARE LA SITUAZIONE
Sostanzialmente serve un punto di riferimento per il paziente, che possa gestire la sua presa in carico globale, affidandosi di volta in volta alle consulenze specialistiche, che devono poter essere gestite in maniera multidisciplinare all’interno del centro di riferimento.
Questo va di pari passo con la creazione di PDTA (Percorsi Diagnostici, Terapeutici e Assistenziali) per ogni specifica patologia, che hanno lo scopo di offrire al paziente un percorso di presa in carico globale.
Il PDTA è lo strumento operativo di garanzia per il paziente dove tutto il percorso è definito: dalla diagnosi clinica e eziopatogenetica, alle eventuali urgenze e alle terapie disponibili. “In regione Campania, la Commissione regionale Malattie Rare in applicazione del Piano Regionale Malattie Rare, ha costituito dei gruppi tecnici di specialisti per ciascuna branca medica allo scopo di produrre nuovi PDTA e aggiornare i precedenti.”
“In estrema sintesi noi dobbiamo chiarire ai pazienti quello che possiamo fare per loro, anche in base alle risorse di cui disponiamo come centri di riferimento, ma anche sul territorio. E questo secondo punto purtroppo rappresenta un tasto estremamente dolente, perché sappiamo perfettamente che in molte regioni il territorio non offre praticamente nulla, basti pensare alle prestazioni relative alla riabilitazione.”
“Le famiglie che affrontano patologie fortemente disabilitanti sono spesso abbandonate su questo fronte. Si tratta spesso di famiglie che hanno anche due figli con la stessa patologia, e che a volte sono prive di strumenti economici e culturali per poter garantire ai propri figli quello che il territorio non offre. Ricordiamo che ad oggi nella maggior parte dei centri malattie rare non sono presenti né lo psicologo né l’assistente sociale. Troppo spesso mancano anche i neuropsichiatri infantili (per i pazienti pediatrici) e gli psichiatri dell’adulto, che sono figure imprescindibili per tutta una serie di patologie rare genetiche con coinvolgimento neurologico e disabilità intellettiva.”
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