Nancy Wexler

La vicenda della famiglia Wexler, colpita dalla patologia, la nascita della Hereditary Disease Foundation e la svolta degli studi in Venezuela

Il 24 agosto 1968 la Francia fece esplodere la sua prima bomba all’idrogeno nell’atollo di Fangataufa, nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico. Nello stesso giorno, un’altra bomba detonò nella vita di due ragazze, la ventitreenne Nancy e la ventiseienne Alice, quando il padre, Milton Wexler, spiegò che la loro adorata madre Leonore era affetta dalla malattia di Huntington e che esse stesse avrebbero potuto essere malate. Milton aggiunse anche di essersi impegnato nella creazione di una fondazione - quella che divenne la Hereditary Disease Foundation - il cui scopo era di trovare una cura contro questa patologia. Ecco perché la storia di Nancy Wexler e quella dell’Hereditary Disease Foundation - di cui la donna è tutt’oggi presidente - sono tra loro connesse e così profondamente legate alla malattia di Huntington.

Una famiglia colpita dalla malattia di Huntington

Alla madre di Nancy e Alice fu diagnosticata la Huntington nel 1968, quando aveva solo 53 anni. La malattia era permeata a fondo nell’albero genealogico della sua famiglia: il nonno Abraham Sabin era morto nel 1929 a causa della malattia, che poi fu diagnosticata, negli anni ’50, anche a tutti e tre i fratelli di Leonore - Paul, Seymour e Jessie. A quei tempi, si pensava che la Huntington riguardasse esclusivamente il sesso maschile, perciò Leonore si iscrisse alla Columbia University per apprendere il più possibile sulla patologia che stava distruggendo la sua famiglia. Purtroppo, nel giro di poco tempo, la Huntington colpì anche lei. Un giorno del 1968, mentre stava attraversando la strada, un poliziotto la rimproverò pubblicamente, immaginando che la sua andatura barcollante fosse l’ovvio segnale di una sbronza mattutina. Leonore capì subito che quel tipo di instabilità motoria era invece un precoce segnale della malattia di Huntington.

Nancy Wexler, negli anni, ha descritto nei minimi particolari il viaggio senza ritorno di sua madre nelle pieghe della malattia di Huntington, fornendo un lucido resoconto degli incontrollabili movimenti di cui divenne preda il suo corpo, così come della difficoltà di alimentarsi che la portava a dimagrire in maniera vistosa (doveva assumere almeno 5.000 kilocalorie al giorno per mantenere il suo peso). La “corea” che colpisce i pazienti con Huntington coinvolge gli arti, il tronco, le dita dei piedi, e anche il viso, producendo tic e movimenti convulsi consumavano l’energia di Leonore e le impedivano di mangiare, rendendole difficile il deglutire ed aumentando il rischio di soffocamento. Col tempo, Leonore perse la capacità di parlare e comunicare col marito e con le figlie, gettandoli nello sconforto. Per i familiari, tuttavia, lo strazio più grande, e al contempo anche la più grande consolazione, era che Leonore capiva tutto quello che le veniva detto e non ha mai smesso di riconoscere le figlie: era intrappolata in un corpo che non rispondeva più alle direttive della sua mente.

Leonore tentò anche il suicidio e, col tempo, sperimentò una serie di sintomi cognitivi, tra cui la progressiva perdita della capacità di incamerare nuove informazioni. La donna morì nel 1978, al termine di un periodo di dieci anni costellato di angoscia e sofferenza, ma la sua parabola personale diede a Nancy un’incrollabile motivazione nel perseguire l’obiettivo che la madre si era posta anni prima, e che il padre aveva iniziato a realizzare con la creazione della Hereditary Disease Foundation: scoprire le cause della malattia di Huntington e trovare una cura.

L’impegno di Nancy Wexler: trovare il gene alla base della Huntington

Un anno dopo la morte della madre Leonore, Nancy Wexler, insieme a David Housman, Ray White e David Botstein, iniziò a studiare un modo per individuare il gene alla base della malattia di Huntington. Ciò che allora si sapeva di questa patologia è che osservava una modalità di trasmissione autosomica dominante: ciò significa che è sufficiente possedere una sola copia del gene mutato per svilupparla.

