Il team di studio del dottor Andrea Vettori

All'Università di Verona, il dottor Andrea Vettori sta portando avanti l’unica ricerca italiana che punta alla scoperta di una cura per la patologia 

La malattia che prende il nome di “encefalopatia epilettica SLC6A1” è, in realtà, un insieme molto complesso ed eterogeneo di fenotipi patologici”, spiega il dottor Andrea Vettori, ricercatore del Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona. “Le mutazioni nel gene SLC6A1 causano uno spettro di disturbi neurologici che include epilessia a esordio infantile (assenze e crisi miocloniche-atoniche), ritardi nello sviluppo psicomotorio, linguistico e cognitivo e problemi comportamentali, compresi i disturbi dello spettro autistico. I sintomi sperimentati e la loro gravità possono variare ampiamente da paziente a paziente. Inoltre, poiché la scoperta delle mutazioni nel gene SLC6A1 è relativamente recente, è probabile che l'intera estensione delle caratteristiche di questa malattia non sia stata ancora descritta”.

Ad oggi, l’encefalopatia epilettica SLC6A1 è orfana di una cura e molti piccoli pazienti risultano affetti da un’epilessia farmaco-resistente, cioè non mostrano alcun miglioramento dei sintomi dopo aver assunto almeno due tipologie di farmaci antiepilettici somministrati alle dosi massime tollerate e per un adeguato periodo di tempo. “Ormai sono due anni che lavoro per trovare una cura per questa patologia - racconta Vettori - ma senza fondi specifici la ricerca procede a rilento. Adesso, con la fondazione dell’associazione SLC6A1 Connect Italia potremo contare su un aiuto in più: il presidente Andrea De Colle sta facendo un piccolo miracolo e, a pochi mesi dalla nascita dell’Associazione, sempre più persone conoscono l’esistenza di questa rara encefalopatia senza nome”.

SLC6A1, infatti, non è il nome della patologia, ma del gene mutato che ne è alla base, e che codifica per una proteina (GAT-1) trasportatrice dell’acido gamma-amminobutirrico (GABA), principale neurotrasmettitore inibitorio. La funzione primaria di GAT-1 è la ricaptazione del GABA dalla fessura sinaptica. Il malfunzionamento di questo processo provoca anomalie nell’attività elettrica del cervello. “Spesso queste alterazioni sono visibili già dai primi mesi di vita”, spiega il dottor Vettori. “I neonati presentano una moderata ipotonia e un ritardo motorio e cognitivo, ma si tratta di sintomi generici, riconducibili a diversi disturbi; così, prima di arrivare a una diagnosi, spesso passano anni”.

Sono talmente tanti i geni che possono essere implicati nello sviluppo di una sintomatologia di questo genere che l’unica soluzione è quella di affidarsi agli screening genetici”, chiarisce il ricercatore. “Negli ultimi anni sta prendendo piede il sequenziamento massivo parallelo o Next Generation Sequencing (NGS)”. È una tecnologia innovativa e altamente versatile che permette il sequenziamento in parallelo di milioni frammenti di DNA: questo consente di eseguire analisi di molteplici geni contemporaneamente, con una resa diagnostica superiore al sequenziamento tradizionale e una drastica diminuzione dei tempi dell’analisi genetica. “Sono stati sviluppati specifici pannelli di geni, con i quali è possibile investigare varie condizioni patologiche che generano un fenotipo anche molto ampio”, prosegue Vettori. “In questo modo si possono individuare le cause genetiche di molte malattie complesse, come quelle psichiatriche, che presentano componenti sia genetiche che ambientali: a volte, infatti, la mutazione in alcuni geni può dare luogo soltanto a una predisposizione, ed è il contesto ambientale a creare le condizioni favorevoli allo sviluppo della patologia; altre volte invece, come nel caso dell’encefalopatia epilettica SLC6A1, siamo di fronte a una malattia geneticamente determinata”.

