Il Prof. Mannucci (Milano): “I fenotipi e le mutazioni genetiche potrebbero essere collegati”
MILANO – La malattia di Von Willebrand è una patologia emorragica congenita a trasmissione autosomica dominante, ma nella sua forma più rara e più grave – il tipo 3 – si trasmette invece in modo autosomico recessivo. Entrambi i genitori, quindi, hanno un gene alterato, e hanno una possibilità su quattro di trasmetterlo ai figli, che però potrebbero nascere anche tutti sani o tutti affetti. Proprio su questa variante si stanno concentrando gli sforzi degli studiosi, con un trial che coinvolge 250 pazienti fra Europa e Iran.
Promosso dalla Fondazione Angelo Bianchi Bonomi, il progetto ha come responsabili tre medici italiani esperti di disturbi della coagulazione: il Prof. Augusto Federici, il Prof. Pier Mannuccio Mannucci e la Prof.ssa Flora Peyvandi, responsabile del sottoprogramma iraniano.
Oltre alla Fondazione Angelo Bianchi Bonomi (IRCCS Ospedale Ca’ Granda – Università degli Studi di Milano), che promuove l’intero progetto a livello internazionale, altri quattro centri italiani sono coinvolti nello studio: l’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze, il Policlinico Umberto I – Università “Sapienza” di Roma, l’Azienda Ospedaliera Policlinico Consorziale di Bari e l’Ospedale San Bortolo di Vicenza.
A spiegare gli obiettivi dello studio è il Prof. Mannucci, già direttore del Centro Emofilia e Trombosi dell’Ospedale Angelo Bianchi Bonomi – Ospedale Maggiore Policlinico di Milano: “Nel 2012 abbiamo iniziato a reclutare i 250 partecipanti e raccogliere i loro campioni: lo studio terminerà nel 2018, dopo un adeguato follow up. Con un campione così vasto potremo analizzare le differenti manifestazioni fenotipiche della malattia e le varie mutazioni genetiche: questi due fattori, infatti, potrebbero essere collegati. È improbabile, ma non si può neppure escludere l’influenza di fattori ambientali”.
La malattia di Von Willebrand di tipo 3 è caratterizzata da emorragie spontanee delle mucose: il paziente va incontro quindi a epistassi e problemi legati alle mestruazioni e al parto. Pur essendo il più grave dei sottotipi (mancano sia il fattore VIII che il fattore di Von Willebrand), è meno grave dell’emofilia, ma a differenza di quest’ultima colpisce anche le donne. “Possiamo dire che corrisponde a un’emofilia moderata. Gli emofilici, però, hanno degli episodi di sanguinamento anche 30/40 volte l’anno, i pazienti con Von Willebrand circa 6/7: hanno quindi una qualità di vita migliore”, spiega il Prof Mannucci.
La presenza nello studio di alcuni centri iraniani – gli unici non europei – si spiega con un’incidenza della malattia nettamente superiore: se in Europa è affetta una persona su uno o due milioni, in Iran la proporzione è di uno su diecimila, valori equiparabili a quelli dell’emofilia. “Questa maggiore incidenza – spiega Mannucci – è dovuta alla tradizione, presente in Iran e in altri Paesi, dei matrimoni fra consanguinei: l’endogamia causa una maggiore frequenza di determinate mutazioni tipiche che si ripetono”.
L’unica terapia è quella sostitutiva (a base di fattore VIII e fattore von Willebrand, ambedue necessari e carenti), da effettuarsi episodicamente, oppure – nei casi più gravi, per esempio in presenza di patologie gastrointestinali – come profilassi. “In generale la qualità di vita dei pazienti è accettabile: i problemi più seri si hanno nell’anziano, con emorragie nelle articolazioni e la formazione di angiodisplasie”, sottolinea il Prof. Mannucci. “La terapia genica in futuro potrebbe essere un’opzione, ma al momento non la giudico un’altissima priorità”.
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