Emofilia e benessere articolare

Matteo Arzenton, presidente AVEC: “L'attività fisica è uno dei cardini della terapia non farmacologica”

L’emofilia - una malattia rara di origine genetica correlata alla coagulazione del sangue, che si manifesta solo nei maschi – produce, in chi ne è affetto, non soltanto le problematiche tipiche dello stato emorragico, ma anche altre complicanze correlate alla malattia, come gli emartri, sanguinamenti che avvengo all'interno delle articolazioni (gomito, polso, caviglia, ginocchio). Questi ultimi eventi, se non immediatamente e adeguatamente trattati, possono provocare artropatia cronica e disabilità, o comunque determinare una significativa riduzione della mobilità del paziente. Grazie a nuove opzioni terapeutiche – come la profilassi con fattore a emivita prolungata – uno screening delle articolazioni con metodiche diagnostiche meno invasive ed una attività motoria adeguata, è possibile migliorare sensibilmente il quadro generale di vita dei pazienti emofilici. Sia sotto il profilo clinico, sia sotto il profilo psicologico.

Muovendo da questo nuovo approccio interdisciplinare, è stato realizzato il progetto “Articoliamo. Lo sai che?”. Promosso dalla casa farmaceutica Sobi, con il patrocinio di FedEmo (Federazione delle Associazioni Emofilici) ed il coinvolgimento attivo delle tre associazioni che in Veneto si occupano di emofilia: Associazione Veneto per l’emofilia e le coagulopatie; Associazione bambini e giovani con emofilia e altre coagulopatie; Libera Associazione Genitori ed Emofilici del Veneto. Abbiamo chiesto a Matteo Arzenton, presidente della AVEC, Associazione Veneto per l’Emofilia e le Coagulopatie, di raccontarci come si è sviluppato il progetto “Articoliamo”.

Abbiamo accolto con favore il progetto Articoliamo, la cui peculiarità sta nella sua capacità di cogliere una delle esigenze principali del paziente emofilico, ossia trattare in modo innovativo l'artropatia, la principale complicanza provocata dalla malattia che produce sofferenza a carico delle articolazioni pregiudicandone a lungo andare la funzionalità. Il progetto – afferma Arzenton – è iniziato circa due anni fa, con degli incontri online tra noi pazienti, in rappresentanza delle associazioni coinvolte, e dei clinici esperti in emofilia con la possibilità, per noi pazienti, di rivolgere ai clinici delle domande su specifiche tematiche riguardanti la patologia. Tra i clinici era presente anche la dottoressa Ilaria Nichele, referente del Centro malattie emorragiche e trombotiche della divisione di Ematologia dell’Ospedale “San Bortolo” di Vicenza, a cui la nostra associazione fa riferimento. Lo scorso mese di marzo c’è stato un nuovo incontro, questa volta in presenza al MUSME, Museo di Storia della Medicina di Padova, in cui, oltre ad interagire con i clinici, abbiamo avuto la possibilità di sperimentare una parte interattiva con quelli che posso definire “simulatori”, dei pannelli interattivi che spiegavano un po’ come funzionano le articolazioni e cosa succede quando si ha un sanguinamento. Molta attenzione è stata posta anche alla comunicazione con i bambini, per i quali è stato realizzato un avatar capace di rispondere in tempo reale alle domande che gli venivano poste dai piccoli pazienti, i quali, in questo modo, hanno avuto possibilità di conoscere meglio alcuni aspetti della patologia con un linguaggio semplice e interattivo”.

Quanto è importante l'attività fisica per il miglioramento della qualità di vita delle persone che soffrono di emofilia?

L'attività fisica – dichiara Arzenton – è uno dei cardini della terapia non farmacologica. Il paziente emofilico per molti anni ha subito delle restrizioni pressoché totali riguardo l'attività fisica. Ancora oggi il grado di attività motoria che una persona con emofilia può svolgere, penso ad esempio ad una attività agonistica, è un tema estremamente dibattuto. Infatti, quando un paziente si trova a dover richiedere l'idoneità fisica per svolgere uno sport a livello agonistico – il che non significa necessariamente voler correre la maratona o partecipate alle olimpiadi, ma anche semplicemente partecipare alla partita di calcio amatoriale con la propria società sportiva di appartenenza – questa idoneità fisica gli viene negata dai medici dello sport. Questo accade nonostante gli ematologici che ci seguono usualmente per la cura della nostra patologia ritengano che anche una persona con emofilia, con un quadro clinico specifico, ben curato, possa svolgere sport a livello agonistico. Possiamo dire – continua Arzenton – che questo è un argomento molto sentito tra i pazienti, soprattutto quelli più giovani. In tal senso l’AICE, l’Associazione Italiana dei Centri di Emofilia, sta lavorando a delle linee guida per il rilascio della idoneità fisica”.