L’encefalopatia epilettica SLC6A1 è una patologia ereditaria a trasmissione autosomica dominante. Questo significa che basta che una singola copia del gene SLC6A1 sia difettosa per far emergere il carattere patologico. “È una malattia estremamente complessa. Capirla e combatterla richiede strumenti appropriati”, afferma Andrea Vettori. “Per questo, negli ultimi anni, si sta creando un network tra i ricercatori che studiano questa condizione. Stiamo utilizzando approcci diversi (editing genetico, modelli cellulari in vitro e in vivo) e speriamo di arrivare presto a una cura”. 

Qui al Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona utilizziamo gli zebrafish”, spiega Vettori. “I pesci zebra (Danio rerio) sono pesci tropicali di acqua dolce, appartenenti alla famiglia dei Ciprinidi, comunemente diffusi negli acquari di casa. Da cinque anni a questa parte, hanno guadagnato popolarità come modelli per lo studio delle malattie umane, poiché condividono con l’uomo il 70% circa dei geni (si parla di geni ortologhi). Il modello zebrafish presenta anche altri vantaggi che lo rendono attraente per i ricercatori: è una specie molto prolifica (le femmine depongono centinaia di uova ogni giorno) e gli embrioni sono trasparenti e hanno uno sviluppo rapido ed esterno, il che li rende estremamente facili da studiare”. 

Grazie alla tecnologia CRISPR/Cas9 abbiamo creato degli zebrafish che presentano un fenotipo patologico simile a quello dei pazienti umani con encefalopatia epilettica SLC6A1”, racconta il ricercatore. “Sono animali “knock-out”, in cui la funzionalità del gene SLC6A1 è stata eliminata. Prossimamente contiamo di riuscire a introdurre nel genoma del pesce le stesse identiche variazioni patologiche dei singoli pazienti (animali “knock-in”). Abbiamo iniziato con modelli in cui il gene presentava la mutazione in una sola copia di SLC6A1 e ora disponiamo anche di pesciolini che mostrano mutazioni in entrambe le copie. Stiamo studiando quali sono le caratteristiche di questi zebrafish per poter individuare un parametro alterato (marcatore di malattia) facilmente analizzabile, come il modo di nuotare o la risposta agli stimoli luminosi. Una volta trovata la variabile da prendere in esame, potremo procedere con la somministrazione dei farmaci. Disponiamo di diverse librerie molecolari, cioè gruppi di farmaci da testare. Somministreremo, una per una, tutte le 1.500 molecole della libreria e andremo a verificare la loro efficacia nel mitigare il fenotipo indotto geneticamente, verificando la presenza di modificazioni nel parametro di controllo”.

Una volta trovato il farmaco giusto, lo testeremo più volte in situazioni differenti, con diverse concentrazioni e cambiando le condizioni al contorno”, prosegue il dottor Vettori. “Il passaggio successivo è il modello murino e, infine, si chiede l’autorizzazione per la somministrazione nell’uomo. La cosa interessante è che possiamo analizzare farmaci nuovi ma, soprattutto, possiamo verificare usi alternativi di molecole già sul mercato, conosciute e approvate”. A volte, infatti, è possibile utilizzare farmaci già in commercio per curare una malattia diversa da quella per cui sono stati originariamente creati: in questo caso si parla di “repurposing”, o riposizionamento. Questa strategia, quando ha successo, permette di accorciare i tempi e i costi legati allo sviluppo di una nuova molecola, dato che i trial tossicologici e di sicurezza sono già stati completati. “In questo modo, il passaggio dal bancone del laboratorio al letto del paziente è quasi immediato”, sottolinea il ricercatore.

La nostra speranza - conclude Andrea Vettori - è che la nascita dell’associazione SLC6A1 Connect Italia possa aiutarci a velocizzare i tempi. Come? Accogliendo nuove famiglie, divulgando informazioni sulla malattia, trovando fondi, creando un network di neurologi di riferimento e altri professionisti che si stanno occupando della patologia; in poche parole, facendo in modo che se ne parli. Tutto il resto viene di conseguenza”.

Leggi anche: “Encefalopatia epilettica SLC6A1, nasce la prima associazione italiana dei pazienti

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