Farmaci

Al momento, le strategie terapeutiche che appaiono più promettenti si basano sull’uso di antivirali e di anticorpi monoclonali

Ormai non c’è angolo del pianeta - fatto salvo per l’Antartide - dove l’infezione da Coronavirus SARS-CoV-2 non sia giunta, tanto da costringere l’Organizzazione Mondiale della Sanità a riclassificarla come pandemia e più di qualcuno a definirla come la crisi sanitaria più grave degli ultimi cento anni. Ma mentre il numero dei contagiati cresce a vista d’occhio - solo nel nostro Paese, al 20 marzo, erano più di 35mila - l’universo medico non è rimasto immobile e, nell’attesa della messa a punto di un vaccino specifico, diversi farmaci e molecole vengono testati per trattare i tanti malati ricoverati nei reparti di ospedale e nelle terapie intensive di tutto il mondo.

Fino a qualche giorno fa, il quadro complessivo era più di 100 studi clinici in corso su un’ampia gamma di terapie, che comprendono sia gli ultimi ritrovati della medicina tradizionale sia le formulazioni più tipiche della medicina orientale. Una geografia terapeutica complessa e variegata, ben riportata in questa mappa, dalla cui consultazione cercheremo di capire nello specifico quali siano, finora, le terapie più promettenti.

REMDESIVIR

È il farmaco del momento, quello che ha all’attivo più sperimentazioni cliniche (sono ben 5): si tratta di remdesivir, un antivirale prodotto da Gilead Sciences che adesso è in sperimentazione clinica anche in Italia. L’annuncio da parte dell’AIFA e della stessa casa produttrice americana afferma che l’Italia prenderà parte a due studi clinici di Fase III condotti allo scopo di valutare l’efficacia e la sicurezza del farmaco negli adulti ricoverati con diagnosi di COVID-19.

Non bisogna dimenticare che remdesivir è un analogo nucleotidico ancora in fase sperimentale che aveva prodotto risultati incoraggianti nel trattamento dell’ebola, e la cui attività antivirale è stata dimostrata anche in modelli animali della SARS e della MERS. Infatti, sono stati proprio i risultati in tali modelli pre-clinici aa aver indotto a pensare che possa essere efficace anche contro la malattia COVID-19. Quella di remdesivir sarebbe dunque una prescrizione “off-label”, cioè per un uso diverso da quello primariamente pensato; tuttavia, di concerto con le autorità regolatorie, Gilead Sciences, dall’inizio del mese di marzo, ha avviato gli studi clinici multicentrici randomizzati che testeranno l’efficacia e la sicurezza della somministrazione per 5 e 10 giorni di remdesivir (in aggiunta alla terapia standard) in pazienti affetti da manifestazioni gravi (studio 1) e moderate (studio 2) dell’infezione da SARS-CoV-2. L’Italia è uno dei Paesi che parteciperà a questi trial, che saranno inizialmente condotti presso l’Ospedale Sacco di Milano, il Policlinico di Pavia, l’Azienda Ospedaliera di Padova, l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Parma e l’Istituto Nazionale di Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma. Oltre a ciò, in collaborazione con AIFA, sono in corso di identificazione altri centri da includere negli studi, collocati in Regioni ad alta incidenza d’infezione da COVID-19.

Pur non essendo ancora approvato per uso terapeutico, remdesivir è stato messo a disposizione per uso compassionevole - al di fuori degli studi clinici - per il trattamento in emergenza di singoli pazienti affetti da COVID-19 in gravi condizioni e senza valide alternative terapeutiche. Va precisato, comunque, che questa modalità d’impiego non basta a determinare la sicurezza e l’efficacia del farmaco, che possono essere valutate solo all’interno di trial clinici come quelli citati.

TOCILIZUMAB

L’altra molecola ad aver riscosso attenzione in questi giorni è tocilizumab, un anticorpo monoclonale sviluppato da Roche e attivo contro il recettore dell’interleuchina-6 (IL-6R). Nato principalmente per il trattamento dell’artrite reumatoide, tocilizumab ha una parte importante nel modulare la risposta immunitaria ed è uno dei farmaci impiegati per contrastare la cosiddetta “sindrome da rilascio delle citochine” che può insorgere in alcuni pazienti trattati con le terapie a base di cellule CAR-T. In questi giorni, sui giornali si è diffusa la notizia che il farmaco sia stato impiegato all’Ospedale Cotugno di Napoli su due pazienti affetti da sintomi respiratori gravi causati da COVID-19, allo scopo di contrastare l’infiammazione polmonare scatenata dalla malattia.

