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Prof. Diego Ferone (Genova): “I dati provenienti dalle ultime sperimentazioni lasciano supporre un utilizzo sempre più ampio di questa tipologia di trattamento”

Data la loro marcata eterogeneità sul piano clinico e patofisiologico, i tumori neuroendocrini (NET) non mancano di offrire occasione di confronto ai medici specialisti coinvolti nella loro gestione. Il X Congresso nazionale di ItaNET è stato teatro di un’approfondita trattazione dei meriti della terapia con radiofarmaci, che sta rivoluzionando il percorso terapeutico di molti pazienti e che potrebbe presto trovare applicazione anche contro altre forme di tumore. Tra i corridoi dell’NH Milano Congress Centre di Assago, sede del congresso, abbiamo incontrato Diego Ferone, Professore di Endocrinologia presso l’Università degli Studi di Genova e Direttore della Clinica Endocrinologica dell’IRCCS Policlinico “San Martino” di Genova, il quale ha anticipato ai microfoni di OMaR le prospettive future di utilizzo della terapia con radioligandi (clicca qui o sull’immagine dell’articolo per guardare la video-intervista).

Professor Ferone, da qualche settimana stanno giungendo voci sugli esiti del trial clinico NETTER-2. Che tipologia di studio è a quali pazienti si è rivolto?

“NETTER-2 è uno studio clinico di Fase III che fa seguito a NETTER-1, il quale aveva verificato l’efficacia del trattamento con lutezio (177Lu) oxodotreotide (nome commerciale Lutathera) in pazienti affetti da tumore neuroendocrino e i cui risultati erano stati pubblicati sulla rivista The New England Journal of Medicine. La principale differenza tra i due studi è che nel NETTER-2 è stata arruolata una popolazione di pazienti con NET più aggressivi rispetto allo studio precedente: infatti, se nel primo studio erano stati inclusi individui affetti da tumori allo stadio G1 e G2, il NETTER-2 si è rivolto a persone con NET del tratto gastro-entero-pancreatico in stadio G2 o G3, in grado di esprimere i recettori per la somatostatina ma non asportabili chirurgicamente. Il disegno dello studio NETTER-2 ha ricalcato quello del trial precedente, mettendo a confronto la terapia con radiofarmaco [nel caso specifico, appunto, il lutezio (177Lu) oxodotreotide, N.d.R.] con una terapia standard ad alto dosaggio. NETTER-2 è quindi uno studio randomizzato, condotto in aperto, all’interno del quale i pazienti sono stati suddivisi in due bracci: in quello di trattamento essi hanno ricevuto il lutezio (177Lu) oxodotreotide combinato con una dose standard di octreotide, che è un analogo “freddo” della somatostatina; i pazienti del braccio di controllo, invece, hanno ricevuto l’octreotide a un dosaggio doppio (60 mg) rispetto al normale (30 mg)”.

Quante persone sono state coinvolte? E qual era l’obiettivo dello studio clinico NETTER-2?

“Questo trial ha coinvolto 36 centri in tutto il mondo. L’Italia ha dato un contribuito significativo sia in termini di qualità di dati che di numerosità dei casi (con 8 centri aperti al reclutamento). In totale, lo studio NETTER-2 ha arruolato oltre 220 pazienti, un numero considerevole dato l’impatto epidemiologico dei NET, che sono considerati tumori rari. D’altronde, una solida casistica era necessaria per raggiungere l’endpoint primario dello studio, definito come la superiorità del trattamento in termini di sopravvivenza libera da progressione della malattia (PFS), e gli endpoint secondari, relativi al tasso di risposta. Lo studio NETTER-2 è stato chiuso prima dell’estate scorsa e ad agosto è iniziata la fase di analisi dei dati. Ad oggi è possibile dire che la sperimentazione ha raggiunto l’endpoint primario e moltissimi endpoint secondari. I primi dati ufficiali saranno presentati in occasione del prossimo Congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) che si svolgerà a San Francisco nel 2024. In Europa, invece, i dati del NETTER-2 saranno presentati tra la primavera e l’inverno del 2024”.

