I primi sintomi sono iniziati intorno ai 12 anni, ma la diagnosi è giunta dopo più di 3 decenni
“La mia storia di malattia è iniziata molti anni fa. Avevo appena 12 anni, soffrivo frequentemente di dolori muscolari e, a un certo punto, mi era pure comparsa una macchia violacea sulla parte superiore della schiena. I dolori talvolta diventavano fortissimi, quasi insopportabili. Poi mi si erano pure gonfiate le ghiandole del collo e accusavo un’ansia tremenda. La sofferenza fisica diventava spesso anche sofferenza psicologica, un disagio profondo che intersecava anima e corpo. Inoltre avevo la sensazione di non essere compresa. Anche da parte dei miei familiari, il che aggravava ulteriormente il mio stato”. Sono le parole di Daniela, che oggi ha 53 anni e ha deciso di raccontare la sua storia all’Osservatorio Malattie Rare, sperando che il suo doloroso percorso possa essere utile ad altre persone.
“Venivo percepita come un tipo ansioso e un po’ lamentoso. Liquidata con superficialità, legata anche all’ignoranza in materia”, spiega Daniela. “Era un’altra epoca. Decenni fa la medicina non era a conoscenza della complessità del nostro sistema immunitario ed era anche piuttosto difficile mettere insieme i pezzi di una malattia non comune che era tante malattie insieme, con sintomi diversi, mutevoli e cangianti. Così erano comparsi a distanza di circa un anno dai primi dolori, anche disturbi urinari. Ricordo ancora le terribili cistiti che avevano accompagnato i miei tredici anni e un viaggio in Spagna con un epilogo in Pronto Soccorso proprio per una maledetta cistite emorragica abatterica. Mi accompagnava spesso anche un dolore al rene destro. E quei lunghissimi pellegrinaggi tra ginecologi e urologi nel tentativo di capire che cosa avessi e come curare sintomi poco comprensibili. Poi il neurologo e l’ipotesi di una dermatomiosite, una malattia infiammatoria di origine autoimmune probabilmente causata da una forma virale. Intanto affioravano altre ipotesi, come quella di problemi strutturali al rene, successivamente smentita. Quindi la scoperta di microcisti all’ovaio, i dolori che non mi davano tregua e le sgradevoli perdite di urina. Un viavai di specialisti. Ognuno azzardava una diagnosi e diceva la sua, purtroppo senza venire mai a capo di una definizione della mia malattia e, soprattutto, senza alleviare la sintomatologia dei tanti disturbi che continuamente facevano capolino. Erano spesso problematiche racchiuse dai medici nella generica parola: “sviluppo”. Ma per me era uno tsunami che non accennava a scomparire e che aveva coinvolto pure lo stomaco con una gastrite corredata da trentadue micro-ulcere. E anche la cistifellea iniziava a dare problemi. Si era scoperta, strada facendo, nel corso degli anni della mia giovinezza, una grande presenza linfocitaria nel mio organismo. Tradotto: una forte infiammazione, ma di che tipo? Difficile da comprendere. Intanto ero stata a lungo ricoverata e operata di cistifellea. Allora avevo diciotto anni e la mia cistifellea era un organo secco e totalmente disidratato. Nel frattempo erano comparsi i problemi all’intestino: fortissime dissenterie che si alternavano a periodi di intensa stipsi. Qualche anno dopo si era presentata pure una vulvoadenia psoriasica vaginale caratterizzata da fastidi e pruriti intimi insopportabili. Cistoscopie, biopsie e altri esami invasivi erano diventati ormai routine, fino ad arrivare alla ricostruzione completa dell’uretra. Avevo infatti grosse difficoltà urinarie”.
“A seguire, avevo ventitré, ventiquattro anni, è arrivata la secchezza agli occhi e poi l’endometriosi”, prosegue Daniela. “I dolori diffusi e sparsi qua e là per il corpo mi tenevano regolarmente compagnia, un po’ più pressanti, un po’ meno, ma sempre sostanzialmente presenti. Poi il micropapilloma squamoso alla vescica, la biopsia alle ghiandole salivari. Un susseguirsi di indagini cliniche e nomi di malattie autoimmuni che cominciavano a comparire tra i miei numerosi referti medici: tiroidite di Hashimoto, sindrome di Sjogren, più la bronchite cronica. I farmaci e i numerosi tentativi di cura, almeno dei sintomi. I dolori articolari che diventavano sempre più acuti nel corso del tempo e la sensazione di perdita di sensibilità alle gambe. La diagnosi di fibromialgia si era così aggiunta all’elenco ormai lunghissimo dei miei malanni e delle mie infermità che avevano ovvie e comprensibili ripercussioni sulla sfera psichica e su una vita molto complessa per una ragazzina e poi una giovane donna. All’età di trentacinque anni, si erano manifestate pure forti emicranie, intanto i miei piedi diventano lividi e non riuscivo più a correre a causa della rigidità delle articolazioni. Si faceva sempre più strada l’idea che ad orchestrare tutti quei malefici sintomi fosse un problema di natura neurologica e così, dopo un iter più che trentennale di medici, specialisti, ipotesi smentite, ricoveri, analisi, attese nelle cose degli ospedali, ansie e speranze, veniva pronunciata finalmente la diagnosi: neuropatia a piccole fibre. L’esito dell’ultima biopsia, effettuata tramite un prelievo del tessuto dermatologico della coscia e del dito mignolo, pareva proprio inequivocabile. Ho dunque a che fare con una malattia subdola, insidiosa e soprattutto poco conosciuta. E il mio era ed è un dolore di tipo neuropatico. Tutto il mio manifestarsi di sintomi è legato, infatti, a questa malattia idiopatica (ossia una patologia di cui non si conoscono la causa e l’origine) che non ha una cura risolutiva ma medicine che tengono a bada, per quanto possibile, i dolori e le sue molteplici manifestazioni. Non posso ovviamente lavorare, non ho vita sociale e ho un’invalidità del cento per cento. Le mie giornate sono talvolta davvero estremamente faticose e dolorose. A volte va un po’ meglio e ne sono felice. Ho imparato a vivere alla giornata e a cogliere i momenti di benessere, anche se relativo e fugace”.
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