DNA

La dott.ssa Caterina Mariotti (Milano): “Un recente studio ha evidenziato come l’interazione dei geni MLH1 e FAN1 sia importante per limitare l’aggravamento della mutazione alla base della patologia”

La malattia di Huntington è una condizione neurologica a carattere progressivo originata dalla presenza di un tratto espanso di triplette CAG nel gene HTT, che codifica per la proteina huntingtina. Questo fenomeno innesca un processo neurodegenerativo a danno soprattutto delle cellule dello striato e della corteccia che sfocia nella triade di sintomi motori, cognitivi e psichiatrici tipici della malattia. Sebbene il gene associato alla Huntington sia stato scoperto e descritto nel 1983, a distanza di tanti anni ancora manca un trattamento specifico per la patologia. 

In una recente ricerca apparsa sulle pagine della rivista Cell Reports, un gruppo di studiosi, guidati dalla prof.ssa Sarah J. Tabrizi, dell’UCL Huntington’s Disease Centre, ha indagato con attenzione il ruolo di un altro gene, FAN1, nella patogenesi della malattia. FAN1 codifica per una proteina che interviene nei processi di riparazione del DNA, ed è stato identificato come uno dei geni modificatori della Huntington, ossia in grado di influenzare la manifestazione fenotipica della malattia (ad esempio l’età di esordio e la gravità dei sintomi). Nel caso della malattia di Huntington, infatti, si è potuto vedere che pazienti con la stessa mutazione - cioè con lo stesso numero di espansioni della tripletta CAG nel gene HTT - presentavano un’età di insorgenza e una progressione della patologia diversi. I ricercatori si sono chiesti quale fosse il motivo all’origine di tale fenomeno e hanno scoperto il ruolo di geni modificatori quali FAN1. Per questo motivo, abbiamo voluto approfondire l’argomento insieme alla dott.ssa Caterina Mariotti, dell’Unità di Genetica Medica e Neurogenetica della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano. 

Dott.ssa Mariotti, che tipo di gene è FAN1?

FAN1 è entrato nel mondo Huntington con i primi studi genome-wide, cioè quelli che analizzano tutto il genoma dei pazienti. Alcuni di questi studi hanno identificato dei geni che agiscono come modificatori dell’età di esordio della malattia in rapporto a identiche mutazioni della tripletta CAG. Perciò, accade che persone con la stessa espansione CAG possano avere età di esordio della malattia molto differenti tra loro. 

Che collegamento esiste tra la mutazione in FAN1 e l’espansione delle triplette CAG tipica della malattia di Huntington?

Recentemente si è scoperto che la grandezza dell’espansione CAG ereditata al momento della trasmissione dal genitore ai figli non rimane stabile in tutte le cellule dell’organismo, ma nei pazienti avviene un’ulteriore espansione del tratto CAG in cellule di vari tessuti. Questa seconda espansione, detta “somatica”, produce nelle cellule sequenze di CAG sempre più lunghe, rendendo progressivamente più tossico l’effetto della proteina huntingtina mutata. Infatti, i ricercatori ritengono che nella malattia di Huntington accadano in successione due tipi di eventi patologici (la cosiddetta “teoria del doppio danno”, o “double hit”): il primo danno è rappresentato dalla mutazione genetica sul gene dell’huntingtina, necessaria perché la malattia si manifesti. Il secondo danno, che può aggravare la situazione neurodegenerativa e clinica, è rappresentato dalla possibilità che l’espansione di CAG si allunghi ulteriormente, aumentando la tossicità della proteina mutata. Questo secondo evento critico si osserva nelle cellule somatiche dell’intero organismo nel corso della vita dei pazienti. Il ruolo di FAN1 sembrerebbe proprio quello di stabilizzare il tratto di espansione CAG e di prevenire ulteriori allungamenti. FAN1 svolge infatti un importante ruolo nei processi di riparazione del DNA. Esso codifica per una nucleasi che interferisce tagliando le zone di non perfetta corrispondenza tra due filamenti di DNA e correggendo gli errori che a questo livello si possono creare. 

Perché questo punto è così importante?

Identificare un gene, o un gruppo di geni, su cui intervenire, pur non eliminando l’espansione originaria, potrebbe contribuire a ridurre il fenomeno dell’espansione somatica, contenendo così, almeno in parte, la progressione della malattia e favorendo un esordio più tardivo dei sintomi. FAN1 non è l’unico gene modificatore fino ad ora scoperto. È stato osservato che la ridotta espressione di geni quali MSH3, MSH2, MLH3, PMS2 e MLH1, oppure l’aumentata espressione di FAN1, sono in grado di prevenire l’espansione somatica. I ricercatori dell’UCL Huntington’s Disease Centre hanno visto come l’interazione di MLH1 con FAN1 sia particolarmente importante per la stabilità dell’espansione della tripletta CAG nelle cellule. 

Che implicazioni avrà questa ricerca e per quale ragione sarà importante nell’ottica del trattamento della malattia di Huntington?

Il significato di FAN1 è stato discusso anche durante il recente convegno dell’European Huntington’s Disease Network (EHDN). Esso potrebbe trovarsi al centro di percorsi terapeutici che, attraverso specifici farmaci, controllino l’espressione di questi geni modulatori, in modo tale da controllare l’ulteriore l’espansione del tratto di triplette CAG durante la vita dell’individuo. Un approccio di questo tipo è stato proposto da Triplet Therapeutics che, nel corso del congresso EHDN, ha presentato un progetto di ricerca basato sulla possibilità di interferire con un altro gene, MSH3, che interviene sul meccanismo di controllo della replicazione del DNA. 

Quali sono le maggiori difficoltà insite in questo percorso di ricerca?

Alcuni dei geni modificatori delle manifestazioni della malattia di Huntington hanno anche molte altre attività all’interno dell’organismo, ed è quindi estremamente importante che si tenga conto di tutte le funzioni di un particolare gene prima di interferire in maniera importante con la sua espressione. Per esempio, geni come MSH2 e MLH1 sono coinvolti anche nella patogenesi di alcune forme tumorali, come ad esempio la sindrome di Lynch che predispone allo sviluppo del tumore del colon-retto. Pertanto occorre prestare attenzione ad intervenire su di essi. L’approccio di Triplet Therapeutics è rivolto al gene MSH3, che non trova associazione con altre patologie note. Se i risultati preclinici saranno incoraggianti, sarà possibile pensare a future opportunità terapeutiche per la malattia di Huntington.

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