Su questa base è possibile ipotizzare un cambio delle attuali indicazioni d’uso del farmaco?

“I dati preliminari superano le aspettative, lasciando pensare a un possibile cambiamento delle indicazioni di utilizzo del lutezio (177Lu) oxodotreotide, sia per tipologia di tumore che per tempistiche di impiego: naturalmente, per una risposta certa in merito bisognerà attendere il responso delle autorità nazionali per la regolamentazione dei farmaci. Tuttavia, l’obiettivo principale del trial NETTER-2 era valutare l’efficacia del lutezio (177Lu) oxodotreotide in un sottogruppo di pazienti che hanno un tumore aggressivo e un’estensione di malattia importante, così da offrire anche a loro l’opportunità di giovare dei benefici di questa terapia. Attualmente, infatti, la tipologia di pazienti inclusa nello studio NETTER-2 dispone di un ventaglio molto ristretto di opzioni terapeutiche, che hanno anche un impatto decisamente negativo sulla qualità della vita. Pertanto, al di là dell’efficacia della terapia, un dato importante emerso da NETTER-2 è stato anche quello del minor numero di effetti collaterali: si è confermato il bassissimo grado di tossicità del radiofarmaco, che ha dimostrato un ottimo profilo di sicurezza. Non bisogna dimenticare che è sempre essenziale garantire un buon controllo della malattia con una qualità di vita accettabile”.

Un risultato eccellente per una terapia approdata in Italia solo pochi anni fa…

“In realtà, insieme all’Olanda, l’Italia è stata pioniera nello sviluppo della terapia con radiofarmaci. Negli Stati Uniti, ad esempio, questo tipo di trattamento è diventato disponibile solo di recente, mentre in Europa lo era già da tempo, seppure in una fase sperimentale durata moltissimi anni. Di fatto, molti Paesi del continente europeo avevano stilato protocolli propri, facenti riferimento a radiofarmaci appositamente preparati all’interno dei vari reparti di Medicina Nucleare dei centri specialistici e somministrati secondo la regolamentazione dei trattamenti sperimentali: l’Europa aveva quindi accumulato un’esperienza di oltre 20 anni sull’utilizzo dei radioisotopi, a cominciare dai primi approcci con l’indio-111 e l’ittrio-90 per poi arrivare al lutezio, attraverso una serie di accortezze utili a migliorarne i livelli di efficacia e sicurezza. La commercializzazione dei radiofarmaci da parte dell’industria farmaceutica ha poi avviato una rivoluzione, ben presto estesasi anche ai reparti di Ematologia e Oncologia, con tante malattie che di questo approccio hanno iniziato a beneficiare. Tutto ciò ha condotto a una relativa standardizzazione delle procedure di utilizzo di questa classe di molecole. La situazione attuale prevede l’imminente disponibilità di radiofarmaci efficaci in nuove indicazioni, indicazioni che sono ancora potenzialmente ampliabili”.

Una terapia sicura ed efficace è ciò che ogni paziente si aspetta, ma nella gestione dei NET non va dimenticata la centralità dell’approccio multidisciplinare…

“Esatto. A Genova, infatti, nell’ambito dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, a cui appartiene la Clinica Endocrinologica che dirigo, insieme ai colleghi oncologi, medici di medicina nucleare, chirurghi, anatomo-patologi e genetisti, abbiamo creato il primo Disease Management Team (DMT) della Liguria dedicato ai NET. Si tratta di un modello di lavoro che pone la multidisciplinarietà al suo centro. Il DMT è composto da un gruppo di esperti del San Martino, ognuno con una propria autonomia, coordinati da una figura unica a rotazione. Ci rivolgiamo a pazienti affetti da forme rare di neoplasia endocrina che richiedono un approccio multispecialistico. Fino ad oggi, il DMT ha valutato un cospicuo numero di pazienti, provenienti sia dalla Liguria che da fuori regione, maturando una solida esperienza nel settore proprio grazie alla collaborazione di tutte le figure mediche coinvolte, che hanno contribuito allo sviluppo di un concetto operativo che rappresenta un fiore all’occhiello del Policlinico”.

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