“Catturare il gene della malattia di Huntington e caratterizzare la natura del suo errore sembra la via più sicura per scoprire trattamenti e cure per questa patologia”, scrive Nancy e alla fine degli anni ’70: i successi e le nuove scoperte che ruotavano intorno alla tecnica del DNA ricombinante le instillarono la fiducia necessaria per provarci. Nell’ottobre del 1979, Wexler, Housman, White e Botstein concentrarono la loro attenzione sulla tecnologia di analisi dei polimorfismi (RFLP, Restriction Fragment Length Polymorphism). I ricercatori avevano escogitato un modo per individuare il gene della Huntington sulla mappa del DNA, ma ci sarebbero volute decine di anni per trovare il gene usando i polimorfismi come marcatori genetici. Perciò, nel tentativo di accelerare il processo, Housman propose di studiare la possibilità che questi marcatori ‘viaggiassero’ insieme alla malattia all’interno di una famiglia, suggerendo di eseguire un’analisi di associazione (anche detta linkage). Tuttavia, per svolgere tale analisi e identificare la posizione precisa del gene, era necessario disporre di un numero congruo di pazienti tra loro imparentati: il problema, quindi, era trovare una famiglia così ampia.

La svolta in Venezuela: il successo di una lunga indagine genetica

A questo punto tornò in gioco il lavoro di Milton Wexler, padre di Nancy e fondatore della Hereditary Disease Foundation, il quale, durante un convegno svoltosi nel centenario della scoperta della malattia di Huntington, aveva sentito parlare dei villaggi di Barranquitas e Lagunetas, sulle sponde del Lago Maracaibo, in Venezuela, dove sembrava che vivesse un alto numero di persone affette dalla patologia. Venuta a conoscenza del fatto, Nancy Wexler prese il primo volo per il Venezuela.

Strade polverose e vecchie baracche conferivano ai villaggi di Barranquitas e Lagunetas un aspetto triste, accentuato dal fatto che le persone che camminavano in giro per i vicoli, o frequentavano i locali, portavano tutte i segni della Huntington: tic frenetici e movimenti convulsi, scatti d’ira e sguardi vuoti. Il primo a descrivere quella ristretta enclave di malati di Huntington fu il neurologo venezuelano Américo Negrette, ma ben presto Nancy si rese conto che gli stretti rapporti di consanguineità e le strutture familiari allargate - molti nuclei erano composti anche da dieci figli - avevano fatto sì che la patologia si fosse inserita in profondità nel tessuto sociale di quei poveri villaggi di pescatori. A quel punto, Nancy aveva tutti gli elementi per far progredire la ricerca del gene della malattia di Huntington. Infatti, nel 1983, solo quattro anni dopo il suo arrivo sulle rive del Lago Maracaibo, insieme a James Gusella, del Massachusetts General Hospital di Boston, e a Michael Connelly, dell’Università dell’Indiana, pubblicò sulla rivista Nature un articolo nel quale si localizzava il gene dell’Huntington sul braccio corto del cromosoma 4 (4p16:3).

“Il gene si trovava in quello che si è rivelato essere un territorio molto inospitale, contraddistinto da pochi geni o marcatori, vicino al telomero del cromosoma 4”, scrive Nancy. Perciò occorreva continuare il lavoro e trovare la sua precisa localizzazione all’interno di questo territorio inospitale e sconosciuto. Per riuscirci ci vollero altri dieci anni, costellati di snervanti confronti di milioni di parti di DNA, di fallimenti ed errori e di speranzose ripartenze. Alla fine, nel 1993, Gusella comunicò a Nancy che il gene era stato individuato in maniera precisa. Come riporta anche un articolo del New York Times dell’epoca, il paper scientifico pubblicato sulla rivista Cell, nel quale fu descritta la scoperta, rappresentò un “raro esempio di cooperazione scientifica in cui sei laboratori negli Stati Uniti, in Inghilterra e nel Galles, hanno condiviso i loro dati e le loro idee”. Fu uno straordinario lavoro di squadra, condotto su 75 famiglie affette dalla malattia di Huntington, grazie a cui fu possibile tracciare la carta d’identità di un gene estremamente singolare, caratterizzato da mutazioni a danno di una tripletta di nucleotidi che viene espansa decine di volte in relazione all’età di insorgenza della malattia. Si parlò di “balbuzie molecolare” per spiegare questo continuo ripetersi, una similitudine che in qualche maniera richiama i frenetici spasmi motori di cui sono schiavi i pazienti con Huntington.

Nancy Wexler - come suo padre Milton - sperava che la scoperta del gene della Huntington costituisse il presupposto fondamentale per trovare una cura per la malattia nel breve periodo, obiettivo che purtroppo non è stato ancora raggiunto. Tuttavia, l’incredibile storia che ha portato all’individuazione di questo gene rimane un affascinante esempio di come dal dolore e dalla sofferenza possano scaturire l’ostinazione e la determinazione necessarie per ottenere successi senza precedenti.

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