ECULIZUMAB e SILTUXIMAB

L’idea di ricorrere a farmaci per spegnere l’eccessiva risposta infiammatoria collegata all’infezione ha indotto alcune case farmaceutiche a guardare con attenzione al loro portafoglio di prodotti, selezionando anche alcuni farmaci orfani (ossia destinati al trattamento di malattie rare) come eculizumab, un anticorpo monoclonale prodotto da Alexion con la tecnologia del DNA ricombinante e approvato per il trattamento della sindrome emolitico uremica atipica (SEUa), della miastenia gravis generalizzata refrattaria e dei disturbi dello spettro della neuromielite ottica (NMOSD). Eculizumab è un inibitore della porzione terminale della cascata del complemento che agisce modulando la risposta infiammatoria, e sarà testato all’interno dello studio SOLID-C19 nella speranza di spegnere la risposta infiammatoria, permettendo ai pazienti di rimanere in trattamento con terapia di supporto.

Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca anche il possibile uso di siltuximab, l’anticorpo monoclonale sviluppato da EUSA Pharma che, come tocilizumab, si lega all’interleuchina-6 ed è indicato per il trattamento di pazienti adulti con malattia di Castleman. I vertici dell’azienda hanno concesso l’uso compassionevole del farmaco per uno studio clinico che sta partendo presso l’Ospedale “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo - uno dei centri maggiormente colpiti dall’epidemia - e che coinvolge individui affetti da COVID-19 con gravi sintomi respiratori. Lo studio SISCO (Siltuximab In Serious COVID-19) si configura come uno studio osservazionale condotto sia su pazienti ospedalizzati che su quelli già in terapia intensiva.

La possibilità di ricorrere a farmaci orfani anche per il trattamento dei sintomi scatenati da un’infezione virale è un’ulteriore prova - se ancora ve ne fosse bisogno - del valore di un processo di ricerca che indaghi in maniera trasversale i meccanismi molecolari da cui si sviluppa una patologia (sia essa rara o no) e che, di conseguenza, da essi parta per proporre soluzioni mirate, sicure ed efficaci.

EMAPALUMAB e ANAKINRA

Anche la casa farmaceutica svedese Sobi ha annunciato che due dei suoi farmaci saranno utilizzati in protocolli clinici con pazienti affetti da COVID-19. Il primo è anakinra, un farmaco che riesce a inibire l’attività dell’interleuchina-1 (IL-1), ed è stato già approvato per il trattamento di un gruppo di patologie auto-infiammatorie rare e potenzialmente mortali, le cosiddette sindromi periodiche associate alla criopirina (CAPS), per l’artrite reumatoide (come tocilizumab) e per la malattia di Still. Il secondo farmaco è emapalumab, un anticorpo monoclonale che neutralizza l’interferone-gamma regolando così la risposta infiammatoria nei pazienti affetti da linfoistiocitosi emofagocitica (HLH).

OSELTAMIVIR

Il panorama dei possibili trattamenti per il Coronavirus SARS-CoV-2 include anche oseltamivir (usato in due studi clinici), un antivirale prodotto da Roche per contrastare le forme A e B dell’influenza.

Tra gli antivirali, sono stati testati per la malattia COVID-19 anche lopinavir e ritonavir, due farmaci già approvati per il trattamento dell’HIV. I risultati di un recente studio clinico condotto su 199 pazienti, pubblicati sulla prestigiosa rivista The New England Journal of Medicine, hanno tuttavia messo in evidenza come non vi sia un reale beneficio derivante dall’utilizzo di queste due molecole nei pazienti affetti da COVID-19.

La comunità scientifica sta ricorrendo a tutte le possibili armi terapeutiche per arrestare questo nuovo virus e i risultati dei primi studi clinici saranno di basilare importanza per capire quale sia la direzione migliore da intraprendere in questo delicato intrico di terapie.

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