“Eppure, come ci ripetono i nostri ematologi, un certo grado di attività fisica ci fa sicuramente bene, perché garantisce di irrobustire la muscolatura rendendola meno soggetta alle complicanze che la patologia può provocare e aiuta a mantenere il peso corporeo adeguato, riducendo così il carico sulle articolazioni. Inoltre, come aspetto tutt’altro che secondario, ci sono i benefici psicologici, ovvero svolgere attività fisica con un gruppo ti permette di sentirti parte integrante di una comunità, di sentirti come gli altri, di non avvertire il peso dell’esclusione a causa della tua malattia. Al contempo, ti permette di concentrarti anche su altro, e non solo su come gestire l’emofilia”.

Ci sono state delle tematiche sviluppate da “Articoliamo” che hanno riscosso particolare interesse tra i pazienti?

“In generale i pazienti hanno dimostrato interesse al progetto partecipando attivamente. I bambini sono stati in particolare molto coinvolti dalla dimensione digitale che è stata scelta con l’attivazione di un avatar. Per gli adulti, l’argomento che decisamente è stato più considerato riguarda proprio gli aspetti sociali, di cui dicevo prima, in relazione all’attività fisica. Se fino a 15-20 anni fa l’obiettivo principale per i pazienti era impedire che si verificassero delle complicanze, che potevano essere anche pericolose, oggi, grazie ai nuovi approcci terapeutici che hanno innalzato la qualità di vita, emergono le problematiche più legate alle dinamiche sociali, alla possibilità di svolgere degli sport. Spesso, proprio durante i convegni, si confrontano le generazioni dei pazienti più adulti con quelle più giovani facendo emergere questa grande differenza di problematiche da affrontare. I pazienti adulti sottolineano come per loro l’obiettivo principale era riuscire a muoversi senza eccessive limitazioni ed evitare le emorragie, sottolineando alla mia generazione più giovane, che discutere se poter fare tennis o calcio è un grandissimo risultato che testimonia gli enormi passi avanti fatti dalla ricerca scientifica”.

Quali sono le principali progettualità che la vostra associazione ha portato avanti in questi ultimi anni?

“L’AVEC è nata nel 1981 per rispondere ai bisogni in generale dei pazienti emofilici e coagulopatici. Nei suoi primi anni l'associazione aveva come obiettivo quello di far conoscere alla popolazione la patologia rendendo più semplice, in questo modo, l’inserimento sociale di chi ne era affetto. Un altro impegno importante della nostra associazione è stato quello di fornire informazioni adeguate ai pazienti emofilici vittime dello scandalo che ha riguardato gli emoderivati infetti, che ha causato, sia decessi, sia malattie croniche in molti emofilici. Al momento i soci iscritti ad AVEC sono una cinquantina, tra pazienti e personale medico che fa capo al Centro malattie emorragiche e trombotiche della divisione di Ematologia dell’Ospedale “San Bortolo” di Vicenza. Tra i progetti più recenti ricordo “Emo-Home” realizzato nel 2021, l'anno successivo al COVID-19, che prevedeva la possibilità per il paziente, in caso di necessità non strettamente cliniche, ma diciamo burocratiche, di poter interloquire con la segreteria della nostra associazione, la quale riportava queste problematiche al personale infermieristico del Centro. In questi mesi invece stiamo lavorando ad un progetto per la realizzazione di un percorso di fisioterapia da attivare nel nostro Centro. Spesso nella sanità pubblica la fisioterapia non viene molto considerata, mentre per i pazienti emofilici sarebbe di grande aiuto. La nostra idea progettuale parte dal rilevamento, tramite un questionario specifico, del reale dolore cronico percepito dai pazienti. Questo perché il dolore cronico viene spesso sottovalutato, mentre le artropatie hanno come conseguenza proprio il dolore che si cronicizza inducendo il paziente ad assumere farmaci antidolorifici per lunghi periodi. La quantificazione dell’entità del dolore percepito consentirà di calibrare il tipo di intervento fisiatrico più opportuno per ogni paziente. Per farlo sarà necessario avere un servizio di fisioterapisti, che andrà tuttavia prima formato nella conoscenza delle specifiche esigenze dei pazienti emofilici per poi poter lavorare alla loro riabilitazione. Anche questo nuovo progetto mira ad incrementare il benessere e la qualità di vita di ogni singolo paziente emofilico seguito presso il nostro Centro di riferimento di Vicenza”.

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