Charles Sabine - Malattia di Huntington

Il giornalista e inviato di guerra per la NBC ha ricevuto la diagnosi nel 2005 e da allora si è dedicato a fare divulgazione sulla patologia

Chi dice che la malattia non sia una guerra si sbaglia. Ne sa qualcosa Charles Sabine, inviato di NBC News nei più drammatici scenari bellici della storia recente, dai conflitti nel Golfo in Iraq, Arabia Saudita e Kuwait fino a quelli in Bosnia, Croazia, Serbia, Kosovo e Cecenia, passando per le rivolte in Libano, Cisgiordania, Siria, Pakistan e Gaza, dove ancora oggi si combatte. Da vent’anni però lo sfondo dei suoi reportage è cambiato: non più le asprezze del Medio-Oriente ma i recessi di una personale genetica, dal momento che gli è stata diagnosticata la malattia di Huntington, una condizione che per decenni è stata oggetto di stigma, giungendo persino a essere bollata come ‘stregoneria’. Con la sua testimonianza - in un TEDX Talk realizzato a Bath alcune settimane fa - Sabine ha riassunto gli sforzi fatti per portare la malattia fuori dall’ombra.

Cinquantaquattrenne inglese dalla carnagione chiara e dal profilo affilato, Sabine - l’ultimo giornalista occidentale a intervistare il fondatore di Hamas, Sheik Ahmed Yassin - è salito sul palco ricordando di aver iniziato la sua carriera lavorando “per testimoniare il ciclo infinito della violenza dell’umanità”, esperienza che lo ha portato a confrontarsi con la sofferenza e il dolore ma soprattutto con la ferocia e la crudeltà del genere umano. Gli stessi atteggiamenti che ha ritrovato alcuni più tardi, dopo esser entrato in contatto con la Huntington. Questa malattia neurodegenerativa ha carattere ereditario - Sabine ha ereditato il gene mutato dal padre - e si manifesta in età adulta con un lungo corteo di sintomi, dai classici movimenti involontari, fino ai disturbi dell’andatura e dell’equilibrio, alla disfagia e disartria; ma alcune persone possono presentare sintomi di tipo psichiatrico (depressione, impulsività, impulsi suicidi) o cognitivo (un deterioramento intellettivo progressivo che conduce alla demenza). Le manifestazioni cliniche della malattia di Huntington variano da persona a persona e, purtroppo, al momento non esiste una cura risolutiva.

Quando mio padre era ancora un bambino, il movimento eugenetico associava l’Huntington alla stregoneria, erano gli anni Trenta e il filone prevalente nella neurologia dell’epoca scelse di non contrastare quelle sciocchezze concordando sul fatto che i malati avrebbero dovuto essere banditi dai loro Paesi o sterilizzati”, racconta Sabine. “I nazisti, semplicemente, condannavano i malati di Huntington alle camere a gas. Per queste ragioni non c’è da stupirsi che le famiglie cercassero disperatamente di mantenere nascosta la malattia. La mia famiglia ha bruciato alcune fotografie e ha modificato il certificato di morte dello zio, pur di non lasciare traccia del fatto che il suo decesso fosse stato causato dalla Huntington”. Non serve aggiungere molto altro per farsi un quadro chiaro del dramma vissuto dai malati e dai loro famigliari. Perciò Sabine ha scelto di dedicare la seconda parte della sua vita a promuovere una corretta conoscenza della malattia, lottando per far capire che non si tratta di qualcosa di cui vergognarsi ma di una realtà che merita attenzione, comprensione e umanità.

Papa Francesco è stato il primo leader mondiale ad abbracciare un malato di Huntington”, prosegue Sabine che, nel 2017 ha accompagnato alcuni malati provenienti dalla Colombia, dal Venezuela e dall’Argentina a un’udienza dal Pontefice il quale ha pronunciato le parole “Hidden No More” (“Mai più nascosta”), riprendendo lo slogan - HDdennomore - dell’iniziativa. In quell’occasione il Papa aveva abbracciato Brenda, una ragazza di 15 anni di Buenos Aires, per anni allontanata dai compagni di classe a cui era stato raccomandato di non toccarla per evitare di essere ‘contagiati’ - cosa impossibile visto che la Huntington è una malattia genetica!

Grazie all’opera di Sabine e delle molte associazioni di pazienti che sono nate intorno a questi malati, negli ultimi vent’anni la percezione della malattia di Huntington è cambiata. “Oggi nel mondo siamo in migliaia a studiare l’Huntington, con ricerche di base e cliniche che si avvalgono delle più avanzate intuizioni e strategie, e col pensiero rivolto alle famiglie colpite. È il nostro contributo affinché non si sentano più sole”, afferma la Sen. Elena Cattaneo, in un articolo pubblicato su D di Repubblica qualche giorno fa. “Ma anche fuori dai laboratori si può fare molto per combattere una malattia che, ancora prima della sofferenza, colpisce per lo stigma che la accompagna. In molti hanno fatto sì che da una notizia inaspettata e dolorosa scaturisse del bene, per sé stessi e per gli altri”.

Alla direzione del Laboratorio di Biologia delle Cellule Staminali e Farmacologia delle Malattie Neurodegenerative presso il Dipartimento di Bioscienze dell’Università degli Studi di Milano, Elena Cattaneo ha dedicato anni alla ricerca sulla malattia di Huntington, essendo poi nominata senatrice a vita per i suoi meriti scientifici. Nel suo talk - dal titolo “L’infinita capacità di ogni uomo” - Sabine cita proprio le scoperte della professoressa Cattaneo sulla natura del gene della malattia di Huntington - che abbiamo riportato anche nel libro bianco “Da affare di famiglia a questione pubblica” sulla pagina di OMaR dedicata alla malattia. “La collaborazione globale senza precedenti tra ricercatori e famiglie ha permesso, in soli 18 anni, di portare la malattia di Huntington agli albori della scrittura di un nuovo capitolo della medicina”, afferma Sabine. “Siamo passati da zero aziende farmaceutiche che lavoravano sulla malattia, nel momento in cui quel neurologo mi disse che per me non c’era nulla da fare, a oltre 40 nel 2023”.

La rocambolesca storia della scoperta del gene della malattiache ha condotto Nancy Wexler in un remoto villaggio del Venezuela, è stata determinante per raggiungere un tal risultato. “Fu grazie a Nancy Wexler che nel 1968 nacque la Huntington’s Disease Society of America che oggi continua a sostenere la ricerca e le famiglie”, precisa Cattaneo. “Nel 1968, Milton Wexler (padre di Nancy), fondò l’Hereditary Disease Foundation (HDF). Oggi è Nancy a presiederla. Pochi giorni fa, l’ho sentita - combattiva come sempre - dalla casa di New York dove affronta la malattia che ha colpito prima suo nonno, poi gli zii e sua madre, e ora lei. Di questa fondazione fa parte anche Frank Gehry, universalmente conosciuto come l’architetto che ha progettato alcuni degli edifici più famosi e iconici del mondo. È anche colui che con l’HDF finanzia il premio Leslie Gehry Brenner, intitolato a sua figlia, morta di tumore in giovane età. Anche lui ha saputo trasformare il dolore per la perdita della figlia in un’enorme impresa filantropica per premiare il lavoro tenace e incessante di scienziati e laboratori che studiano malattie ereditarie e sperimentano strade terapeutiche per affrontarle”.

Sono tutti esempi di quello che si può fare se si ha fiducia nelle proprie potenzialità e si crede in un obiettivo.

 

 

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